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scienzavenga interpretata da questi autori come la principale ed automatica forza

produttrice di valore. ( Cfr. ad esempio le pagine di W. Abendroth raccolte in

Die Linke antwortet Jiirgen Habermas,

Frankfurt/Main 1968, pp. 131-152). I l

cheavrebbe la conseguenza, vista prima, di ritradurre la lotta di classe nei termini

«sovrastrutturali » della dialettica hegeliana dell'eticità e della liberazione psicoana-

litica di Freud.

LeonardoCeppa

Franco Fortini

PASOLINI NON E' LA POESIA

Molte cose Pasolini sa fare. Non la più importante per lui: che sarebbe di

stare un po' zitto. Quando in versi e in prosa (1) lamenta l'incomprensione dei 'gio-

giovani' per la poesia, certo si rende conto di star facendo, come si dice, peggio della

grandine. Pasolini autore di alcune bellissime poesie e prose è la stessapersona di

un notissimo protagonista di traffici letterari, politici e mondani; e per poter ascol-

tare la sua predica, i l suo invito ai valori, i giovani dovrebbero dimenticare quella

identità. Ecco perchè molti di loro pensano: se la poesia è quella cosa che ci viene

consigliata da gente nemica del popolo come Pasolini, allora meglio non avere nulla

ache fare con i poeti; e, appena possibile, i poeti a zappare.

Quei molti hanno torto

Non perchè Pasolini non sia un nemico del popolo ( 2 ). ( Alla parola nemico

come alla parola popolo non metto le virgolette per fiducia nella intelligenza del

lettore). Lo è e più di quasi tutti i poeti italiani viventi messi insieme e più seria-

mente dei più reazionari poeti italiani viventi — che non sono pochi — perchè è

probabilmente l'unico a sapere in senso profondo che cosa significhi esserenemico

del popolo. L'unico che venda le cosesacresapendoche sono sacre. Anzi dando ad

intendere che proprio vendendole e mutandole in episodi di veloce consumo le

rendeancora più venerabili. E le venera; e combatte, con cento lingue di ferro,

contro ogni moralismo; e recita non senza bravura la parte della contraddizione. In,

tempo di guerra c'erano dei propagandisti fascisti che parlavano alla radio. C'era'

un certo Appelius, ricordo. Erano degli sciagurati e degli imbecilli. Non facevano

granmale. Ma i l pomeriggio di tutte le domeniche parlava alle ForzeArmate Gio-

vanni Ansaldo. Era un uomo colto e intelligente, cresciuto a Torino ai tempi di

(1) M i riferisco a La poesia della tradizione (in Trasumanar e organizzar, ed. Garzanti, pp. 124-

126) e all'editoriale di « Nuovi Argomenti » n. 21, 1971; ma, bisognerebbe dire, a quasi tutto

quel che è venuto scrivendo sulla Nuova Sinistra, in una sapiente ricerca di confusione

e di sopravvivenza.

(2) So benissimo che, mentre scrivo questa scheda, Pasolini è (con altri giornalisti e con nume-

rosi operai e studenti) in attesa di giudizio per essere stato direttore responsabile di « Lotta

Continua ». Proprio per quello che potrà sembrare un eccezionale senso di inopportunità,

seguito a credere opportuno contribuire a distinguere e a far distinguere. Non mi interessa

l'ambito nel quale alcuni compagni pensano di servirsi di Pasolini o egli di loro; è, comun-

que, un ambito servile. Mi interessano altri compagni; quelli che concedono, per troppa

generosità, ai poeti la fiducia che dovrebbero dare alla poesia e per questo talvolta sono

portati a non richiedere ai poeti quei doveri che impedirebbero loro di essere inutilmente

diversi.

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