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partita dall'esigenza di riannodare la teoria alla prassi sociale, finisce con l'inter-

pretare i condizionamenti politici della scienza in modo meramente negativo e

unilaterale. Cioè come strumentalizzazione capitalistica della scienza e funzionaliz-

zazione dei sistemi di razionalità tecnologica al quadro istituzionale dei rapporti

capitalistici di produzione. Per Habermas non vale i l principio marxiano secondo

cui, nel sistema capitalistico, i l mezzo, cioè lo sviluppo delle forze produttive,

viene continuamente in conflitto con i l fine, cioè con la valorizzazione e la ripro-

duzione allargata del capitale ( cfr.

I l Capitale, vol.

I I I , Roma 1966, p. 303).

Viceversa la razionalizzazione politica e la stessa lotta di classe, come processo di

successiveautoidentificazioni ideologiche, si svolgono per Habermas nella sfera della

comunicazione simbolica. A questo livello la dialettica hegeliana dell'eticità e la

problematica dell'ermeneutica freudiana prendono i l posto dell'analisi marxiana

delle strutture economiche.

Leconseguenze derivanti da questo impianto teorico sono facilmente reperi-

bili nei testi politici dell'antologia. Si riscontra continuamente la sopravvaluta-

zione, da un lato„ della « demonicità » del processo di integrazione tecnocratica,

dall'altro della potenzialità eversiva del « dissenso» emergente al livello della

comunicazione. Proprio questo continuo capovolgersi delle disperazioni tecnocra-

tiche nelle suggestioni intellettualistiche della « liberazione » — le stesse oscilla-

zioni che si trovano in Marcuse — rappresenta forse il limite della proposta politica

dei compagni tedeschi. Si spiegano così non solo le insistenze sul problema della

legittimazione giuridica del « mandato politico » degli studenti ( si vedano le pagine

di Stephan Leibfried e Ulrich Preuss), ma- anche, più in generale, la tendenza a

enfatizzare i l ruolo politico del «.dissenso » intellettuale. In questa luce si com-

prende l'inclinazione del movimento studentesco tedesco ad autointerpretarsi non

tanto come anello di quella lunga catena che è la lotta di classe, quanto piuttosto

come forma individuale di

morale intransigente,

che sembra esaurire i l suo signi-

ficato politico nell'innesco, per risonanza, di un processo di consapevolizzazione.

«Senza una morale rigorosa, la protesta crollerebbe rapidamente », scrive Detlev

Claussen (p. 250). Dal canto suo Oskar Negt, i l teorico più consapevole del movi-

mento, avverte con esattezza la « contraddizione fondamentale » che nasce alla

basedel nuovo concettó di « morale politica ». I l parametro di classe•è costituito

per gli studenti dalle lotte di liberazione del Terzo Mondo. Tuttavia non esiste

nessunaconnessione tra gli strumenti di partecipazione politica offerti ai cittadini

della Germania federale e la possibilità di influire in qualche modo sull'esito di

quelle lotte. « Proprio nella soluzione produttiva di questa contraddizione... si

forma una morale politica che traduce l'elemento antifunzionale presente nelle

forme di protesta... in un tutto incondizionato nei contenuti, composto da rivendi-

cazioni politiche che fanno saltare i l sistema » ( p. 328). I n un suo importante

libro, Soziologische Phantasie und exemPlarisches Lernen, Frankfurt/Main 1968,

Negt aveva cercato di delineare una teoria dell'educaziorie politica degli operai, che

fosse in grado di elaborare, in strutture motivanti all'azione, lamassacaotica delle

informazioni quotidiane. Ma anche quest'opera risultava condizionata dall'isola-

mento politico in cui si trova ad agire la nuova sinistra tedesca.

E' naturale che tale isolamento si unisca all'impianto teorico habermasiano nel

privilegiamento, non intenzionale, dell'elaborazione ideologico-coscienziale rispetto

al momento « strutturale » del conflitto di lavoro. Si capisce così come le critiche

più persuasive che siano state rivolte alla scuola di Habermas e Negt si concentrino

sull'implicito abbandono della teoria marxiana del valore-lavoro, una volta che la

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