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,sarebbero bastate a salvare la rivoluzioné se egli fosse intervenuto prima. Su questo,

punto sono tutti d'accordo, dal primo e insuperato storico marxista di quel periodo,

Arthur Rosenberg, fino allo stesso Dorst: la situazione oggettiva non offriva prati-

camentenessunachance alla rivoluzione bavarese. L'equilibrio instaurato da Eisner

era certo un compromesso, ma rifletteva un reale rapporto di forze. La Baviera era

unpaeseancora in gran parte agricolo, e se qualcuno si faceva delle illusioni che

ciò costituisse un'analogia con la Russia, si sbagliava perchè i contadini bavaresi

stavano per lo più bene ed era già un miracolo che, sotto la scossaprovocata dalla

guerra, essi si fossero almeno parzialmente organizzati in consigli. La rivoluzione

consiliareungherese, cheaveva suscitato le speranze dei rivoluzionari bavaresi aveva

vinto senza colpo ferire in seguito a una situazione internazionale in cui occorreva

un governo bene accetto alla Russia sovietica e solo i socialisti e i comunisti pote-

vano formarlo. Queste condizioni non sussistevano in Baviera, paese che era nella

sfera di influenza degli alleati, cui le estensioni della rivoluzione russa non giunge-

vano certo gradite, come si era già visto nella loro acquiescenza alla repressione

di gennaio a Berlino. Non c'erano dunque le condizioni oggettive per una rivolu-

zione; c'erano però indubbiamente alcune condizioni soggettive, specie in una parte

del proletariato di Monaco, radicalizzato dall'assassinio di Eisner e dalla repressione

berlinese che sembravamettere in pericolo i l potere dei consigli anche in Baviera.

Questa volontà, sia pure confusa e parziale, del proletariato, era reale e bisogna

tenerla presente se non si vogliono considerare Toller, Landauer ecc. come dei puri

agitatori che hanno inventato qualcosa•chenon esisteva. Era lecito quindi, chiedersi,

ancheda un punto di vista marxista ortodosso e non soltanto anarchico-utopistico,

se non valesse ugualmente la pena di scatenare una rivoluzione che, come la

Comune, potesse reggere abbastanza a lungo da costituire per i l proletariato

un'esperienza decisiva che non andasse perduta dopo la quasi inevitabile sconfitta.

La risposta che diede Leviné i l 7 aprile, quando rifiutò l'appoggio dei comunisti

alla avventura rivoluzionaria, f u giustamente negativa. Tuttavia dalle memorie

della moglie, Rosa Leviné, sembra che già allora egli non escludesse una risposta

positiva, purchè però i l partito comunista potesse controllare lui la situazione,

opportunità .che gli fu data otto giorni dopo. E' questo che spiega, ma non giusti-

fica affatto, i l suo ripensamento. Egli credeva, certo a ragione, che i comunisti

avessero la chiarezza di idee e la forza organizzativa chemancavano agli altri. Ma

perchèqueste capacità potessero affermarsi ci voleva un lungo_ lavoro che non era

concepibile con le truppe controrivoluzionarie a pochi chilometri da Monaco. Se

egli fece la scelta, così inconciliabile con i l giusto scetticismo di prima, di prendere

lé redini della rivoluzione in una situazione già disperatamente deteriorata, è certo,

comesupponeRosenberg, per un « erroneo sentimento dell'onore rivoluzionario »

per, cui non si dovevano « piantare in asso le masse », « sebbene — aggiunge

Rosenberg — una siffatta tattica costringa i marxisti a sacrificare la loro più chiara

comprensione della necessità e la loro stessaesistenza ai capricci del primo avven-

turiero che raggruppi intorno a sè un certo numero di operai radicali » ( 10 ); però

èanche perchè c'era in lui questa pericolosa fiducia taumaturgica, insita nello

stesso leninismo e che sembrava confermata dalla rivoluzione d'ottobre, che le

capacità teoriche e organizzative del partito possano bastare di per se, se non a

vincere, a rendere sensata una avventura rivoluzionaria indipendentemente dalla

situazione oggettiva e dalla consapevolezza e partecipazione reale dellemasse. La

(10) A. Rosenberg,

Storia della repubblica tedesca,

Leonardo 1945, pp. 85-86.

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