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incentivi: Mentre la classe operaia avvertiva una spinta profonda all'egualitarismo

edesigeva aumenti sulla paga base perchè, come si diceva in officina, « la bocca

sotto i l naso ce l'abbiamo tutti », sulla rivista sindacale un dirigente del PCI spie-

gherà invece, con un richiamo a Stalin, che nel « mondo del lavoro non possono e

non debbono esservi livellamenti », perchè « l'uomo è un animale agonistico » e

quindi mantenere « il livellamento dei salari e difenderlo significa impedire l'aumen-

to della produzione, significa voler falsamente elevare un sistema statico a dignità

di prassi dinamica, realizzatrice di benessere collettivo ». A ragione la Lanzardo

osserva che questi spunti sottendono tutta un'ipotesi teorica del PCI, che è poi

analoga a quellamessa in pratica in Unione Sovietica, sopratutto dopo i l XX Con-

gresso. In essa, « una volta eliminata la proprietà privata, cioè eliminate le classi

intese in senso tradizionale — dei detentori dei mezzi di produzione e presta-

tori di forza-lavoro, i l socialismo diventava un fatto compiuto; logicamente, per i l

PCI, introdurre differenze salariali all'interno di questo sistema già socialista non

avrebbe comportato una modifica della struttura sociale in senso capitalistico;

mentre invece criteri di uguaglianza salariale avrebbero condotto alla distruzione

di una società già organizzata socialisticamente ( ...). L'esigenza di un incremento

produttivo era tanto più valida in un sistema socialista, che avrebbe potuto dimo-

strare in questa competizione pacifica la capacità di ottenere livelli di sviluppo pari

osuperiori a quelli dei sistemi capitalistici » ( p. 137).

•Questi elementi di analisi chiariscono un ulteriore problema e cioè che nella

strategia del PCI del dopoguerra non esisteva alcun legame organico tra rivendi-

cazioni immediate e lotta per i l socialismo. Infatti, anche volendo dare credibilità

alla linea della « democrazia progressiva », è chiaro che obbiettivi parziali quali

l'epurazione dei quadri dirigenti e la democratizzazione della vita di fabbrica, indub-

biamente sentiti dallemasse, potevano giungere in porto soltanto se inseriti in un

quadrocomplessivo che avesse ipotizzato in partenza una serie di scontri frontali

con l'avversario di classe. Ma era appunto questo un terreno aprioristicamente

impraticabile per la politica di « unità nazionale » del PCI. Non è perciò difficile

rispondere all'obbiezione di Spriano sulla presunta « sfiducia » della sinistra extra-

parlamentare per la « funzione egemonica della classe operaia » verso altri strati

sociali. Una cosa, infatti, sarebbe stato i l giusto recupero a una strategia socialista

di alcuni settori ( generalmente non impiegatizi) della piccola borghesia, da cui i l

fascismo aveva tratto la propria base di massa e un'altra

P.embrassons-nous

ai

«ceti medi » voluto dal PCI, in nome della « solidarietà nazionale » tra capitalisti

eoperai. Questo discorso non poggiava su alcuna autonomia politica e militare

delle organizzazioni di classe e non poteva non produrre — come di fatto ha

prodotto — che una sola egemonia, quella della borghesia capitalistica, che prima

ha< ricostruito » i l proprio apparato produttivo con l'aiuto dei partiti di sinistra e

poi ha licenziato questi ultimi senza benservito.

5. I l viaggio negli Stati Uniti di De Gasperi, la scissione socialista di Palazzo

Barberini e la frattura sempre più profonda in seno alla CGIL rappresentano gli

antecedenti politici della estromissione della sinistra dal governo. Alla vigilia delle

elezioni del 18 aprile, tuttavia, la classe operaia si riprometterà qualcosa di più

di una nuova coalizione di « unità nazionale ». A Torino, fra gli stessi dirigenti del

PCI, ve ne erano alcuni che non soltanto condividevano la volontà di trasforma-

zionepresente nellemasse,ma che in caso di vittoria elettorale erano decisi anche

adaffrontare con tutti i mezzi la reazione delle destre. Su questo aspetto la ricerca

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