

un indiscriminato appello « nazionale» a repubblicani-emonarchici per una lotta
unitaria contro i l fascismo.
Anziché caratterizzaremarxisticamente gl i schieramenti politici e le forze
sociali in giuoco, i dirigenti. del PCI preferiranno partire dalle enunciazioni ideo-
logiche e programmatiche dei partiti antifascisti e a questo livello di indetermina-
tezza ogni differenza di classe sfumerà nella pretesa unità di intenti dell'intero
movimento resistenziale, in nome di un concetto di « popolo » di mazzinianame-
moria. « L'obiettivo che noi proporremo al popolo italiano, finita la guerra — dirà
Togliatti nel '44 — saràquello di creare in Italia un regimedemocratico e progres-
sivo». E al V Congresso del PCI, nell'inverno del '45, Scoccimarro preciserà i
contenuti di tale scelta politica: « Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è la ricostru-
zione immediata della nostraeconomia, utilizzando tutte le forze che a quest'opera
possonoportare il loro contributo. La solacosachepossiamo fare è che nella rico-
struzione gli interessi e la volontà della borghesia capitalistica non siano l'unico
fattore dominante e assoluto, che gli interessi e la volontà della classe operaia
faccianosentire la loro influenza in funzione degli interessi nazionali ».
Nato leninista ecresciuto staliniano, il PCI avevadunque finito per far proprio
l'assunto fondamentale del revisionismo socialdemocratico: quello secondo cui la
classeoperaia può assolvere un ruolo dirigente nella società indipendentemente
dalla conquista del potere politico e dalla trasformazione in senso socialista dei
rapporti economici esistenti. A questa regola, che implicherà un'alleanza di lungo
periodo con la borghesia e i l conseguente rifiuto di ogni conflitto di classe per
«evitare la creazione di inutili disordini » ( Togliatti), i l gruppo dirigente del
PCI si manterrà fedeleanchenegli anni successivi. I presupposti teorici che faranno
di questa politica del PCI una strategia della collaborazione di classe e non un
sempliceaccordo tattico sono delineati conprecisioneda Liliana Lanzardo: « Da un
lato si tratta del fatto che la collaborazione tra capitale e lavoro è vista all'interno
di, unaautomatica identificazione tra sviluppo economico "equilibrato" e sviluppo
delle condizioni favorevoli al socialismo. La solidarietà tra le classi "progressiste"
èvista così comeun lungoprocessochenon compromette le prospettive di dominio
dellaclasseoperaia, proprio grazie all'altro presupposto teorico della linea del PCI,
ecioè l'identificazione tra partito comunista eclasseoperaia: la presenza al governo
del PCI viene considerata infatti garanzia di per sé sufficiente a guidare e control-
lare il processo di sviluppoeconomico e politico. Si ha così una totalemancanza di
individuazione delle caratteristiche fondamentali dei rapporti di produzione capita-
listici nella fabbrica; della divisione capitalistica del lavoro; dell'intrinseca natura
capitalistica della ricostruzione postbellica, fino al punto da considerare la prima
fase di questa ricostruzionecome un fatto "neutro' » (p. 389).
3. Date queste premesse generali, merito fondamentale della ricerca d i
Liliana Lanzardo è stato quello di verificare in una situazione esemplare come
quella di Torino la contraddizione insanabile tra la « via democratica e nazionale
al socialismo» e la linea di lotta dellaclasseoperaia della Fiat che, negli anni 1945-
1949, ha ripetutamenteespresso l'esigenza di un rovesciamento radicale dei rap-
porti sociali e politici esistenti. Ciò ha comportato un motivato rifiuto delle ricerche
sulla Fiat promosse da parte del movimento operaio, che hanno finito per far
coincidere la storia dellaclasseoperaiacon quella degli impegni di lotta e dei conte-
nuti rivendicativi scelti dalle centrali sindacali. In realtà, sostiene la Lanzardo,
le lotte politiche della classeoperaia della Fiat si aprono coi grandi scioperi spon-
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