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simultanea del « punto di vista della parzialità » e del « punto di vista della

totalità » può ricreare la necessaria salutare distanza.

Detto in altri termini, due sono, e contraddittori, i compiti. L'uno è quello

di far passare i nostri vicini e noi stessi dalla passività quotidiana (attraversata

da sussulti di piacere e di angoscia, come i feti nelle loro acque), alla capacità

di mutamento come costituzione di un progetto di se stessi; di passare dal

senso di un tempo non qualificato, che si contorce nell'attimo a quello di un

tempo sostenuto dalla solidarietà e quindi volto a rendere, come diceva

Merleau-Ponty, « meno fatale i l disordine e meno insensata la morte ». E' i l

versante politico del vivere morale.

L'altro impone di combattere l'ipnosi indotta dall'azione come droga, la

distrazione » che viene dal falso ottimismo; ci comanda di dispiegare e di

aver sempre presente l a irriducibilità, l a insaziabilità dei desideri e dei

timori, le radici corporee della individualità (1), la passione per il valore del

presente, la necessità di chiamare per nome i vizi e le virtù e praticarli nella

loro contraddizione. E' i l versante morale del vivere politico.

Fra questi due compiti non ci deve essere priorità, debbono essere perse-

guiti contemporaneamente. Solo così sarà possibile, come di fatto è possibile,

che i sussulti di piacere e di angoscia della tragedia quotidiana non siano

semplicisticamente negati e rimossi nella dimensione del progetto collettivo

ma, trasporti, ritrovino o trovino una dignità che non sapevano di avere; e

che i l tempo del presente non sia semplicisticamente negato nel futuro ma,

trasposto, ritrovi o trovi la dignità che in altri secoli si chiamava preghiera

e comunione (e che avrebbe i l tranquillo dovere di riprendere quei titoli).

Solo se ci si rifiuterà di escludere, di volta in volta, l'uno dei due compiti,

sarà possibile che la lotta necessaria, oggi capitale, contro la 'distrazione' del

falso ottimismo e contro quella che ho chiamato, in questo scritto, la paura

di una troppo intensa esposizione all'orrore della storia, non sia semplicisti-

camente trasformata in scenario per anime belle e ferite, in pensoso « uma-

nesimo », in immobilità.

5. S e coloro che vogliono la tramutazione della società sottol ineo:

della

società, fatta

dagli uomini, non dell'uomo, irriducibile alla storia — non assu-

mono anche « il punto di vista della totalità », la loro parzialità continuerà ad

essere legata al destino del nemico.

Questo è il senso della profetica minaccia di Blok a Majakovski, quattor-

dici mesi dopo Ottobre. Questo sento oggi nei gridi, proprio paradossalmente

più « parziali », al limite della demenza, di un Jackson. Questo non sento nel

rumine « marxista « dove, intorno a noi, s'impastario i secolari rancori di un

«progressismo » sempre, e giustamente, sconfitto.

Oggi « il punto di vista della totalità » è esattamente i l contrario d i

quello che, nella prima Metà del nostro secolo, è stato il grandioso monismo

di Lenin e che la seconda metà illumina di un colore sinistro. E' la capacità

(1) Leggo ora (« L'erba voglio» n. 1, pp. 13-15) la prima parte di uno scritto

di E. Fachinelli che mi pare conforti questemie opinioni per quanto è del passaggio

dal « biologico» allo « storico» e del tempo della «coazione a ripetere ». Mi pare

molto opportuna e meritevole di riflessione la citazione hegeliana sulla «storicità»

epica e la « astoricità» tragica. I l celebre passo si legge a pag. 1604-1606 della

Estetica,

traduz. F e l t r i n e l l i 1963.

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