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Franco Sbarberi

A PROPOSITO DI « CLASSE OPERAIA

EPARTITO COMUNISTA ALLA FIAT »

DI LILIANA LANZARDO ( 1

1.

I l rinnovato interesse con cui negli ultimi mesi è stata riaperta la discus-

sione sul periodo 1945-49 ha una ragione essenzialmente politica. Più volte, da

partecomunista, si eracercato di esaltare l'esperienza « unitaria » realizzata nell'im-

mediatodopoguerra tra i vari partiti antifascisti e di offrire un'immagine del PCI

intimamente legato ai livelli di coscienza dellemasse.Recentemente, in linea con

gli ultimi sviluppi della « via nazionale al socialismo », si è anche tentato di sugge-

rire delle analogie politiche: come la classeoperaia avrebbe affrontato ieri l'espe-

rienza unificante della Ricostruzione, così marcerebbe oggi compatta verso le

Riforme.

Aparte l'inaccettabilità di un discorso che pretende di ricostruire la lotta di

classe in Italia con i parametri dellescadenzepolitiche del PCI, unacosaè difficile

imputare ai massimi dirigenti comunisti di ieri e di oggi e cioè la mancanza di

chiarezza ( alcuni hanno parlato di « doppiezza ») nell'indicare gli obbiettivi pratici

della « via nazionale al socialismo». Infatti: «massimaproduttività »raccomandava

Togliatti nel dopoguerra, « sì alla ripresa produttiva » ripete coerentemente Berlin-

guer in tutti i suoi discorsi.

Condue articoli apparsi sull'« Unità » del 28 aprile e del 23maggio e con un

intervento a un dibattito svoltosi nel N. 24 dell'« Espresso», Paolo Spriano e

PietroSecchiasono intervenuti ancora per il PCI sul periodo resistenziale.Secchia

non ha dubbi: nell'immediato dopoguerranessunopensava alla rivoluzione socia-

lista, tantomeno la classeoperaia, che voleva un regime di « democraziaprogres-

siva». E la ragione per cui neppurequesto obbiettivo è uscito dalla fase di proget-

tazionesarebbe dovuta al fatto che alla Resistenzamancavano i mezzi militari.

Infatti, mentre l'esercito tedesco era armato di tutto punto, « i partigiani dispo-

nevanosoltanto di mitragliatrici, bombe a mano e qualche mortaio ». Posto in

questi termini, il discorso non habisogno di una lunga risposta. Intanto sarebbe fin

troppo facile obbiettare a Secchia che i partigiani vietnamiti non hanno certo

aspettato il dono di un arsenaleatomico per iniziare la loro guerra di lunga durata

contro l'imperialismo francesee quelloamericano. La questione di fondo non è però

questa, perchè è di natura politica e noti militare. Da parte dei militanti della

sinistra di classe, infatti, viene imputata al PCI non tanto la responsabilità del

disarmomilitare dei propri quadri — anchesesappiamoche molti operai le armi

non le consegnaronomai — quanto quella del progressivo disarmo ideologico e

politico dellemasseproletarie, sia per aver scelto la strategia della collaborazione

con la borghesia sia per aver soffocato sul nascere la maturazione delle lotte più

dure del dopoguerra.

Non dissimili, anchese formalmente più elaborate, le argomentazioni di Paolo

Spriano. Per la verità nell'articolo del 28 aprile sull'« antifascismo dei giovani »,

più che parlare di Resistenza lo storico del PCI è apparsopreoccupato di sparare

azero sui gruppi extraparlamentari, accusati tutti e indistintamente di chiusura

(*) Einaudi, Torino 1971, L. 2.400.

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