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vano col trovarla soltanto nei comunicati cinese. I l socialismo per i l quale

era disposto a battersi l'operaio di Praga sembrava troppo poco per i nostri

studenti del 1968-69. E ancora oggi spiegano con acutezza a quegli operai che

cosa avrebbero dovuto fare e a quegli intellettuali che cosa avrebbero dovuto

pensare. Ho sentito trattare di «fascista » un noto regista ungherese perchè

nei suoi f i lm presenta le atrocità rosse accanto a quelle bianche: so che se

insegnassi storia a Budapest o a Varsavia o a Praga (e se, naturalmente, me

lo permettessero) insisterei molto sulle atrocità e sulle colpe « rosse ». Si

devono formare uomini capaci di sostenere le contraddizioni della verità; e,

per esempio, l a presenza d i sadici nelle f i le del la buona Causa. Per me,

tutto questo viene — nel senso di: discende cronomogicamente — dalla inca-

pacità di guardare l'età di Stalin. Chi, nella Nuova Sinistra, ha dedicato un

po' di seria attenzione agli unici documenti che ci sono pervenuti dall'Unione

Sovietica, quelli d i memorialistica e d i letteratura? Nel P.C.I. f u d i buon

tono fare i difficili con Pasternak. Ma fra i l 1956 e 1960, non ebbero migliore

fortuna, anche fra i dissidenti, gli autori polacchi o ungheresi — magari grandi

narratori, come Déry — che testimoniavano dell'età staliniana. I nostri Nuovi

Sinistri si interessarono di autori dell'Europa Centrale solo quando, come

Gombrowicz, fossero parsi sufficientemente

faisandés.

Certo, l e membrie

della Buber-Neumann, della Aksionova, della Mandel'stam, non lusingavano

la facilità rivoluzionaria, non presentavano ideologie di sinistra. Sollenicyn

parlava d i socialismo 'umano', cosa tutta da ridere per i nostri lettori d i

Artaud; e i l fi lm su Rublov, chi l'ha visto, sa che è tutto, dal principio alla

fine, un discorso neo-cristiano. Nessuno di questi autori suonava a fanfara

contro i Nuovi Zar. Quasi tutte le voci che in questi anni sono arrivate in

Occidente ci hanno parlato in nome di idee che da noi erano denunciate come

mistificazioni spiritualistiche, rottami mistici. Non so che qualcuno si sia

chiesto iche cosa questo volesse dire. I l socialismo russo andato a male

ripugnava. Ogni scusa era buona: questo è mediocre scrittore, quello è inge-

nuo, quell'altro piace al « Corriere ». Non parlo delle vocazioni mondane che

oggi si precipitano a discettare sui nuovi testi del teatro di Pechino; ci sono

sempre state, •le praticano oggi i figli di quelli che fra 1945 e 1950 trovavano

esemplari i più luridi film controrivoluzionari sovietici, come

Lenin nel 1918

o

La caduta di Berlino.

Parlo di chi aveva coraggio e intelligenza. Che cos'è

che non l i ha fatto resistere ad una prolungata esposizione a quella forma

di orrore? A quell'orrore specifico, che viene dalla contemplazione d i un

fallimento storico tanto ampio da coinvolgere l'idea medesima che ci siamo

fatti di uomo e di società possibili?

3. Venticinque anni fa uno dei punti che maggiormente opposero alcuni

intellettuali francesi vicini a Sartre ai comunisti (francesi e non francesi) di

disciplina stalinista fu l'insistenza dei primi a voler indagare le contraddizioni

che avevano accompagnata l a venuta della guerra, la lotta partigiana e le

persecuzioni naziste. Per gli al tri si trattava invece d i mettere semmai i n

evidenza l'eroismo dei vincitori e l'infamia dei vinti. Dubbi e ambiguità

dovevano essere lasciati alle 'jene dattilografe'; come Sartre. E qualcosa di

non molto diverso è occorso di leggere, in anni recenti, tra la pubblicistica

cinese. Non a caso un libro come

Humanisme et terreur

di Merleau-Ponty

è stato tradotto con quasi vent'anni di ritardo e quasi ignorato, prima e poi;

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