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immediatamente, anche se in termini assai diversi da quelli in cui l i pone

Napoleoni. I passi dedicati alla questione sono così numerosi che, per ragioni

di spazio, dovrò limitarmi ad alcuni accenni. ( S i veda, oltre a

Capitale,

I I I , 2, 175, Storia delle dottrine economiche, passim). M i sembra rilevante

sottolineare, però che i due problemi (realizzazione e teoria del valore e

della distribuzione) sono talmenti distinti, per Marx, che egli, nell'affrontarli,

adopera due schemi

diversi

(nel secondo caso lo schema non è disaggregato

in settori; cfr. I I I , 1, cap. I X ) (11) .

Prima di affrontare la questione del consumo improduttivo, vorrei accen-

nare brevemente a l giudizio complessivo che Marx dà d i Malthus. Duris-

simo, come abbiamo visto, quando egli cerca di « dedurre » la necessità del

consumo improduttivo, e quindi dell'esistenza dei ceti improduttivi, dalla

teoria del valore, assai più mite « non appena Malthus giunge alle conseguenze

pratiche »... in cui « egli è completamente nel suo elemento »

(St. dottr. ec.

I I I , pag. 56). Anzi la teoria marxiana delle crisi si fonda sull'unica intuizione

giusta che sul piano teorico Marx riconosce a Malthus (ma che poi quest'ul-

timo non sviluppa sia perchè ritiene sostanzialmente valido i l « principio di

Say », sia per le sue confusioni in tema di teoria del valore), quella di aver

messo in rilievo, per la natura di « scambio

ineguale

f ra capitale e lavoro

salariato »

(St. dottr. econ. I I I ,

pag. 14), che « la classe dei capitalisti non può

mai realizzare i l suo profitto per mezzo della [sola] domanda degli operai »

(ibid.,

pag. 20).

«L'unico merito di Malthus, di fronte alla miserabile dottrina dell'armo-

nia dell'economia borghese è appunto quello d i aver messo i n evidenza le

disarmonie, che certo in nessun caso egli ha scoperto, ma che in ogni caso

sostiene, dipinge e divulga con pretesco piacere))

d o t t r . econ.,

I I , pp. 285-

286). Commentando lo scritto anonimo di un ricardiano, che ravvisa nella

« trasformazione del sovraprodotto nel capitale fisso » e nel « commercio

estero che permette al capitalista di scambiare i l sovraprodotto con articoli

di lusso esteri e d i consumarlo così egli stesso » i due modi con i quali

impedire che « con l'accrescimento del plusvalore o del pluslavoro il capitale

sia costretto a restituire all'operaio una parte sempre più grande della sua

preda », Marx scrive: « Va notato che i l primo sistema [accumulazione] che

agisce solo periodicamente, ma poi paralizza la sua azione... presuppone la

trasformazione de l sovraprodotto i n capitale, mentre i l secondo sistema

presuppone i l consumo di una parte sempre crescente del sovraprodotto da

parte dei capitalisti, i l consumo crescente dei medesimi e non la

ritrasfor-

(11) I l fatto che Bortkiewicz, nel tentativo, parzialmente riuscito, d i fornire una solu-

zione corretta del problema della trasformazione (alludo a l suo secondo articolo

su Marx, ora tradotto in

Economia borghese ed economia marxista,

La Nuova Italia,

Firenze 1971) partisse, seguendo Tugan Baranowski, dagli schemi d i riproduzione

semplice di Marx, ha fatto credere, in un primo tempo, che i due problemi fossero

legati, nel senso che l a teoria dei prezzi d i produzione dovesse necessariamente

presupporre l a realizzazione delle condizioni d i equilibrio degli schemi d i riprodu-

zione ( i l « principio d i Say »). Successivamente è stato dimostrato che ciò non è

affatto necessario ,poichè prezzi e saggio del profitto dipendono soltanto « dalle quan-

tità di beni salario che costituiscono i l saggio del salario e dalla tecnica secondo

la quale quei beni salario sono prodotti » (Cfr. P. Garegnani,

11 capitale nelle teorie

della distribuzione,

Giufrè, Milano 1960; l a frase citata è tratta dall'Appendice C

[pag. 201], dedicata ad un esame della controversia sorta su questi problemi).

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