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Venne dì moda, dopo tanti anni di frontismo melenso, i l muso duro, da poli-

tico realista. Deportazione, terrore, distruzione di ogni legame fra compagni,

spionaggio universale: pessime cose, certo. Ma tutte causa ed effetto di un

errore

politico. Una volta che lo si fosse identificato — per esempio, nella

scomparsa della democrazia interna di partito — tutto i l resto poteva rien-

trare nella « piccola storia ». O essere subordinato ad un rigoroso criterio di

classe. Anzitutto, dicevano ( e dicono) «quando si taglia i l bosco volano le

scheggie ». E quindi, a quanto era accaduto nell'età d i Stalin, o si faceva

riferimento con una terminologia generalizzante, non emotiva, impersonale,

quella delle grandi sintesi, dei concetti socioeconomici e sociopolitici; varietà

«occidentale » delle chiacchiere sovietiche sul « culto della personalità », sulle

«gravi illegalità » o sulle « inammissibili deviazioni » o ci si preoccupava di

stabilire che cosa era stato fatto a l proletariato, al la classe operaia o a l

partito (« il popolo senza il partito è canaglia su cui si può sparare » -avrebbe

detto, a quanto mi fu riferito, un grosso dirigente del P.C.I. nel 1956, dopo

Budapest, in una concitata disputa privata), persuasi che si dovesse distin-

guere fra fucilazioni buone e cattive, torture socialiste e torture capitalistiche,

in nome della differenza, come diceva Trotzkij, f ra « la nostra morale e la

loro », ossia della certezza d'una giustificazione finale. « I l sangue che è stato

versato era dunque così puro?. », si era chiesto i l girondino Barnave, subito

dopo i massacri di settembre.

Per alcuni anni si arrivò a mettere in dubbio la saggezza del gruppo leni-

nista. O magari dello stesso Lenin. I l momento positivo della tendenza a l

socialismo veniva accorciato o allungato. C'era chi asseriva che quel momento

non era durato più d i ventiquattro mesi. O d i ventiquattro ore. I l socia-

lismo, per alcuni, non era stato mai così bello come sotto lo zarismo.

Le tesi cinesi, poi la rivoluzione culturale, ebbero come effetto di mandare

quel passato a raggiungere l'enorme recipiente del Passato. Chi è andato alla

scuola media quando Stalin era già morto, dello stalinismo se ne sbatte:

come facevamo noi se, ai nostri trent'anni, qualcuno ci parlava ancora del

Podgora o di Verdun.

2. Forse non sono stato chiaro? Credo proprio di non esserlo stato. Perchè

già sento obiettarmi che non è vero, che la riflessione — almeno fra i meno

giovani — c'è stata, eccome; e anche le letture e le discussioni. Altrimenti

non si spiegherebbero l'ampiezza e la profondità del moto che ha condotto

alla formazione della Nuova Sinistra, eccetera. Mi si accusa; di generalizzare

indebitamente, a partire da una esperienza troppo ristretta. Può darsi. Bene,

dico che la Nuova Sinistra non ha preso in considerazione la letteratura inter-

nazionale sui campi di concentramento e di lavoro dell'età staliniana, sulle

deportazioni, l a condotta della guerra, i processi (e, aggiungo, l a prosecu-

zione del regime di polizia nel corso degli ultimi vent'anni). Ha, lentamente,

accettato. Sull'Ottobre polacco e ungherese ha preferito' sorvolare. Ha acco-

munato quei fatti nella nebbia del termine « revisionismo ». Prendiamo ad

esempio l a Cecoslovacchia del 1968. Non si poteva parlarne senza risalire

all'età staliniana. Di qui i contorcimenti di molti amici e compagni per distin-

guere, al di là della burocrazia cèca e sovietica eredo-staliniana (e del socia-

lismo alla Ota Sik, parificato al capitalismo americano) un'inesistente 'classe

operaia' di 'sinistra' e 'rivoluzionaria' e 'antirevisionista'. Naturalmente, fini-

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