

ai tentativi del PCI di riaffermare la propria egemonia, di presentarsi come
autentico e « serio » interprete delle lotte operaie e studentesche, squalifi-
cando l a sinistra extraparlamentare nel suo complesso. E ' anche vero che
le reazioni di parte comunista sono state abbastanza differenziate, lungi dal-
l'allinearsi tutte .sull'esagitato e barocco telegramma d i Terracini a Ragio-
nieri e sulla tesi dell'analogia fra l'aggressione a quest'ultimo e le azioni fa-
sciste contro Misiano e altri comunisti prima e durante i l ventennio: una
tesi che illustra solo l'incapacità di giudizi storico-politici concreti e l'ottuso
ragionare, d i stampo liberal-conservatore, per analogie esteriormente for-
mali. Ma al di là di ogni particolare polemico, al PCI va innanzitutto ricordato
che l a responsabilità storico-oggettiva d i fenomeni degenerativi nella sini-
stra, particolarmente in quella giovanile e studentesca, risale in ultima ana-
lisi a chi ha scelto i l quadro istituzionale democratico-borghese come via
maestra per una sempre più vaga e velleitaria trasformazione socialista della
società, a chi ha tolto definitivamente al partito storico del proletariato ita-
liano l a possibilità d i dare adeguata espressione politico-organizzativa a i
fermenti d i radicale contestazione anticapitalistica operanti nel le masse
operaie e studentesche.
Respingere la controffensiva generale contro la sinistra extraparlamen-
tare e l'operazione diversiva messa così in atto dal PCI sulla base degli epi-
sodi fiorentini non può d'altronde giustificare un silenzio liquidatorio sulle
loro origini e conseguenze; anzi è compito della sinistra discuterli come
problema proprio e ricavarne alcune indicazioni. Episodi del genere, anche se
non rappresentativi, possono tuttavia suonare come campanello d'allarme,
come indicatori d i pericoli involutivi che, se non riconosciuti e battuti i n
tempo, possono domani compromettere l a crescita politica e non confusa-
mente unitaria della sinistra di classe. Tali tendenze involutive sono ricondu-
cibili a mio avviso, soprattutto per quanto riguarda i militanti studenteschi,
ad una falsa strategia, ad una falsa organizzazione, ad una falsa interpre-
tazione della struttura di classe.
•
1) L a
falsa strategia
ha trovato a Firenze una delle sue espressioni nel-
l'illusione che basti mobilitare, per d i più in modo mal preparato e mal
copiato da via Tibaldi, quello che nella città è solo — piaccia o no — un
gruppo marginale, cioè gli sfrattati, per mettere in crisi la mediazione rifor-
mista delle richieste proletarie occupando la Regione. Salvo poi a lamentarsi
delle male arti del PCI quando una parte della classe operaia e dei quadri
sindacali d i Firenze, soprattutto d i quella roccaforte tradizionalistica del
PCI che è la « Galileo », è intervenuta per proteggere un istituto come quello
regionale con cui essa si identifica. E chi si riempie rabbiosamente o morali-
sticamente la bocca di « riformismo» dovrebbe capire che esso è appunto
questo: non i l « tradimento di classe » dei dirigenti del PCI, ma qualcosa di
ben più reale e complesso, l'impigliarsi della coscienza operaia nell'illusione
che il PCI sia ancora il partito della rivoluzione italiana, che questa si faccia
dando crescente rappresentanza istituzionale nel quadro democratico-bor-
ghese alle massi 'popolari (le « regioni rosse »). Non capire che è con l'effet-
tivo stato di coscienza delle masse che, sulla base di analisi realistiche, vanno
fatti i conti (non con l a propria coscienza di presunta avanguardia); non
capire che questo stato non si modifica con un certo tipo di azione esem-
plare che oggettivamente si risolve in una provocazione infeconda, ma con
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