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listico fosse lineare, definibile in tutti i suoi aspetti a priori, e desse luogo

a condizioni « pure », evidentemente molte di meno sarebbero le difficoltà

per il pianificatore: si tratterebbe di fissare obiettivi sul cui raggiungimento

i dubbi sarebbero molto limitati e in ogni caso definibili a priori. Ma così

non è. E' in Marx piena la coscienza del fatto che lo sviluppo capitalistico

è ineguale, cozza contro contraddizioni che per essere superate richiedono

la creazione d i nuove condizioni generali che a loro volta risulteranno,

prima o poi , inadeguate al le esigenze indotte dal la crescita del le forze

produttive e dal livello dello scontro di classe.

E non si tratta solo delle contraddizioni che nascono dal rapporto t ra

la capacità produttiva e l a cornice forzatamente statica entro cui questa

opera. La persistenza di forze sociali differenti dal

capitalista

e dal

prole-

tario

( i n senso stretto e

non sociologico)

è un indice della non linearità

dello sviluppo, di una contraddizione non rilevabile all'interno di uno schema

teorico rigido. Ciò significa che la pianificazione non raggiungerà mai all'in-

terno del capitale quella purezza teorica che taluni credono d i ravvisare

nelle formulazioni teoriche delle direzioni capitalistiche.

Per focalizzare meglio l a questione vale forse l a pena d i richiamare

brevemente alcuni temi della politica Keynesiana. E' noto come i problemi

del ciclo siano stati risolti sul piano teorico dall'economista inglese e dalla

sua scuola. Schematicamente si possono considerare, all'interno del modello

keynesiano, tre fatti centrali: a ) l a dimostrazione della possibilità (che è la

norma e non l'eccezione) di un equilibrio non di piena occupazione e conse-

guentemente l a presa di coscienza della necessità da parte del sistema di

regolare l o sviluppo i n modo da contenere l a disoccupazione (s i a delle

forze produttive tecniche

che della forza lavoro) entro limiti tali da evitare

l'insorgere d i tensioni sociali difficilmente controllabili; b ) individuazione

dello sviluppo dell'economia come rapporto dirigibile d i grossi aggregati

(investimento, risparmio, domanda e offerta di moneta, ecc.); c ) centralità

della posizione dello Stato come regolatore e timone dello sviluppo. Questo

impianto si è tradotto storicamente nella creazione d i strumenti tecnico-

politici da parte delle direzioni capitalistiche, i l cui preciso obiettivo è risul-

tato in primo luogo dal tentativo di limitare gli effetti squilibranti del modo

spontaneo di sviluppo del capitale (cicli, crisi, ...) all'interno di una politica

di direzione e regolazione dello sviluppo. Nella politica anticiclica (con tutti

i suoi annessi più o meno immediati) è rilevabile i l nucleo di questo sforzo.

L'idea è semplice: si tratta di creare dei

feedback

che contrastino l'anda-

mento ciclico; i l pareggio del bilancio verrà realizzato, invece che di anno

in anno, nel lungo periodo. Nella realtà le cose non sono però così semplici.

Innanzitutto è necessario che i momenti d i inversione delrandamento

ciclico ( i punti superiori es inferiori d i ' « svolta ») vengano individuati con

un margine d i tempo abbastanza ristretto, e poi (ed è questo l'elemento

fondamentale) che i l sistema abbia raggiunto un grado d i elasticità tale

da 'permettere i n breve tempo l a messa i n atto d i quella politica l a cui

validità è stata dimostrata sul piano della teoria. Si supponga che per con-

trastare una tendenza deflazionistica lo Stato promuova stanziamenti e faci-

litazioni all'investimento privato: se queste misure, poniamo per la viscosità

del sistema burocratico, non venissero prese i n tempo, s i correrebbe i l

rischio d i renderle operanti i n un momento di ripresa dell'economia, con

effetto contrario a quello stabilito in teoria.

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