

componenti, dal le or igini f i no ad oggi.
Oggi, per al tro, d i f ronte al le scivolate verso i r r i tant i forme d i popul i-
smo massimalistico fatte da compagni sedotti più dalla lettera che dai signi-
ficati pol i t ici dell'esperienza rivoluzionaria dei paesi « sotto-sviluppati », af -
fiora — per reazione — la tendenza a sottovalutare l'interesse
generale
dei
fenomeni che s i sviluppano nelle campagne.
Ciò assume, grosso modo, due forme diverse:
a)
Met tendo l 'accento sull ' intensificarsi de i processi d i esodo dal le
zone rural i e d i espulsione d i manodopera dall'agricoltura, fenomeni inten-
sificatisi nel l 'ul t imo quindicennio con part icolare violenza parallelamente
alla rapida espansione industriale, alcuni compagni pensano che questo signi-
fichi una graduale ma considerevole diminuzione di peso e di valore generale
dei problemi d i quel settore, soprattutto per ciò che riguarda l a loro inci -
denza sul le decisioni d i fondo relat ive a l l e modal i tà, a l l e di rezioni e a i
r i tmi del lo svi luppo capitalistico.
b)
A l t r i compagni fondano invece l a loro convinzione del la diminui ta
importanza del settore agricolo i n quanto tale (cioè come contesto speci-
fico ne l quale l a l ot ta del le classi assume forme pecul iar i e ne l quale è
possibile r i levare fenomeni che arricchiscono qual itativamente l a nos t ra
conoscenza delle leggi generali del lo sviluppo capitalistico), sull ' idea che l e
trasformazioni i n a t t o nel le campagne, accelerando i processi d i proleta-
rizzazione, tendano ad avvicinare sempre d i p i ù — a l ivel lo d i comporta-
menti, atteggiamenti, ruo l i professionali, t i po d i consumi e d i aspirazioni,
ecc. — la condizione dei lavoratori agricoli a quella dei salariati industrial i.
Quest'ipotesi appare, i n generale, connessa p i ù o meno esplicitamente al la
idea che — essendo l ' industria i l settore produtt ivo
specifico,
ol t re che pro-
pulsivo, del la forma socio-economica capitalistica — l o svi luppo d i questa
società sia interpretabile grosso modo come progressiva estensione, a t u t t i
i settori, delle leggi e del t ipo d i rapport i che caratterizzano l ' industria (8) .
Riservandoci d i tornare i n modo p i ù preciso su quest i problemi nel le
pagine che seguono, occorre sottolineare sin d'ora alcune del le ragioni che
inducono a considerare sbagliate e politicamente pericolose queste due tesi.
Se si considerano i dat i generali sul la diminuzione degli addetti all'agri-
coltura i n I tal ia, essi sembrano por tare sol idi argomenti a l l a pr ima tesi :
dal 1951 a l 1961, i lavoratori agricol i sono passati dal 42,2 per cento a l 29,0
per cento sul totale del la popolazione att iva, diminuzione par i a 2.603.714
unità lavorative; tale percentuale è ulteriormente calata al 23 per cento circa
nel quinquennio successivo.
Considerando poi questo fenomeno in modo più analitico, emergono dat i
che sembrano avallare piut tosto la, seconda tesi : ne l decennio 1955-64, l a
manodopera agricola dipendente
è diminui ta i n I t a l i a de l 25,3 pe r cento,
mentre i
condut tor i d'azienda
sono diminui t i nel lo stesso periodo del 45,6
per cento ( f a t t o 100, rispettivamente, i l numero complessivo d i apparte-
nenti a ciascun gruppo nel 1955). Sembra dunque indubbio che le tendenze
di fat to al le qual i tanto l a pr ima quanto l a seconda tesi fanno r i fer imento
siano confermate da dati; ciò che rimane da vedere, è se questi dat i giusti-
fichino anche l a conseguenza che s i vorrebbe t rarne: u n a diminuzione
d'importanza sempre p i ù accentuata e irreversibi le del l 'agricoltura, come
settore specifico, tanto a l ivel lo economico quanto pol itico.
A sollevare dei dubbi sul la legi t t imi tà d i quel la conclusione, o pe r l o
•
49 .