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nizzazione che ne ripeta la divisione tra i facitori di politiche e i distributori

di volantini, senzapossederneneanche la, chiamiamola così, compattezza ideo-

logica.

Abbiamocosìmesso il dito sulla piaga. Non ci basta l'analisi della produzione

edella società su cui il PCI sii muove, ma anche molti altri si muovono. Cioè

secondonoi non esisteoggi alcuna analisi del mondo capitalistico, dei paesi « so-

cialisti », dell'imperialismo, paragonabile a quella di cui disponevano i bolscevi-

chi. Forse oggi vediamoanchemeglio i limiti della teoria di allora per l'universo

di allora; ma d i sicuro vediamo i limiti della teoria di allora per l'universo di

oggi. Non si può cioè da un canto ammettere la caduta di tutte o quasi le leggi

chedovevano portare al crollo oggettivo del capitalismo e continuare a compor-

tarsi come fosserovere; nè si può agire comesenon si sapessenulla della socio-

logia del partito politico e dell'organizzazione in generale (dopo tutto tutte le

grandi aziende funzionanocol€centralismodemocratico ») ecomesefosseancora

valida la identificazione (empirica del resto) della classe operaia come unica

classerivoluzionaria. Su questomagari sonoben pochi a porsi limitazioni rigide:

almenoc'è l'estensione ai contadini, cheperò in Italia comincia a significarepoco

(senon comeprovenienza degli immigrati) e, timidamente, ai tecnici. Ma siamo

ancorapoco più che gattini ciechi nell'affrontare i grandi problemi dell'istru-

zione (che poi è il non trascurabile problema dell'uomonuovo o del nuovo rivo-

luzionario); della divisione del lavoro (facile dire cosa non ci va o mostrare che

questa

divisione non è assoluta; più difficile tracciare un programma, una guida

peroperare nel sensodi modificarlasenza tornare all'aratro di legno); della scien-

za (che poi non sonochiacchiere, ma potere, economico ed ideologico, il motore

di tutta la macchina: diciamo pure,

quello che cinquant'ani fa era la fabbrica).

E fino a che si è come gattini ciechi in questecose,non si fa la rivoluzione, anche

perchénon si sa cos'è. Non la si fa neanche se gli operai della FIAT avessero

fiato per andare avanti così fino all'anno prossimo, anche se ripetessimo i l

maggio. Perchè valga la pena di ripetere consapevolmente i l maggio, bisogna

saperecosa fare a giugno. Altrimenti ci si ritrova abbracciati con Pompidou. ,

Ecosa si fa allora? Come si va avanti?

Per intanto si fanno le lotte: le proprie soprattutto, ma anche quelle degli

altri quando uno ci si trova in mezzo e per un verso o l'altro ne fa realmente

parte. Ma senzavendere fumo e recitare la parte di Ilic appenascesodal vagone

piombato; senza atteggiarsi od organizzarsi come l'ufficio»politico di un partito

inesistente; fornendo a chi fa le lotte analisi e non insulti da ripetere. E senza

inventarsele, le lotte, quando non ci sono e non si ha nessunadecente teoria o

esperienza per ritenere che dovrebberoesserci.

Ma, riteniamo, soprattutto facendo le lotte

proprie;

che almeno si control-

lanoper intero e si sa benecome e perchè si fanno. Non importa avere a priori

le teorie per saperesesono rivoluzionarie o no, riassorbibili o no. Interessa pos-

sederealmeno il quadro del proprio pezzo di mondo •esapere cosa si vuole in

quello. In questosensonon siamo affatto d'accordoconun'affermazione di Gui-

doViale in una recenteassemblea,secondocui le lotte studenteschedovrebbero

essere la « cassa di risonanza» delle lotte operaie. Primo perchè non funziona:

sono fallite le cinghie di trasmissione e fallirebbero le casse di risonanza. Poi

perchènessunodeve fare da cassa di risonanza a nessuno; e le lotte studente-

sche,sesono lotte di massa, sesono lotte degli studenti lavoratori, se riescono a

modificareveramentequalcosa nel meccanismodell'istruzione (e possonomodi-

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