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di massa» è già tutta fatta al centro o comunque nelle teste degli attivisti del-

l'Unione; manca infatti sia la possibilità di verifica pratica della linea (che quin-

di è immunizzata) che i l lavoro di interpretazione «dal basso » dei bisogni da

articolare come momento politico. Un conto infatti è i l lavoro di un militante

che è fornito di categorie analitiche e politiche (in nuce un'analisi di classe della

società e alcuni criteri di base di valutazione politica) per collaborare all'elabo-

razione dal basso delle tematiche politiche, e un conto è l'uso strumentale dei

bisogni o degli interessi della massa o gruppo sociale in funzione di una linea

che da essi comunque non può essere « corretta ». La « linea » non è nemmeno

una strategia in senso stretto, tanto meno in senso marxista, perchè manca: a)

l'analisi della società su cui deve basarsi ogni strategia, b) i criteri per l'individua-

zione delle forze sociali « rivoluzionarie » e quelli per i l successo o insuccesso

della « linea ». L'attività di formazione quadri tramite una specie di scuola di

partito, i l loro indottrinamento, la forte identificazione di essi con i l gruppo, i l

presentarsi con un'etichetta determinata e nettamente distinta da ogni altra

(almeno agli occhi dei militanti; per le masse forse le cose non sono così chiare),

la centralizzazione dell'elaborazione della linea delle parole d'ordine, la ripresa

di rituali da partito stalinista sia nella carriera del militante (fasi di iscrizione,

ecc.), che nelle sue crisi (autocritica, i l gruppo come tribunale del comporta-

mento del singolo, anche di quello privato): tut to ciò conferma che si tratta di

costruire un apparato « al servizio del popolo », naturalmente, ma « apparato ».

Come tale di fatto non ha niente in comune con l'idea di avanguardia esterna

(almeno nell'accezione dei compagni pisani); ma forse questa distinzione è troppo

sottile e non cosciente ai « maoisti ». A 2): si può affermare che l'Unione non ha

fatto e probabilmente non può fare con le categorie che adopera, un'analisi di

classe o comunque sia della società italiana. Ciò sembra falso, visto che nelle

pubblicazioni dell'Unione ci si riferisce spesso all'uso dell'inchiesta come stru-

mento di analisi politica e comunque si offre un'immagine ben precisa delle

tendenze di sviluppo della società. I l guaio è che si tratta di formule ideologiche

edottrinarie, per lo più prive di contenuto specifico, valide in ogni tempo e

luogo, e quindi quasi mai. Così quando si afferma che si avvicina l'ora della

crisi della borghesia (n. 3 di « Servire i l popolo ») si ripete una frase che circola

da 100 anni, ma che purtroppo — nel suo senso proprio, come catastrofe finale

non è mai stata vera, in Occidente. Così l'analisi delle classi è solo una tasso-

nomia formale, in cui compaiono soggetti politici immaginari come i l « popolo»,

«i contadini poveri», ecc. Certo esistono i contadini poveri, ma l'Unione non

dice che in Cina essi formano la maggioranza della popolazione, mentre in Italia

sono un gruppo sociale marginale dissanguato dalla emigrazione. Siccome Mao è

importato, ma il populismo ce l'abbiamo avuto in casa nostra da sempre, è molto

facile che i l maoismo non sia altro che populismo. Ma anche questa distinzione

non sembra comprensibile all'Unione proprio per i l suo abuso di un linguaggio

politico storico determinato, quello della rivoluzione cinese, che viene tradotto

letteralmente e quindi ridicolmente in italiano; ma è una mistificazione, per-

chènessuno ha mai detto in cosa la società italiana sia simile a quella cinese.

E' più facile agitare etichette di comodo, evidentemente, che lavorare per

produrre nuove analisi adeguate alla situazione. I l loro suso è connesso del resto

auna retorica complessa, le cui funzioni sembrano sfuggire a chi la usa: basti

dire che i l tono proclamatorio, cerimoniale, da iniziati (ma i l popolo lo capisce?),

e infine devozionale è indice della non verità, ha una funzione difensiva per

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