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dainentali: pianificazione ininterrotta, stabilità dei piani e delle norme, allarga-

mento dei diritti e dell'autonomia delle aziende ».

Meraviglia un po' sentire enunciare quasi come novità ciò che era moneta

corrente negli articoli degli economisti di cinque-sei anni fa. Ma anche questo

èsignificativo. Come è significativo i l fatto che i l relatore ufficiale, Baibakov,

ponga ben diversamente gli accenti : i l senso del suo discorso è che la riforma

sostanzialmente è fatta e non resta che da perfezionare i dettagli. Se questa impo-

stazione non trova che scarsa rispondenza nei fatti, non è per questo meno

importante come indicazione di una linea politica.

Da questa linea deriva logicamente l'attacco ideologico agli « estremisti »

che vogliono andare più in là: «Bisogna dire con estrema franchezza che non

passeremo sotto silenzio le pubbliche dichiarazioni i cui autori tentano di con-

trapporre i l piano e i l mercato, la pianificazione centralizzata e l'autonomia

gestionale delle aziende, di separare la legge del valore da tutto i l sistema di

leggi economiche del socialismo e di darle un significato autonomo, di sostituire

la pianificazione indicativa a quella costruttiva, d i far penetrare i principi

della concorrenza estranei al socialismo, e della necessità della liquidazione delle

imprese che per una ragione o per l'altra si trovano in difficoltà... Noi siamo

per la pianificazione ottimale, ma contrari a che la si giustifichi con teorie non

marxiste estratte dall'arsenale dell'economia politica borghese ».

Questa dichiarazione fa propri, di fatto, gli argomenti dei « conservatori »

che, in particolare nel corso del dibattito precedente la riforma, identificavano

il sistema di gestione dell'economia sorto nel periodo staliniano con i l socialismo

evedevano in qualsiasi attacco all'accentramento burocratico un cedimento al-

l'ideologia borghese. Qui non si vuole contestare che i bersagli dell'attacco di

13aibakov — peraltro non nominati, sintomo significativo di un costume — non

meritino in qualche modo le osservazioni che vengono loro mosse, che i l passo

succitato non abbia un proprio « granello razionale ». Si vuole semplicemente

far notare come in URSS permanga una prassi in base alla quale, anche quando

si ritiene opportuno aprire una discussione, i l imiti di questa discussione sono

rigidamente imposti dall'alto a seconda della congiuntura politica, ed i l supe-

rarli comporta un caporalesco richiamo all'ordine. Tale interpretazione sembra

confermata anche dalla domanda di uno dei partecipanti al convegno, i l mem-

bro dell'Unione degli Scrittori Kantorovic, che chiese se la tirata di Baibakov non

significasse « la proibizione di ogni discussione » sulla riforma economica. La

risposta di Baibakov nelle conclusioni, seppure formalmente più dolce, di fatto

non fa che confermare l'impostazione della relazione (21).

Sostanzialmente analoga è la posizione del Vicepresidente dell'Accademia

delle Scienze dell'URSS, Rumjancev. Questi però, forse per salvare la sua fama

di rinnovatore, accoppia l'attacco ai « revisionisti » con quello ai « dogmatici ».

Può darsi che questo sia un fatto importante per le discussioni di corridoio che

si dice siano molto più vivaci di quelle pubbliche. Ma credo sia più interes-

sante mettere in rilievo la tendenza di sviluppo che non fare della cremlinolo-

gia, per l'informazione del lettore italiano su questo particolare e fondamentale

problema.

I problemi ideologici sono stati trattati da questi due interventi, secondo

una tradizione fermamente stabilita per cui la discussione ideologica è « un gioco

che giova ai capi », e viene riservata a chi appartiene ad un certo livello gerar-

chico. Nulla vieta però di ripetere e diffondere le ipostasi degli addetti ai lavori