

per cui la stessa lotta di classe appare come « integrata », e qualsiasi azione
collettiva sembra priva di senso. I n altri casi la critica al significato ideo-
logico del lavoro specialistico rimane, per analogo meccanismo,- separata
dalla critica all'egemonia del capitale: l a critica a l sistema, i n assenza d i
un inserimento i n lotte politiche, diviene critica « culturale» e non svela-
mento della contraddizione fra capitale e lavoro, o lotta contro
quel
padro-
ne. I n questi casi, la collocazione borghese del professionista isolato che si
pone questi problemi prende i l sopravvento, e non è raro verificare come
la critica a l « molo» tecnico-professionale rimanga prigioniera del la pro-
messa di un ruolo migliore, in cui la cultura trovi infine i l suo premio e la
mansione sia più libera, razionale e qualificata: l a spinta critica può allora
marginalizzarsi dirigendosi verso quegli ostacoli che hanno deluso la spinta
individualistica a l successo e hanno frustrato l'aspirazione a una «vera »
dignità intellettuale.
f
E' qui, fuori dall'industria, che acquistano un peso particolare gruppi
professionali d i cultura superiore: questi possono manifestare una insof-
ferenza che non parte nè dalla coscienza dello sfruttamento industriale, nè
d'altro lato da rivendicazioni corporative, ma da una riflessione critica che
per i l fatto di legarsi a disagi realmente esistenti, rimane peraltro preva-
lentemente intellettuale, cioè dovuta a una
coscienza contraddittoria
anzi-
chè al rifiuto di un
sottoprivilegio di massa
che, di fatto, non l i riguarda
personalmente. E ' qui che la tematica di una « prassi antiistituzionale » si
manifesta più volentieri, i n condizioni d i relativo privilegio e autonomia,
cioè dove la lotta contro i l sistema capitalistico diviene lotta contro i suoi
sottosistemi più lontani dalla coercizione della grande impresa produttiva.
La relativa autonomia e libertà di cui godono gli studenti e i professionisti
che propongono la «lotta antiistituzionale» fa sì che essa si rivolga tipica-
mente contro una serie di servizi (scuole, università, enti culturali, istituti
di ricerca, ospedali) l a cui arretratezza e disfunzionalità rispetto al sistema
è tale da permettere a quest'ultimo di lasciare una certa libertà agli oppo-
sitori nell'elaborare nuovi modelli. I n tal modo la « lunga marcia attraverso
le istituzioni », una volta marginalizzata, non solo serve di sfogo agli intel-
lettuali e agli studenti « contestatori », ma fornisce anche una serie di pro-
poste « antiautoritarie » che opportunamente razionalizzate possono costi-
tuire i l modello di futuri servizi più accettabili e funzionali di quelli attuali.
L'unico modo di uscire da questa difficoltà è dato a nostro avviso dalla
possibilità d i riproporre, fuori dall'industria, l e stesse contraddizioni del
know how
specialistico che abbiamo esaminato a proposito della figura del
tecnico e del professionista nella grande azienda, e analoghi obiettivi d i
lotta. Qui, fuori dalla coercizione produttivistica e in particolare nelle isti-
tuzioni e nei servizi, i l problema non è diverso, anche se è indubbiamente
meno tipico e evidente: da un lato si deve avere la critica del sapere spe-
cialistico, sia come scienza e tecnica mistificate, sia come privilegio e vio-
lenza; da un altro lato l'organizzazione e la formulazione di lotte e di piatta-
forme rivendicative che siano comuni sia a i tecnici, sia a i lavoratori non
qualificati e semiqualificati che operano nello stesso campo.
Oltre alla minore coercizione produttivistica esistono qui, nelle istitu-
zioni e nei serv- izi, due altre differenze importanti nei confronti del mondo
aziendale. La prima è data dalla minore specializzazione tecnica dei quadri
intermedi e dei dirigenti; l a loro superiorità nei confronti del personale
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