

La strettoia in cui i l sistema era venuto a trovarsi in coincidenza con la
fine della fase che abbiamo chiamato di « ricostruzione » era determinata essen-
zialmente — come abbiamo visto — da una struttura della qualificazione non
adeguata alle nuove esigenze. Gli investimenti nell'uomo comportano forti costi
sociali e danno frutt i solo nel lungo periodo, d i per se questo fatto l i rende
difficilmente conciliabili con un sistema socio-economico in cui i l motore essen-
ziale è costituito dalla logica del profitto a
breve termine.
Di qui la contraddi-
zione che nel mondo del lavoro si esprime nel tentativo di uno sfruttamento più
intensivo delle forze disponibili (lavoro vivo e lavoro morto accumulato). Nelle
università, in cui si pone l'esigenza di un adeguamento da cui dipende i l futuro
adeguamento su scala generale della società, la contraddizione assume sostan-
zialmente la stessa forma: dat i gl i al t i costi dell'operazione, la riforma oggi
assumesostanzialmente la forma di una più accentuata pressione sulle strut-
ture universitarie nella loro configurazione attuale. Queste, che del resto sono
interessate al mantenimento della loro attuale anacronistica struttura gerarchica
che contrasta con le esigenze di una razionalizzazione capitalistica, trasferiscono
la pressione sugli studenti che ne sopportano tutto i l peso. I n concreto questa
pressione si traduce in un'intensificazione del processo di studi volto a «libe-
rarsi » d i tutta la « zavorra ». Se un tempo i l 40-50% degli studenti lasciava
l'università senza aver concluso gli studi dopo una permanenza media variante
tra i 10 e gli
11
semestri, ora si tenta di introdurre un limite di 8 semestri. Ciò
costringe gli studenti a prender coscienza degli effetti decimanti dell'università,
poichè non dispongono più di un margine di tempo che offra la prospettiva di
un recupero. L'università appare com'è nella realtà: una macchina inesorabile
che estrometterà uno studente su due. Questo peggioramento della situazione
di lavoro degli studenti, indipendentemente dal grado d i coscienza raggiunto
equindi dalla facoltà in cui studiano, non viene accettato senza reagire e co-
stringe le autorità accademiche — che vedono minacciata la loro autonomia dalle
critiche di un'opinione pubblica interessata — a un « disciplinamento » ammi-
nistrativo della popolazione studentesca. Già i n passato ogni crisi apertasi
all'Università Libera era stata accolta dalla stampa con commenti polemici
non solo verso gl i studenti, ma verso le stesse autorità accademiche. D'altro
canto, gli appelli che le autorità accademiche rivolgevano agli studenti per un
ritorno alla normalità, si concludevano sempre con l'accenno alla possibilità di
un intervento dello stato, possibilità che spingeva l e autorità accademiche
all'adozione di radicali misure restrittive. Questa dialettica aveva già dimostrato
di poter essere sfruttata per accelerare un processo d i politicizzazione degli
studenti, per la prima volta consci delle implicazioni sociali precise della loro
situazione. I provvedimenti restrittivi adottati dalle autorità accademiche pote-
vanoessere utilizzati per rovesciare l'atteggiamento scettico degli studenti deter-
minato dalla categoria ideologica della neutralità, acquisita nel corso della loro
attività scientifica mistificata, in una presa di posizione in favore della libertà
cheassumeva i l carattere di una negazione determinata, della negazione dei
provvedimenti restrittivi adottati dalla burocrazia universitaria.
In polemica con la tradizionale politica dell'SDS, a Berlino si sosteneva, in
questo quadro, anche l'esigenza di assumere, in quanto organizzazione studen-
tesca, un nuovo atteggiamento politico nei confronti della rappresentanza stu-
dentesca. Agl i occhi degli studenti essa non era che un momento della
buro-
craziauniversitaria. Ed effettivamente, per tradizione, in Germania essa non è
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