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intellettuali, col pressante invito a morire i l più presto possibile) fosse una

richiesta politica, componesse con una politica. Che, d i fronte all'« econo-

mismo » corrente, i l primato del momento politico debba esser sostenuto

e provato, non f a dubbio; c'è però i l rischio — come dimostrano certe

interpretazioni ("idealistiche" o ideali) della Rivoluzione Culturale cinese

che talvolta l'esigenza della "virtù" prevalga fino a stravolgere l'azione poli-

tica in volontarismo. Insomma pretendere che gli scrittori e gli intellettuali

non s i comportino da pechinesi del sistema mentre gl i abbaiano contro

non dovrebbe servire tanto alla loro personale redenzione quanto ad un più

rapido censimento degli amici e degli avversari.

Moravia ha insomma risposto male a i suoi intervistatori studenti ( s i

dice Moravia per indicare un certo tipo di intellettuale progressista); male,

perchè frustrato nel suo sincero desiderio d i essere considerato progres-

sista e marxista. E anche peggiore scacco dev'esser quello di molti profes-

sori quando si avvedono che gli studenti non tanto sprezzano l'evocato anti-

fascismo resistenziale quanto l'età successiva; che l i portò i n buona fede

a credere di avere combattuto per la buona causa, con la ricerca, coi suoi

risultati, con le cabale accademiche, con le terne, con gli incarichi, contro le

forze conservatrici, clericali o peggio. Quel che gli studenti non perdonano

è la modestia, il corto orizzonte di quei conflitti; quelle tempeste progressiste

che si sono placate nel bicchier d'acqua del centro-sinistra, nell'anticamera

comunista al governo, nella carriera universitaria, nelle tavole rotonde tele-

visive o peggio.

Ma anche gli studenti interlocutori di Moravia non paiono rendersi conto

che l'alternativa non è davvero quella d i scrivere sul « Corriere » o sul -

l'«Unità ». Moravia non lo dice: ma scrivere sull'« Unità» è come scrivere

sul « Corriere » o anche peggio,

se non si condivide la politica PCI;

perchè i l

grado di implicazione politica di una collaborazione al vecchio foglio mila-

nese è inferiore a quello del giornale comunista: i l primo riproduce l e

consuete coordinate della presente società di classe, i l secondo t i usa invece

a conferma della sua politica delle alleanze culturali, cioè d i una singola

distinta — e inaccettabile — scelta politica.

No, la vera alternativa che i contraddittori di Moravia, senza del tutto

saperlo, propongono (e Moravia se n'è accorto) è fra pubblicare e non pub-

blicare, fra scrivere e non scrivere. Al limite, fra essere e non essere. Quando

parlano — con Mao o Guevara — dell'e intellettuale che si deve suicidare

come tale » pronunciano una formula che il pensiero religioso conosce benis-

simo. E' i l diniego di sè provocato da un senso insostenibile di colpa; origi-

nato, in questo caso, dal privilegio di cui l'intellettuale continua a godere,

lo voglia o no, nella nostra società e non; solo nella nostra.

Ma l'unico modo, per l'intellettuale, di "suicidarsi" è quello di contri-

buire — da intellettuale, se questo significa col meglio delle sue capacità

alla fine della categoria separata degli intellettuali. Questo alcuni studenti

lo sanno.

Lo sanno anzi i migliori, credo. I suicidi — reali o simbolici d e g l i

scrittori servono solo a restaurare i l mito dello scrittore. Bisogna vivere,

altro che storie; e lavorare a mutare il mondo per mutar se stessi.

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