

sto fra certi limiti biologici dell'uomo e certe aspirazioni (in ultima analisi edoni-
stiche, ma molto complicate e arricchite dalla cultura) dell'uomo stesso possa
essere eliminata radicalmente. Si cureranno, certo, molte singole malattie, si
prolungherà la durata media della vita umana, si metteranno a disposizione del-
l'uomomezzi tecnici che sempre più ne aumentino il potere in determinati campi
(e in una società di eguali questi mezzi tecnici non saranno più, come adesso,
fonte d i accresciuta alienazione e d i accresciuto asservimento). Ma saranno
sempreprogressi riformistici e non rivoluzionari: la fragilità biologica dell'uomo
non potrà — a meno di avventurarsi in ipotesi del tutto fantascientifiche
essereveramente superata.
Proprio Marx, e più ancora Engels, hanno spesso osservato che la storia
umana è ancora — e lo sarà fino all'avvento della società comunista — una
società in buona parte « naturale », cioè in cui l'attività cosciente degli uomini
ha ancora una parte limitata. Se una prima emancipazione dell'uomo dalla
natura ha avuto inizio da quando esso ha incominciato a lavorare e a produrre
(e continua a svilupparsi via via che si sviluppa i l progresso tecnico), una
seconda, qualitativamente diversa, avverrà solo con l'instaurazione d i una
società di eguali, cioè col famoso salto dal regno della necessità al regno della
libertà. Ma anche questa seconda emancipazione non libererà l'uomo dai suoi
limiti biologici.
Le considerazioni ora fatte possono servire a chiarire in che senso vada
intesa la duplicità di piani t ra « naturale » ed economico-sociale, su cui già
mi ero soffermato nel mio primo articolo. Indugiarsi a dimostrare che non c'è
nulla o quasi nulla nell'uomo odierno che non sia in qualche modo mediato
eriplasmato dal suo essere sociale, significa sfondare una porta aperta. Tale
dimostrazione può tutt 'al più servire contro chi irrigidisca e schematizzi l a
distinzione tra i due piani; si riduce, invece, a un inconcludente gioco sofistico
sesi pretende di usarla per ridurre senz'altro i l naturale all'economico-sociale.
Si ricade, allora, nel sofisma di chi nega... la fisiologicità della digestione. Si
dimentica che la mediazione economico-sociale non ha dappertutto lo stesso
spessore e la stessa decisività. Un fenomeno come i l capitalismo è sorto a
livello economico-sociale, appartiene a quella storicità di ritmo più rapido che
ètipica della sola storia umana e che è connessa col nuovo genere di trasmis-
sione di esperienze per apprendimento (non per eredità biologica) che le altre
specie animali non conoscono o conoscono in misura troppo limitata. Biolo-
giche sono soltanto le premesse remote del capitalismo, biologiche sono certe
condizioni generali di ambiente, di costituzione dell'organismo umano ecc. senza
le quali i l capitalismo come ogni al tra formazione economico-sociale non
potrebbe sussistere; ma la spiegazione dello specifico funzionamento di questo
modo di produzione va cercata sul terreno economico-sociale, ed è a questo
livello che bisogna agire per distruggerlo e sostituirlo con un modo di produ-
zione più elevato. Un fenomeno come la vecchiezza, invece, è sorto e continua
aprodursi a livello biologico: la sua « socialità » riguarda soltanto alcuni suoi
riflessi valutativi (diversa posizione sociale dei vecchi ecc.), e anche sul piano
valutativo incide poco, perche la vecchiezza rimane un fatto sgradevole anche
nella società più gerontofila o gerontocratica di questo mondo; non incide per
nulla, poi, sulla sua sostanza, sulla quale, difatti, una rivoluzione socialista non
ha alcun diretto influsso modificante. Certo i diversi regimi sociali danno un
ben diverso impulso alla « lotta contro la natura », favoriscono la rassegna-
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