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La polemica stessa contro la psicanalisi tradizionale va condotta da due

lati. E' giusto rimproverarle (come ha fatto ottimamente Jervis in più occa-

sioni) la sua indifferenza per la dimensione economico-sociale dei rapporti umani,

ma è del pari necessario rimproverarle i l suo scarso interesse per lo studio

anatomico-fisiologico del sistema nervoso. E' stato questo

duplice

sganciamento,

dalla biologia e dalla « politica » i n senso lato, che ha fatto della psicanalisi

un mito del decadentismo europeo assai più che una scienza.

Molto più giusta di quella di Jervis è la posizione che sul problema della

conoscenzaassume Fiamma Baranelli. Essa osserva (« Q.P. » 30, p. 110 sg.) che

l'uomo, nell'incontro-scontro con l a realtà esterna, seleziona, t r a tut te l e

sensazioni che i suoi organi d i senso sono capaci d i ricevere, quelle che

lo

interessano. «Non

si può d'altra parte dimenticare — essa aggiunge — che

l'attività dell'uomo lo mette in contatto con

certe parti

della natura, diverse nei

diversi momenti della sua storia. Una

scelta,

e cioè un intervento attivo del

soggetto nella conoscenza, è dunque possibile almeno a questi due livelli: a

quali fenomeni e, nell'ambito di un fenomeno, a quali aspetti di esso rivolgersi ».

Questo è un discorso molto più concreto che l'appello generico alla prassi.

Vorrei soltanto fare una precisazione. La conoscenza non si sviluppa soltanto

comeconoscenza di ciò che iisponde a un bisogno o ad un interesse dell'uomo,

maanche come conoscenza di ciò che disturba, danneggia, opprime l'uomo. Se

nel concetto d i « interesse» s i include anche questo secondo t ipo d i espe-

rienze, e si intende quindi per « interesse» tutto ciò che

ci riguarda,

in senso

favorevole o sfavorevole, allora l'osservazione della Baranelli è del tutto giusta,

ma allora le nozioni di « scelta » e di « intervento attivo del soggetto » vengono

aperdere quell'intonazione un po' unilateralmente pragmatistica che esse ten-

dono ad assumere, se non mi sbaglio, nel suo discorso.

Tale intonazione pragmatistica si accentua facilmente se si considera la

conoscenza scientifica come la conoscenza per eccellenza. Qui si presenta un

problema che avevo già in parte, ma insufficientemente, toccato nel mio primo

articolo: i l problema del rapporto tra conoscenza scientifica ed esperienza co-

mune (2). Se la prima si differenziasse dalla seconda soltanto per la sua esat-

tezza molto maggiore, sarebbe legittimo considerarla senz'altro come rappre-

sentativa della conoscenza umana in generale. Senonchè per un altro verso, cioè

per quel che riguarda i l « rapporto di potere » t ra i l soggetto e l'oggetto, la

conoscenza scientifica rappresenta un caso molto parziale e atipico, perchè è

fortemente privilegiata in senso attivistico. Beninteso, anche in sede di teoria

della scienza i vari idealismi e semi-idealismi sono erronei, perchè svuotano di

ogni effettivo significato i l concetto di verifica sperimentale (che implica un

prender contatto con una realtà oggettiva con la quale vanno messe a con-

fronto le nostre costruzioni teoriche) e minano alla base, come ha dimostrato

Ludovico Geymonat, la nozione stessa d i progresso scientifico (3). Tuttavia

(2) Nella filosofia recente i l problema è stato trattato, per lo più, limitatamente a l linguaggio

equesta restrizione lo ha formalistizzato e ha impedito di vederne tutte le implicazioni.

(3) Vedi L. Geymonat,

Filosofia

e

filosofia della scienza,

Milano 1961, pp. 156-159. I l concetto di

progresso scientifico, dice Geymonat, « ci autorizza a parlare d i un aggancio della scienza

con qualcosa che prima del lontano inizio delle ricerche scientifiche sfuggiva all'umanità ed

ora invece viene da essa gradualmente e sicuramente raggiunto »: un oggetto che « si ma-

nifesta come qualcosa d i

al tro

dal soggetto, cioè d i irriducibile a i processi con i qual i

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