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C I N E M A

IL SUICIDIO DI MARILYN MONROE

Molti dei soliti commentatori han trovato comodo far colpa a Holly-

wood della morte di Marilyn. Avrebbero almeno dovuto aggiungere che

Hollywood le aveva anche dato la vita. Coe, quando si accusa il pubblico

di « crudeltà » verso un suo idolo, si dimentica la « generosità » con cui

quel medesimo pubblico lo ha « creato » (ma sappiamo bene che, come

non si tratta di vera generosità, neanche si tratta di vera crudeltà). Chi

vende l'anima al diavolo è facile che finisca dannato, e non è onesto

sdegnarsene e lacrimare. Molto più utile sarebbe invece chiedersi perchè

il patto col diavolo sia quasi inevitabile, necessario: qu i è i l nocciolo

del problema, di qui si deve partire. Mettere sotto accusa Hollywood —

'e per di più in quel modo becero — è ancora il miglior modo per evitare

di mettere sotto accusa il

sistema

di cui Hollywood è solo uno dei tanti

prodotti. Niente di più perfettamente

hollywoodiano

di questi cronisti

e critici che se la prendono con Hollywood. Perchè la morte di un « in-

nocente » deve essere

più tragica

della morte di un « colpevole »? Per-

• chè aver sempre bisogno d i un « colpevole » e d i un « innocente »?

I N o n siamo nei più puri schemi hollywoodiani? Questa gente non riesce

a capire che niente è più tragico della nuda verità, si tratti del destino

di Marilyn o dell'uomo più oscuro. Bisognerebbe costringerli a leggere

Cecov, o Tolstoi (quando non è afflitto dal delirio ideologico), perchè

imparino la vita da capo.

Marilyn era una diva piuttosto che

un'attrice.

Qualcosa di meno,

di più, — qualcosa di essenzialmente diverso. I l cinema tende ad espri-

mere soprattutto dei divi, e volendo fare un esempio di

attore

cinema-

tografico quasi fatalmente cadiamo in nomi di attori di teatro che hanno

anche

fatto del cinema. Nessun'arte o spettacolo più del cinema (non

solo per la sua specifica natura tecnica ma soprattutto per la sua enor-

me area di consumo) comprime l a personalità dei propri autori, dal

regista agli attori. Quanto più una massa è numerosa e diversa, tanto

meno è ciò che la accomuna. Ed è questo

minimo cothune

che i l divo

deve esprimere se

tutti

gli spettatori devono riconoscersi in lui. Questo

minim,

ovviamente, è

quasi sempre

una semplificazione, una diminu-

zione, una falsificazione. Talora però,

casualmente,

in alcuni divi questo

minimo

è autentico, e se quasi sempre lo spettatore tende a riconoscere

nel divo i più falsi dei propri problemi, i propri mi t i più grossolani,

è ancora capace di scoprirvi la propria paura, colpe, istinti, la propria

tristezza, riconoscere in lui la propria crisi (anche se in modo confuso,

semicosciente, mascherato). Sono i casi eccezionali di Chaplin, della Gar-

bo, e — in minore — anche di un Bogart e d'una Marilyn Monroe.

Non credo che Marilyn fosse molto congeniale al pubblico italiano

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