

boni. - Ma niente affatto!
la
sarebbe ridicola! I suoi operai,
pagati
a gior–
nata, hanno questi bisogni? Ebbene lavorino mezz'ora di più ogni giorno
per
compensarlo del tempo;
è
più che giusto!
48_
Ma le rivendicazioni principali relative alle condizioni di lavoro
riguardavano soprattutto l'orario di lavoro e la situazione igienico–
sanitaria.
Gli operai tipografi milanesi erano più che mai risoluti a chie–
dere un orario di lavoro generalizzato a tutte le tipografie che non
superasse le 10 ore. Tale orario, osservato prima del 1880 solo nelle
grandi tipografie (Ricordi, Treves e Sonzogno
49
)
appariva infatti
per la maggioranza degli operai che lavoravano dalle 1O e mezza alle
13 ore giornaliere, come un risultato indispensabile per garantire
un minimo di salute e di riposo. Una durata di lavoro superiore alle
10 ore giornaliere era diventata insopportabile soprattutto in rela–
zione alle condizioni e agli ambienti estremamente insalubri in cui
il
lavoro spesso si svolgeva. Secondo quanto affermava la Direzione
del Pio Istituto rispondendo alla circolare ministeriale sul lavoro dei
fanciulli e delle donne del
25
luglio 1879 "', in Milano molti locali
di tipografia erano pessimi dal punto di vista igienico-sanitario.
Nelle tipografie Letteraria, Civelli e Brambilla, cui si aggiunse più
tardi la tipografia Maglia, ubicate nei sotterranei della Galleria Vit–
torio Emanuele, nei sotterranei
51
«
più malsani che si possano imma–
ginare, senza la necessaria ventilazione, che non solo esporti i miasmi,
ma che impedisca anche che l'aria vi si corrompi e l'umidità vi si
infiltri
»,
gli operai tipografi erano costretti a lavorare per tutta
la giornata servendosi della luce a gas, poiché quasi nulla era
l'aria che penetrava dalle finestre che era impossibile tenere aperte.
Erano ambienti tanto umidi che gli abiti lasciati ll la notte si in–
zuppavano di umidità, e il lavorante se li asciugava poi addosso du–
rante il lavoro; gli arnesi che venivano momentaneamente abbando–
nati si coprivano rapidamente di muffa o di ruggjne
52 •
Anche se le condizioni in cui lavoravano gli operai impiegati in
queste tre tipografie - che a detta dei proprietari e delle autorità
municipali erano sanissime ed estremamente igieniche - possono
essere considerate condizioni limite, non bisogna pensare che molto
diverse fossero quelle delle altre tipografie. Secondo quanto rife–
risce
«
La Tipografia Milanese
»
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infatti, in quasi tutte le tipo–
grafie gli operai erano spesso costrett i a lavorare in luoghi umidi,
oscuri, fabbricati per altri usi come deposito di merci o per scuderie.
La quasi totalità dei tipografi era colpita da una malattia professio–
nale conseguente all'avvelenamento da piombo: il saturnismo. Quasi
tutti infatti erano affetti o da ~oliche o da perdita momentanea della
vista, e molti da malattie al cervello e al midollo spinale, da convul–
sioni epilettoidi e da arteriosclerosi (fenomeni questi temporanei del
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Biblioteca Gino Bianco