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consumi nazionali d'altra parte confermano in pieno la diagnosi

dei proprietari tipografi. Basta considerare, infatti, che nel 1862 i

consumi per alimentari, vestiario e abitazioni rappresentavano circa

il

90% dei consumi totali, per rendersi conto di quanto scarsa fosse

la parte di reddito nazionale disponibile per un'industria che pur

aveva bisogno di assai costosi investimenti n. In una siffatta si–

tuazione di mercato era naturale che riuscisse a resistere

e

ad

af–

fermarsi solo chi poteva contare su di una notevole capacità di

penetrazione, mentre non vi era possibilità di sviluppo

per

chi

doveva accontentarsi di un mercato locale.

La struttura dell'industria tipografica trova poi una seconda

e

importante concausa nella politica degli appalti governativi. In un

momento in cui l'industria tipografica per svilupparsi

ed

affermarsi

aveva bisogno di un mercato di ben più vaste proporzioni di quello

che era riuscita a conquistare con l'Unità, gli appalti governativi

provenienti dall'Economato Generale avrebbero potuto avere una

importante funzione riequilibratrice, in quanto avrebbero potuto

rappresentar~ un potente sostegno per quelle imprese che non era–

no in grado di affrontare positivamente

la

difficile situazione di

mercato.

In realtà la politica degli appalti seguiva un corso completa–

mente opposto. Fra i molti appunti infatti che i piccoli e medi pro–

prietari tipografi rivolgevano all'Economato Generale, vi era in

modo particolare quello riguardante i grossi appalti " che com–

portavano condizioni in genere molto gravose e praticamente im–

possibili per le piccole e medie tipografie

29

Un tipico esempio - che suscitò aspre polemiche - di questa

politica,

è

rappresentato dal concorso di appalto bandito nel 1871

30

dallo Stato per la stampa delle leggi, dei decreti reali e di atti

ufficiali del Governo e dei Ministeri di Grazia e Giustizia e delle

Finanze. Tale appalto doveva durare 9 anni e doveva essere con–

cesso solo ad uno stabilimento tipografico che possedesse 16 mac–

chine tipografiche e 16 torchi. Inoltre, per concorrere,

la

ditta

avrebbe dovuto depositare 20.000 lire e, una volta ottenuto l'ap–

palto, depositare altre 80.000 lire nella Cassa dei Depositi e dei

Prestiti. L'assegnatario, poi, era tenuto ad acquistare la Stamperia

Camerale di Roma, che ammontava ad un valore di 109.000 lire

circa, somma che, aggiunta alle 80.000 di deposito, costituiva

innegabilmente un bel patrimonio di cui solo una ditta di notevoli

dimensioni e di ingenti capitali poteva disporre. L'appalto, secondo

«L'Arte della Stampa»

31

,

avrebbe dovuto fruttare un introito annuale

di 250.000 lire (e quindi complessivamente 2.250.000

lire

circa)

per fornitura di carta, stampa

k

legatura.

Un appalto di cosl ampia portata chiaramente

«

era destinato ,.

- sottolineava « L'Arte della Stampa» - a un

«

pesce grosso che

10

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