

abile cacciatore. Santificava due dei giorni della settimana
ed
era una natu–
rale reazione del lavoro continuo, indefesso, prostrante degli altri cinque
78.
Per quanto riguarda la gravosità delle varie fasi di lavorazione
del feltro, molto significative sono le testimonianze relative all'im–
bastitura ed alla follatura. L'imbastitura era effettuata con l'arsone
a mano, ed oltre al fatto che
«
la battitura di un cappello ben fatto
richiedeva non meno di dieci minuti di tempo ed uno sforzo non
lieve di fatica
»
79
,
l'opera io era soggetto direttamente all'azione, dele–
teria per i suoi polmoni , del pulviscolo della lana sollevata nell'ope–
razione. Quanto alla follatura poi, per la quale si usava un bagno
d'acqua bollente addizionata di tartaro rosso,
«
l'operaio procedeva
a somiglianza di un lavandaio, o di chi tratta fogli di pasta col
mattarello, immergendo e brancicando di continuo l'imbas titura,
aiutandosi col rulletto, ingrossato nel mezzo a modo di fuso, per
meglio comprimere e rivoltare le falde, finché ne usciva un feltro
dello spessore e della consistenza voluta
»
80 .
Inutile sottolinear e gli
effetti di una simile operazione sull'epidermi de del lavoratore, oltre
che sui suoi polmoni . Analoghe le condizioni di lavoro nella fase
della tintura. Per gli operai addetti alla lavorazione del cappello
di pelo poi (del resto la più diffusa a Monza in periodo pre-indu–
striale), il più grave pericolo era costituito dall'avvelenamento per
mezzo del mercurio col quale si trattavano le pelli e che, come am–
misero gli stessi industriali,
«
era comunissimo tra i cappellai
»
81
•
I primi dati sui salari per il periodo da noi considerato sono
quelli che ci offre uno studio del 1864 del Cot ta Ramusino
82
,
piut–
tosto interessante (malgrado tutte le riserve possibili ricordando la
qualità di sottoprefetto dell'au tore) in quanto ci permette di valu–
tarne il valore reale e di fare un confronto con altre categorie.
I cappellai da questa statistica risultano ceto operaio privile–
giato, ma bisogna tener presente che si trattava ancora di manodo–
pera specializzata e padrona del mestiere in tutte le sue fasi più
delicate di lavorazione cui, proprio per la loro complessità, non pote–
vano che essere addetti operai esperti ed abili: il che risulta evidente
dal confronto dei salari degli uomini con quelli, sensibilmente infe–
riori, di donne e fanciulli. Infatti se da questa statistica gli uomini,
addetti appunto alle fasi più importanti della lavorazione del feltro,
con una media giornaliera di retribuzione in lire 2,25 superavano
in Monza tutte le altre categorie di lavoratori (i cui salari andavano
dalle lire O ,65 per gli addetti alle fabbriche di ferro alle lire
1,
7
5
per gli addetti alle fabbriche di amido e alle manifatture di cotone),
le donne, addet te ai lavori meno impegnativi di rifinitura, avevano
con la loro media di 45 centesimi una delle paghe più basse (rispetto,
ad esempio, alle addette alle manifatture di cotone che guadag?avano
80 centesimi e a quelle che lavoravano nelle fabbriche d1 filosello
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Biblioteca Gino Bianco