un processo di crescente proletarizzazione.
Lo
sviluppo della mec–
canizzazione della tessitura , determinando una progressiva e rapida
svalutazione del
«
mestiere» , di un'« arte,. che si tramandava di
generazione
in generazione e che rappresentava l'unica risorsa per
i lavoratori della città, presentava nuovi e gravi problemi, non più
risolvibili con la beneficenza ed il mutuo soccorso.
Lo
sfruttamento .
crescente cui erano sottoposte le maestranze tessili poneva in pri–
mo piano l'esigenza di agire nel campo dei rapporti fra capitale e
lavoro, di operare per una loro modificazione in senso favorevole
alla condizione dei lavoratori , di organizzare insomma la
«
resistenza »
operaia al potere del capitale.
Alla testa del trapasso dal mutuo soccorso alla resistenza "', che
avvenne a Como tra il 1875 e il 1880, parallelamente a quanto av–
veniva in altre località dell'Italia settentrionale, furono dunque i
nuclei urbani dei tessitori , mentre assenti da questo processo rima–
sero per molto tempo gli altri settori della classe lavoratrice tessile.
L'avvio a questo processo di rinnovamento dell'organizzazione
operaia fu dato dalla
«
Società di Previdenza e di Indizi al lavoro
dei tessitori in seta della fabbricazione comasca
»,
attiva a Como
dal 187
5.
Per la prima volta infatti una Associazione di lavoratori
additava ai soci con chiarezza la necessità di abbandonare i vecchi
schemi del mutualismo, come non più rispondenti alle giuste do–
mande dei lavoratori
«
non già per colpa di questa o quella perso–
na, ma per organismo della istituzione stessa»
142•
Gli organizzatori
della società non perseguivano però l'intendimento di combattere
le Società di Mutuo Soccorso che anzi
«
per i malati, i vecchi e in
certo qual modo anche per un po' di istruzione che diffondono, sono
oltremodo benefiche» , ma ne indicavano chiaramente i limiti, iden–
tificabili anzitutto nella incapacità da esse dimostrata di
«
mettere
il lavoratore al suo posto
».
Tale intento la Società di Previdenza
e
di
Indizi al lavoro comasca riteneva fosse raggiungibile
«
istituendo
un corpo morale di operai che abbia da discorrere sui comuni inte–
ressi coi capitalisti
»;
certo i detentori del potere economico erano
riconosciuti essere
«
i capitalisti che hanno i denari e fanno lavora–
re l'operaio », ma questo non escludeva affatto che
«
le condizioni
di lavoro devono dettarsi reciprocamente fra capitalisti ed operai,
gli uni esibendo, gli altri accettando
»,
perché
«
è
ormai tempo che
scompaia il pregiudizio troppo diffuso
di
considerare il capitale
assqluto signore del lavoro: il primo padrone e l'altro schiavo [ ...].
La
meta
è
l'armonia fra capitale e lavoro
».
Il punto di partenza per
conseguire questo obbiettivo doveva essere la creazione di una gran–
de associazione operaia, risultante dalla confluenza massiccia e co–
sciente di
«
chi soffre, di chi molto lavora e poco guadagna, di chi
molto ancora ha da rivendicare alla società: abbandonato dai potenti,
angustiato dalla fatica, non sorretto dallo studio che gli fu rifiutato ,
121
Biblioteca Gino Bianco




