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1911

tantismo letterario e per poco amore politico, non è né esatta né giusta.

È

proprio per

politica,

per senso

politico,

che io ed Amendola giudichia–

mo, pur avendo, nota bene, le tue idee,

inopportuno ed inabile ed inef–

ficace,

il continuare quella campagna sulla

Voce.

È

possibile che tu,

uomo politico, non ti sia ancora accorto che non è perché Tripoli pare un

Eldorado che il governo c'è andato, ma per ragioni politiche diplomatiche

superiori.

La

questione se Tripoli è o no un buon affare sarà da risolversi poi.

Ma da quel che pare, da quello che è l'argomento

fondamentale

degli av–

versari, da quello che io e i Luchaire sappiamo da

due

fonti dirette e certe,

resulta che la Germania sarebbe andata a Tripoli se non ci si andava noi.

È

dunque per politica, che noi diciamo: zitti per ora. Il credere con al–

cuni articoli della

Voce

a tremilacinquecento copie di distruggere il movi–

mento fatto da tre milioni di copie di grandi giornali, è ridicolo; tanto

piu quando si vede che quegli ·articoli non han persuaso nemmeno quelli

che ritieni serie persone e tecniche

(per

esempio Colucci, Valenti! che sono tri–

polini). Il delitto di cui tu ci imputi è immaginario e da esso non hai

diritto di trarre la conseguenza che è tuo

dovere

di lasciare la

Voce

e che

noi siamo dei dilettanti. No, caro Salvemini; noi sentiamo, sf, delle cose

superiori

alla politica, ma non sono queste la letteratura; e sono cioè la vita

morale, la disciplina, il giudizio storico. E tu stesso le senti superiori,

e ad esse

sacrifichi la politica.

Su questo ha ragione Ambrosini: la politica

è raggiungimento di fini: e il tuo (come il nostro) moralismo è un im–

paccio alla politica. Se tu volessi davvero il suffragio saresti giolittiano; non

lo sei, perché piu della politica senti la vita morale. Ed è per questo che

noi ti vogliamo bene, ed è per questo, bada, che dei giovani come noi

ti

avrebbero seguito. Ti avremmo seguito per

il

rifiuto di Albano, e non

per la deputazione. Se tu domani facessi un giornale unicamente poli–

tico, vedresti queste simpatie scemare; e d'altra parte il tuo carattere stesso

ti impedirebbe di lavorare politicamente sul serio, di accettare la compa–

gnia di birbe, di usare strumenti bassi per

attuare

una tua idea di azione.

Tu avresti il destino di Sonnino: che le tue cose migliori se le coverebbe

Giolitti o qualche altro politicante. Oggi stesso, non separandoti, per uno

scrupolo morale, da Turati, ti sei lasciato prendere l'iniziativa da Bissolati.

da Bonomi... da Podrecca! E domani figurerai un porta coda di Bissolati.

Per bacco, non senti questo? Non senti che tu eri unito alla

Voce

non

già per realizzare un programma, ma per dimostrare che c'è una generazione

nuova in Italia, capace di studio e di vita piu seria e magari domani di

una azione, ma disperata?

Tutto questo non

è

per sconsigliarti dal fare un giornale tuo. Anzi:

tu sai che per il primo te ne parlai. E se lo farai, ti offro anche la

Libreria

della Voce

come parte organizzativa.

È

un'esperienza utile, quella che farai.

Tu vedrai che non otterrai con un giornale tuo, quello che hai ottenuto con

la

Voce

non tua interamente. E sai perché? Perché un giornale politico non

sarà letto che dai politicanti. Mentre la

Voce

entra e penetra nelle classi

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