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1899

dogli un favore non ·dovrei rinunziare

alla mia dignità; mi rivolgerei a

Lei come ci si rivolge a un fratello; piuttosto come la donna si rivolge

al suo santo protettore, senza sentirsi umiliata di pregarlo. E chi sa se

o prima o poi le avventure della vita non mi daranno occasione di ri–

cordarmi della Sua amicizia. Ma ora,

in questo caso, io provo come

un piacere doloroso a conservarmi intatta la mia difficoltà e ad accanirmi

intorno ad essa per vincerla. Sono soddisfazioni queste, che solo noi altri

disperati ci possiamo dare e che ci compensano di tante altre seccature.

Nella Sua lettera Ella mi consiglia ad essere prudente:

sono tanto

prudente che con le mie idee finora non ho avuta

la minima

seccatu–

ra. La prudenza mi danneggia. Se potessi

firma.re

i miei articoli col mio

nome, ora avrei una posizione invidiabile nel giornalismo

italiano. Vedo

i miei articoli citati e riprodotti e nessuno sa che sono io. Tutti conoscono

il

Travet,

il

Tre Stelle,

il

pessimista,

il

rerum scriptor;

e nessuno conosce

me. Se gli articoli, che firmo con quattro e cinque pseudonimi, li firmassi

tutti col mio nome, diventerei una forza nel mio partito e nel giorna–

lismo e mi assicurerei una vita dignitosa, agiata, indipendente. Non pre–

tendo di essere un genio, ma nel giornalismo pochi avrebbero la mia cul–

tura. Ma... non posso fare altrimenti. Per firmare col nome dovrei o dimet–

termi o lasciarmi destituire. E per darmi questo lusso, dovrei aver tanto

capitale da poter vivere almeno per un anno sulle mie spese. Questo capitale

non c'è; dunque... acqua in bocca. Speriamo che ci pensino i regi Lin–

cei. E in compenso della mia prudenza, che ci guadagno? Niente. Lei

mi augura una cattedra. Una volta me l'auguravo anch'io. Ora ne ho

smessa la speranza. Non che me ne ritenga indegno; credo anzi che nei

miei studi appena un paio di persone possano competere con me. Ma

è

impossibile

che io arrivi a una cattedra. Una volta si conquistava

il

posto di straordinario per concorso e dopo alcuni anni si diventava ordina–

rio. Ora un decreto reale, ispirato dal Baccelli,' ha vietato i concorsi per

straordinario e ha dato il monopolio delle nomine al ministro, che le farà

per meriti politici e per raccomandazioni di deputati. Questa non è strada

buona per me. Potrei domandare

la libera docenza; e lo farò. Ma sono

sicuro che il Villari, pur stimandomi molto, mi spezzerà le gambe, perché

son socialista, come ha fatto per altri. Resterò dunque sempre professore

di liceo, con centosessantasei lire e sessantuno centesimi al mese.

Come vede, la prudenza è la mia rovina. E io spero che un giorno i

miei poteri di inibizione non funzioneranno piu, i miei nervi daranno uno

scatto, perderò

la pazienza, diventerò

imprudente,

firmerò un articolo

sovversivo, mi lascerò destituire. Soffrirò cinque o sei mesi di fame e poi

mi farò la mia via. Se fossi solo, l'avrei già fatto; ma sono legato da

doveri superiori al mio amor proprio e ai miei interessi. Cosf gli anni

migliori passano, la fibra s'invecchia; e io che sento nella mia testa il cer-

' Guido Bacce)li, deputato di Roma nelle legislature XII-XXIV, era ministro della Pubblica

Istruzione nel gabinetto Pelloux dal 29 giugno 1898 al 14 maggio 1899.

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