

Carteggio
cento lire. Se le cose vanno come mia madre mi scrive, cosa della quale
l'esperienza passata mi fa dubitare,
fra qualche settimana dovrei poter–
Le
spedire anche il resto.
Tandem!
Vorrei scriverLe
tante cose, ma questo infame
foglio di carta non
basterà. Chi sa se potremo dircele tanto presto a voce.
Io
assisto con attenzione e con rabbia a ciò che avviene in questi
giorni
in Italia. Non si
è
visto mai un partito piu balordo del libera–
le; ora se la prendono anche coi clericali. Ma che cosa si propongono
di fare questi idioti di monarchici? Vogliono fare il deserto?
Del resto vedo senza dispiacere la gragnuola che comincia a cadere
anche sui clericali. Chi non rispetta la libertà altrui, non ha il diritto di
veder rispettata
la propria. Quando
il governo accusava il partito socia–
lista di aver organizzata
la rivoluzione, i clericali ne furono felici e bat–
terono le mani. Ora è la volta loro; anch'essi sono accusati di aver pre–
parata
la rivoluzione. Cosf capiranno con quanta
ragione fossimo prima
accusati noi. Capiranno? Qui sta il busillis. Sono i clericali capaci di capi–
re? Ahimè, sono troppo
italiani,
per poter capire.
Anche noi socialisti siamo
italiani;
e le botte, che ci capitano sulle
spalle, ce le meritiamo. Era da piu d'un anno che io andavo dicendo nei
discorsi privati e negli articoli che bisognava smettere
la tattica
legale
e metterci sulle vie rivoluzionarie; nel Natale passato, parlando a Milano
col Turati, gli dicevo che in primavera
il prezzo del pane avrebbe pro–
dotti gravi tumulti e che noi avremmo dovuto prepararci ad intervenire
in essi per trasformarli
in rivoluzione; ma il Turati mi prese in burletta,
dicendo che esageravo e che non c'era da pensarci neanche lontanamente
alla possibilità di uno scoppio.
La
sera del 1° maggio, quando lessi sui gior–
nali le prime notizie dei moti di Molfetta e di Piacenza, scrissi al Turati
spingendolo a voler influire con la sua autorità perché il partito si po–
nesse a capo dell'agitazione;
il 2 maggio scrissi di nuovo, rincalzando:
Ma il Turati
il 4 maggio, alla vigilia dei tumulti di Milano, mi rispon–
deva che era inutile dar colla testa nei muri; che a Milano nessuno pen–
sava neanche alla possibilità di. una rivolta; che quelli eran moti istintivi
della plebe affamata, a cui Milano non si sarebbe associata, perché Milano
si muove solo per un
concetto
e non per un
istinto:
E cosf s'è avuto
quel che s'è avuto. La massa, che aveva quell'istinto
rivoluzionario, che
mancava a noi, senti che il momento buono era venuto e si precipitò
nella lotta. E il nostro partito, invece di precipitarsi anch'esso nella lotta
e di dirigerla a uno scopo, pretese di fermarla sempre per la solita ido–
latria della legalità, e quando non poté fermarla si astenne. Cosf la massa,
che sostenuta e diretta da noi sarebbe stata invincibile, fu vinta; e ora noi pa–
ghiamo
le spese. E ben ci sta. Chi nel momento buono si astiene dalla
lotta, rinunzia a tutti i vantaggi di una possibile vittoria e si assicura tutti
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1
Non sono conservate in CT.
2
Cfr. doc. n. 39.
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