Una città - anno V - n. 41 - maggio 1995

• 11109910 SARAJEVO, MAGGIO 95. Uno dei vicecomandanti de/l'armata bosniaca,_ Jovan Diviak, serbo, racconta della situazione sul campo in Bosnia, dei rapporti Ira serbi e mussulmani dentro un 'armata che è ancora multietnica, 'della sua convinzione che la guerra sarà ancora lunga. In seconda e terza. QUEI PRIVILEGI MORTIFICANTI è il racconto de/l'esperienza di Fiorella Farinelli, assessore al personale in un comune come Roma. COMPETEREINSIEME è l'intervista dove Stelano Zamagni ci spiega come sia la competizione e non il prolitto a produrre ellicienza e come quindi sia possibile e necessaria una pluralità di istituzioni economiche: insieme alle imprese, cooperative e società no-prolit. In quarta e quinta. Insieme a AGOSTINO di Carla Melazzini. LINGUE D'ALGERIA è /'intervista in cui Claudia M. Tresso ci spiega come il Fascismo integralista di oggi non laccia che riprendere i due obiettivi Fondamentali di chi prese il potere a/l'indomani della rivoluzione del '62: la lotta spietata a tutto ciò che sapeva di francese e l'arabizzazione Forzata. In sesta e settima, insieme al DIARIO DALL'EUROPA di Alexander Langer. IL VICINO, IL LONTANISSIMO è /'intervista a Anna Bravo sulla storia di una Resistenza troppo considerata al singolare, troppo vincolata all'unica immagine dell'uomo in armi. La resistenza civile, in Italia e in Europa, lu lorte e coinvolse molto le donne che, guidate da un pensiero concreto, capace di distinguere, di valutare le conseguenze, di vedere gli individui in carne e ossa, seppero praticare un'etica della responsabilità. In ottava e nona. JEANS è l'intervista a Massimo Canevacci sul giovanilismo che impera e su dei giovani niente affatto gregari. BROTHER sono "i Irate/li" dei centri sociali, una realtà ormai vasta capace di smuovere anche /'industria culturale: ce ne parla Benedetto Vecchi. In decima e undicesima. MODULI E NOMADI è /'intervista a Maurizio Lazzarini, direttore didattico nel bolognese, sul travaglio attuale della scuola elementare. In dodicesima e tredicesima. SEDIO E' UN ILLUSO è l'intervista in cui Maurizio Maggiani ci parla della terra d'Apua, di contadini e d'anarchia, della speranza in un'umanità diversa, della follia industriale che riduce tutto al lavoro e al denaro. In quattordicesima e quindicesima. DOPO IL MIRACOLO è /'intervista a Simonetta Cicognani, da trent'anni in Sudafrica, che ci racconta come, dopo aver dileso /'apartheid, ora voti Mandela, pur vedendo gli enormi problemi che si stanno accumulando. In ultima. E in copertina: Algeri. Bianco

un mese di n anno Dani significa Giorni ed è una bella rivista che esce da tre anni a Sarajevo. Ricca di foto, di interviste e di storie. E'Ozren Kebo, il vice direttore a parlare. Posso raccontarti come riuscimmo a far uscire il primo numero nell'inverno del '92. In quell'anno l'inverno fu terribile perché nessuno era abituato a niente di ciò che stava accadendo: bombardamenti massicci e continui, niente luce, niente riscaldamento, niente acqua. Quel numero tuttavia venne messo insieme e quando tutto il materiale fu pronto restò solo da portarlo alla tipografia, dall'altra parte della città. All'una di notte finalmente trovammo un po' di benzina per un'auto e sotto le granate che non smettevano di cadere riuscimmo a raggiungere la tipografia sani e salvi. A quel punto il problema era come azionare le macchine senza corrente. Con la benzina rimasta nell'auto facemmo funzionare un generatore elettrico, ma le macchine ancora non si muovevano: erano congelate. Allora con pezzi di carta incendiata le riscaldammo, finché finalmente ripartirono. Ed uscì il giornale. Era la prima volta e ci sembrò incredibile. Ma ce ne furono altre, tante altre, perché da allora sono passati mille giorni e Sarajevo è ancora sotto assedio e la luce, il gas, l'acqua, i rifornimenti di ogni tipo sono sottoposti al controllo più o meno diretto dei cetnici che ci circondano. Non abbiamo saltato un numero, grazie a persone molto pazienti che continuano a lavorare per noi anche se noi oggi possiamo pagarli ben poco. Nel 1994abbiamo accumulato un debito di più di cento milioni di lire nonostante che tutti noi lavoriamo gratuitamente, come volontari. Abbiamo ricevuto qualche aiuto -tre macchine da scrivere elettroniche e altro materiale di cancelleriada giornalisti belgi e tedeschi. Ma questo è tutto. lo ho 35 anni, sono il vice direttore e sono il più vecchio di tutti. Gli altri hanno dai 18 ai 25 anni, sono veramente giovani e con poca esperienza. Molti di quelli che avrebbero potuto aiutarci sono andati via da Sarajevo e così oggi dobbiamo contemporaneamente far uscire il giornale e insegnare ai più giovani. Ma ormai è il nostro destino e non vogliamo· arrenderci, né lamentarci, ma tirare fuori il massimo, far vedere a tutti che da Sarajevo possono ancora uscire cose di buon livello. Edevo dirti che riceviamo tanti complimenti anche dall'estero: nessuno crede che un giornale come il nostro possa davvero uscire a Sarajevo. Tanti nostri colleghi di importanti giornali europei giudicano Dani il più bel giornale oggi pubblicato in Jugoslavia. Non so se sia proprio vero, comunque siamo orgogliosi di questi giudizi perché ci costa tante energie fare sopravvivere Dani. La tiratura è di tremila copie, ma non riusciamo a venderle tutte perché troppa gente non ha i soldi per permettersi un giornale che costa due marchi tedeschi. La nostra redazione è mista, nel senso che ci sono croati, serbi, mussulmani. Ma questo è naturale, così è la nostra città. Non dobbiamo fare sforzi particolari, cercare con la lanterna rappresentanti di tutte le minoranze per dare una certa idea. Semplicemente facciamo un giornale e cerchiamo bravi collaboratori, va da sé che la redazione risulti mista. Questo dato di fatto non fa che confermare la giustezza della linea del giornale, cioè l'apertura verso tutti i punti di vista, la tolleranza verso le opinioni diverse, Il sostegno alla multiculturalità, alla multietnicità e alla multireligiosità che sono la vera ricchezza di Sarajevo. Cerchiamo di non essere a priori con il governo e nemmeno contro, inseguiamo quello che dovrebbe essere lo scopo di tutti i giornalisti: l'obbiettività. E' l'unico modo per essere davvero un giornale indipendente. Siccome non siamo degli illusi, sappiamo che l'ideale dell'obbiettività non è stato raggiunto in nessuna parte del mondo, tuttavia credo che il clima di libertà che si respira a Sarajevo sia davvero invidiabile anche da chi non si trova da tre anni in guerra come noi. Dopo tre anni di promesse, di principi sbandierati, di grandi chiacchiere e ancor più grandi fregature non voglio più perdere tempo aparlare dell'Europa e dell'Onu. Da loro non mi aspetto più niente e, sinceramente, non mi interessa più niente di loro. Per quanto riguarda l'islamizzazione della Bosnia si tratta di un processo che esiste solo nella propaganda dei cetnici e nella testa di pochi estremisti mussulmani. Nella popolazione di Sarajevo, nei suoi atteggiamenti e nei suoi pensieri non esiste niente di tutto questo. Come giornale seguiamo con attenzione queste cose, perché non vogliamo lasciare il più piccolo spazio a coloro che avessero intenzione di snaturare quella realtà per la quale è valso la pena fare tanti sacrifici. Vorrei anche mettere in guardia voi stranieri dalla tentazione di semplificare la nostra realtà spiegandola in quattro parole e ti faccio un esempio che deve fare riflettere: se vedete un soldato serbo o uno croato -o un francese e un americano ...- con un crocifisso al collo nessuno parlerà di integralismo cristiano, sembrerà a tutti una cosa molto normale. Se vedete un bosniaco con al collo il tespih, la collanina che si usa per le preghiere, ecco che qualcuno lancerà l'allarme per l'islamizzazione dell'esercito bosniaco. Non perdiamo la proporzione delle cose! Un soldato credente o molti soldati credenti non fanno un esercito integralista. Ci sono troppe esagerazioni interessate. Oggi questi gruppi integralisti sono assolutamente marginalizzati e non hanno nessuna speranza di prevalere. Piuttosto c'è da dire un'altra cosa, solo apparentemente paradossale, e cioè che proprio coloro che in Europa si mostrano così timorosi di una islamizzazione della Bosnia sembrano fare di tutto per favorirla! Esiste una Bosnia interetnica, interreligiosa, ecc. ecc. per la difesa della quale i bosniaci di tutte le fedi stanno ancora combattendo. Se Francia e Inghilterra non muovono un dito per salvare questa Bosnia, se boicottano i tentativi americani, non ci spingono forse in braccio ai paesi islamici? L'Iran ci aiuta e noi siamo grati del loro aiuto. Siamo forse in condizione di rinunciare all'aiuto di qualcuno? E come ogni altro paese anche l'Iran chiederà qualcosa in cambio dei suoi soldi. Non mi piace, ma non posso cambiare questa situazione. Esto parlando non da bosniaco, ma da europeo disilluso. Perché se parlo da bosniaco penso che l'Europa non merita la Bosnia come era prima della guerra e nei momenti peggiori mi viene da augurare che anche l'Europa provi un giorno quello che ha permesso che ci accadesse, non come morte e distruzione, ma come tentativo di annullare le nostre radici, la nostra cultura, la nostra identità. Mi dispiace, so che non è un be/l'augurio. Non conosco nessuno a Sarajevo che non abbia intenzione di uscire. Anche se tanti poi tornano. Prima hai salutato Delibasic, uno dei più grandi giocatori di basket in Europa. Viveva in Italia con la moglie e i figli, ma non ha resistito, non può vivere lontano da Sarajevo. Tutti hanno idee, fanno progetti per partire, è anche un modo per sentirsi vivi. Ma non è detto che partano davvero. Anch'io ho moglie e figli a Zagabria, ma non credo che lascerò Sarajevo. Non accuso nessuno, per carità. L'ultimo che parte ff5g ouct3 cosahe si ~jcer\ob Bi an CO SARAJEVO, MAGGIO 95 Jovan Diviak è un generale del1 'Armja, l'esercito bosniaco. Come grado è secondo solo al Com011dante in capo. Probabilmente lei conosce i comandanti che circondano e bombardano questa città. E' un fatto molto triste, che si aggiungeagli altri dolori: ma fra quelli che dalle colline tentano di distruggere questa città e i suoi abitanti ci sono tanti giovani ufficiai i che sono stati miei allievi all'accademia militare. A quei tempi non si parlava mai di serbi e di croati, di bosniaci e di mussulmani, ma solo di esseri umani, di popolo, di come essere un esercito popolare a difesa di tutta la nostra gente. Così è una sorpresa trovarli oggi da•Ia parte degli aggressori serbo-montenegrini, dalla parte dei fascisti. Purtroppo sono numerosi quelli che scelgono di seguire Karadzic, Mladic e gli altri paranoici. La maggioranza proviene da località rurali, dove non s'è mai sviluppata interamente un'idea di umanesimo, di atteggiamento cosmopolita, di apertura cu !- turale. Per cui in fondo non è nemmeno sorprendente trovarli dalla parte di un modo di ragionare e di vivere la religione così unilaterale, così incapace di immaginare un popolo come l'insieme di diversità. Due terzi degli ufficiali dell'esercito aggressore provengono da paesini e luoghi sperduti della Serbia, del Montenegro e della Bosnia Erzegovina. Lo stesso Mladic, comandante in capo, è nato in un piccolo villaggio dell'Erzegovina ed è entrato nelle scuole militari a 14anni ed evidentemente non ha polu to comprendere cos'è l'umanesimo, cos'è l'europeismo, cos'è la tolleranza. E' questa mancanza di cultura, questa visione del mondo così paranoica che consente a lui e agli altri leader dei serbi di Bosnia e di Serbia di dire che è giunto il momento di riscattare la sconfitta del Kossovo, quando i turchi sconfissero i Serbi e occuparono per 500anni la Bosnia! Quando Milosevic e Karadzic pretendono di essere i difensori dei serbi, quando dicono che "dovunque vive un serbo quella è Serbia", contemporaneamente pensano che per gli altri popoli non c'è spazio per i diritti umani, per la libertà di pensare, parlare, credere in un'altra religione. Per gli altri popoli, nella loro testa, c'è solo un grande buio. Per questo non riescono ad accettare che la Bosnia Erzegovina sia un'area con tante diversità e si comportano in un modo che posso definire solo fascista. Anche lei vede questa guerra come lo scontro fra la democrazia e il fascismo. Cosa pensa del comportamento dell'Europa? Il comportamento del!' Europa è coerente con la situazione europea. L'Europa ha i suoi problemi economici e di leadership; in Russia c'è una gravissima situazione di spaccatura e questo influenza i comportamenti europei; in tanti paesi c'è una ripresa del neofascismo, come in Italia; il Vaticano ha forse visto un vantaggio per i cattolici a lasciar passare l'idea che si tratta dello scontro fra Islarp e ortodossi. Tutto questo ci fa capire che la situazione è confusa. I governi francese, inglese e spagnolo non si convincono che è un'aggressione contro la Bosnia, preferiscono credere che si tratti di una guerra civile, addirittura di una guerra religiosa e il loro aiuto non è per bloccare l'aggressione, ristabilire il diritto internazionale e i diritti umani, ma è solo un aiuto "umanitario" per tutte le vittime della guerra. E così la guerra continua e continueranno ad esserci vittime. Anche i popoli dell'Europa non capiscono cosa succede, cioè che qui sta nascendo un nuovo fascismo che sarà una minaccia anche per l'Europa. Per questo non c'è impegno politico, e quindi nemmeno militare, per risolvere la situazione. E' evidente che ci sono grandi disegni sulla ex Jugoslavia, per cui Germania e Usa da una parte e Francia, Inghilterra e Russia dall'altra cercano di conquistare sfere di influenza più grandi. Quando Bush è andato a Mosca prima dell'inizio della guerra so che hanno parlato delle sfere d' influenza in Jugoslavia e la Russia aveva ottenuto fino al fiume Orina, cioè la Serbia e il Montenegro, mentre l'Occidente aveva la Croazia, la Slovenia e la Bosnia. Questa guerra è il tentativo di cambiare sul campo quelle sfere d'influenza. Ed è una guerra fra la democrazia e il fascismo. Al tempo della guerra di Spagna gli schieramenti erano forse più chiari perché le dittature fasciste appoggiarono apertamente la rivolta franchista, e dall'altra parte ci furono le brigate internazionali. Fu anche quella una lotta fra fascismo e democrazia e la vittoria dei fascisti non portò nulla di buono al mondo. Qual è lasituazione militare oggi? L'aggressione alla Bosnia Erzegovina, che dura da tre anni, non è ancora finita. Ora però l'esercito bosniaco è riuscito a costruire un' organizzazione di alto livello. Il sistema di comando funziona perfettamente, iImorale è altissimo, I' addestramento è molto migliorato e siamo pronti meglio a rispondere all'aggressore. Non c'è dubbio che oggi siamo in grado di difendere quello che possediamo in termini di città e territori. li problema è che il nostro esercito è nato in guerra, senza aiuti, non è attrezzato come quello serbo con le armi dell'esercito federale dell'ex Jugoslavia. Quello che abbiamo è stato costruito con l'entusiasmo e l'eroismo del popolo bosniaco che sa di poter contare solo sul proprio esercito per difendersi e per riconquistare i territori perduti. La situazione sul campo adesso non permette di cambi are l'equilibrio delle forze. L'esercito serbo può contare su 1800 pezzi di artiglieria, mentre noi ne abbiamo solo 400. Non abbiamo aerei. né sistemi antiaerei e abbiamo solo 40 carri armati. Questo è il motivo che ci impedisce di cambiare la situazione. Ci vuole un aiuto: o si finisce con la demagogia internazionale che è stata finora inconcludente o si toglie l'embargo alle armi, che danneggia solo noi perché gli altri le hanno e le ricevono. La fine di questa guerra è dunque lontana? E' molto difficile dire quanto durerà ancora, è una previsione impossibile. Però i segnali sono poco positivi e ci dicono che sarà ancora lunga. Innanzitutto Karadzic non accetta le proposte del Gruppo di contatto (Usa, Russia, Germania, Francia e Inghilterra) che stabiliscono che i confini dello stato democratico della Bosnia sono quelli storicamente riconosciuti e che le truppe serbe devono ritirarsi in modo che il 51% del territorio sia controllato dai bosniaci e dai croati. Questa proposta del 51 % non soddisfa nemmeno noi perché è un premio ali' aggressione, anzi è un riconoscimento ufficiale dell' aggressione che viene messa sullo stesso piano dei sacrifici e della resistenza del popolo bosniaco. E' un'altra prova che il mondo intende accettare i risultati dell'aggressione, e questo è un brullo precedente per tutti i popoli. Infine c'è un altro punto che per noi è importante, ma che il Gruppo di contatto non ha affrontato: il ritorno alle proprie città e alle proprie case dei profughi. Ci sono migliaia di persone che costituivano la maggioranza degli abitanti nelle loro città e sono stati cacciati con la forza, come a Prijedor, Foca, la regione del fiume Orina, Banja Luka, Sanski Most, Kozarac, dove c'è stato il più grosso genocidio. Questa situazione ci fa capire che la fine della guerra è ancora lontana. Ci sono poi le notizie di queste settimane che riguardano i preparativi serbi, le loro manovre. il loro addestramento, il movimento di artiglieria e carri armati e la probabilità di una nuova offensiva in tempi ravvicinati. Pensiamo che sarà come nel '94, con pesanti bombardamenti delle città bosniache e delle nostre sacche di resistenza come a Bihac. D'altra parte l'impulso alle operazioni militari viene anche dalla assenza di serie proposte politiche. Milosevic e Karadzic semplicemente respingono ogni soluzione internazionale e parlano demagogicamente di riunire tutti i serbi in un unico stato. Pongono condi zioAbbonamento a 1Onumeri di UNA CITTA ': 40000 lire. e.e. postale n.12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l., via Ariosto27, Forlì A richiesta: copie saggio. UNA CITTA' è alle librerie Feltrinelli. Una copia: 5000 lire. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421

ni assurde, pretendono, ed è uno dei motivi della guerra, di impedirci uno sbocco sul mare Adriatico. Insomma. tutti i segnali ci fanno capire che la guerra riprenderà con violenza. Lei è un serbo, eppure combatte con i bosniaci contro i serbi. Nella sua scelta non ha mai avuto dubbi? Sono contento che mi abbia fatto questa domanda, perché gli europei si stupiscono sempre quando qualcuno si comporta in modo, come dire, umanamente corretto. lo norr ho avuto dubbi nemmeno nell'aprile del '92, prima che scoppiasse la guerra. Mi bastava ascoltare Karadzic quando diceva che i serbi erano in pericolo, chese fosse nato lo stato della Bosnia un popolo sarebbescomparso. Non ho mai condiviso questa visione della storia e della geografia del nostro paese.Non mi sono mai sentito serbo, ma sempre soltanto cittadino della Jugoslavia. E così non ho avuto alcun dubbio da che parte stare, perché non si può stare con chi vuole distruggere il patrimonio culturale, storico, religioso di un popolo. Com'è la vita dei serbi a Sarajevo e quali sono i rapporti nell'esercito fra mussulmani, croati e serbi? Credo che la vita dei serbi siamolto dura a Sarajevo, perché è molto duraperi mussulmani, pergli ebrei, per i croati, per gli albanesi, per gli zingari rom, per tutti gli oltre 300 mila abitanti che da 1100 giorni vivono assediati in una città che ha subito più di un milione di bombe, che haavuto più di diecimila morti, che ospita migliaia di profughi che hanno perso tutto, che ha centinaia di bambini orfani. Non accetto da nessuno l'insinuazione che serbi e croati stiano peggio degli altri. Certo, ci possonoessereproblemi e incomprensioni, non è facile vivere una vita come quella che stiamo facendo a Sarajevo e mantenere il controllo di sé. Come potremmo evitare l'esistenza di problemi fra bosniaci e serbi. nel momento in cui i mussulmani, cheerano lamaggioranza, vengono cacciati da città come Banja Luka. Prijedor, Bijeljina e si ritrovano qui profughi? Ci sono problemi. ma non ci sono mai statereazioni cheabbiano messoin pericolo la vita dei serbi e la convivenza nella città. Non va dimenticato che a Sarajevo ci sono oggi migliaia di profughi che vengono ad esempio dalla vallata del fiume Orina dove la pulizia etnica dei serbi contro i bosniaci è stata terribile, o da Hrasnica. dove i rapporti fra i bosniaci e i serbi sono stati molto brutti. E' abbastanzanormale che a Sarajevo siano nati dei problemi, che ci siano stati anche incidenti, ma s'è trattato di casi assolutamente isolati. Fra i soldati lasituazioneèancora migliore, perché vivono la stessarealtà, corrono gli stessi rischi, muoiono e sono feriti insieme, vincono insieme. Ma non voglio nascondere le cose, per cui dico che abbiamo avuto anche problemi di vario tipo: ad esempio ci sono stati dei serbi che hanno chiesto di non sparare, di essere utilizzati in altro modo. Oppure in alcune brigate s'è posto il problemadel la "fiducia" nei confronti dei croati e dei serbi, perché un bosniacosenteche questaguerra è la sua ultima possibilità, che non haalternative, mentre non è sicuro che serbi e croati la pensino così. E un soldato al proprio fianco vuole un compagno deciso, fidato. In generale però tutti hanno superato le prove cui sono stati sottoposti e moltissimi sono i serbi decorati con le più alte onorificenze militari. Credo di poter dire che nell' esercito ci sonomeno problemi che nella politica, che l' Armja è un esercito multinazionale e vuole restarlo. Cosa pensa dei serbi che hanno abbandonato la città pur avendo B1bl1otecGa ino Bianco alle spalle tanti anni di esperienza cli vita in comune con gli altri? Caro mio, non si tratta solo di serbi! Tanti se ne sono anelati. Anche i miei figli. Ha,111d0etto che non era la loro guerra. Non è neanche la mia. nel senso che ne avrei fatto a meno, madi fronte all'aggressione ho pensatoche l'unica cosa da fare era dare una mano. Se uno è attaccato deve difendersi, se la sua vita è in pericolo non può lasciar i uccidere, sec'è la minaccia di un genocidio non si può parlare cli pacifismo. Se qualcuno può essereucciso non puoi stare a guardare, a pensare, a discutere: o lo aiuti o morirà. Molti senesono anelatiper paura, li capisco. Spero che torneranno perché la Bosnia avrà bisogno di tutti, soprattutto dei tecnici, degli insegnanti, degli scienziati. Quando lei è a Sarajevo partecipa a tutte le iniziative culturali ... Ci sono anchealtri, e ci sonoanche quelli che lo fanno per dovere. Ho sempreamato la poesiae la musica e quando posso leggo volentieri. Quando vado al fronte e sto con i soldati durante una battaglia o nel maltempo so che è un incoraggiamento. La stessa cosa succede a Sarajevo, perché anche lì è prima linea. E allora la mia presenza in teatro o a un concerto, oltre a fare piacere a me, so che è un aiuto per il morale dei miei concittadini, per gli uomini di cultura, per lagente di spettacolo, per tutti quelli che cercano di garantire una vita normale in una situazione anormale. Credo che dobbiamo sforzarci per non farci cambiare da questa guerra. Ho sempre pensato che alla base della stima e del rispetto c'è un rapporto umanb e anche adesso cerco di costruirlo. Quando sono tornato a Sarajevo dopo un lungo periodo di assenza mi hanno detto che si era sentita la mia assenza: questo per me è importante,come unavittoria sul campo di battaglia. • ,.:l:::,r: r.:;}iJ .w·-:...-:.· ~ " /5.;?.t)t ~ ••,:'· UNA CIHA' . 3

di società B QUEI PRIVILEGI MORTIFICANTI straordinario il sabato e la domenica ... A Roma proprio non se ne ha un'idea, perché il termine di paragone sono altri pezzi del pubblico impiego molto privilegiati: per esempio la Camera, dove dopo 6 mesi un operaio prende4 milioni al mese, stipendio che non prende un dirigente capitolino, per capirsi. Il termine di confronto quindi è con chi gode di ancora maggiori privilegi, di ancora maggiori convenienze. Del resto, questo è un problema di tutta la città, che ha campato sempre di spesa pubblica. Una città in cui anche i soggetti economici e produttivi (cooperative, costruttori, aziende informati che) han no fino ad ora campato unicamente di appalti e commesse da parte del pubblico e dove davvero non si riesce a prendere atto del l'esaurimento di un certo modello di gestione della cosa pubblica. La situazione di privilegio di cui godono i dipendenti comunali di Roma, fattore non solo di risentimenti violenti negli utenti ma di dequalificazione e alienazione dei lavoratori stessi. Un operaio della Camera che prende di più di un dirigente capitolino. La totale mancanza di discrezionalità del dirigente e amministratore: chi è più bravo non può passare avanti. Intervista a Fiorella Farinelli. Fiorella Farinelli è stata assessore al Personale del Comune di Roma, ora ha la delega ai servizi educativi e alle politiche giovanili. Ci parla dell'incarico che ha ricoperto nella giunta Rutelli? Attualmente, come assessore presso l'amministrazione comunale romana, ho la delega ai servizi educativi, scolastici e formativi, e al coordinamento delle politiche giovanili, ma in precedenza, per 14-15 mesi, mi sono occupata a tempo pieno anche della politica del personale e della qualità dei servizi, seguendo peraltro la strada della nuova normativa "Cassese" relati-· va alla modernizzazione del lavoro nel pubblico impiego. Una prima parte del mio lavoro è stata dedicata a far rientrare il lavoro nelle regole, perché, storicamente, la situazione del pubblico impiego a Roma, dove il Comune ha 30.000 dipendenti, è stata connotata da una gestione di tipo paternalistico e consociativo, a cui non si è sottratto nessuno, né di destra né di sinistra. Questa gestione è sostanzialmente consistita nel regalare possibilità di sottrarsi al lavoro attraverso riduzioni esplicite o implicite di orario, l'assoluta mancanza di controllo della qualità del lavoro, I' accettazione di tutti gli "inguattamenti" gpssibili del personale in luoghi dove, per l'appunto, non si lavora o dove il lavoro non è socialmente controllato. Tutto questo, praticamente, ha significato occuparsi di problemi che in altri luoghi del mondo del lavoro sono larghissimamente superati ed ha comportato, fra le altre cose, l'abolizione di un collegio medico interno che dichiarava molto allegramente l'inidoneità di centinaia di lavoratori ai loro compiti d'istituto con risultati anche grotteschi: bidelli dichiarati inidonei all'ambiente scolastico oppure non in grado di avere contatto con l'acqua e i detersivi. lo straordinario a go-go era incontrollabile Sono state centinaia le persone rimandate alle Usi, che, per un buon terzo, ne hanno riconosciuto l'idoneità alle mansioni e che quindi stiamo rimandando al lavoro. Mi sono anche occupata, ahimè, di rimettere in funzione un consiglio di disciplina che da tre anni non funzionava più e quindi aveva centinaia di pratiche inevase, con persone che erano già state condannate nei tre gradi della giustizia ordinaria per reati che hanno a che fare con l'amministrazione, quali corruzione e concussione, e che invece continuavano tranquillamente a lavorare, perché l'amministrazione non si era minimamente preoccupata di sospenderli o di licenziarli. E' poi stato necessario rimettere ordine nel l'assenteismo, in alcuni luoghi superiore al 20-22%, quando tutti sanno che anche nel1' industria tessile, che è piena di donne, il tasso fisiologico è del 78%, non di più. Un altro aspetto macroscopico della gestione del personale fino a quel momento attuata, era l'uso a go-go dello straordinario, incontrollato e incontrollabile. Nel Comune di Roma ci sono ancora due ore di permesso al mese per tutti i lavoratori per cambiare l'assegno in banca, dieci giorni di congedo per chi fa le nozze d'argento, o, ancora, mentre per tutti gli altri dipendenti degli Enti Locali c'è un ·solo santo patrono, per i romani ce .ne sono due: uno è il 21 aprile e ·l'altro è San Pietro e Paolo ... Queste sono cosette, però moltiplicate per 30.000 persone costituiscono una massa di questioni. Per esempio e' è stato anche bisogno di eliminare la possibilità per i dipendenti di entrare ogni giorno 15 minuti più tardi e uscire 15 minuti prima, possibilità che era universalmente usata e che corrisponde a 13 ore di lavoro in meno al mese, regolarmente retribuite. Si è introdotta la flessibilità, come si usa in ogni settore del lavoro civile, per cui se uno arriva in ritardo ovviamente recupera. E poi, ancora, il problema delle ferie per le educatrici degli asili nido e delle scuole materne: in questo settore, come è noto, ci sono diversi mesi di sospensione delle attività e le ferie vanno prese durante questi mesi di sospensione, non durante i mesi di lavoro ... E riguardo all'orario di lavoro come siete intervenuti? Questa degli orari è una dolorosa vicenda. La situazione che ho trovato era quella di un orario schiacciato rigidamente nella fascia antimeridiana, con pomeriggi total mente scoperti, oppure coperti con montagne di straordinario. Roma è stato il primo Comune a mettere in atto un accordo pilota sugli orari attraverso il quale, incentivando un po' il personale dal punto di vista economico, si riesce a tenere aperti al pubblico gli uffici per 5 giorni la settimana dalle 8,30 alle 16,30, mantenendo in funzione alcuni servizi considerati essenziali, come l'Ufficio Anagrafe, il sabato mattina dalle 8,30 alle I 1,30. Devo dire che questo accordo, che riguarda al momento I 1.000 dei 30.000 dipendenti, cioè i lavoratori degli uffici, è stato assai sudato e prima di realizzarlo ci ho lavorato attorno per 5-6 mesi, scontrandomi con una conflittualità notevole, perché si eliminava la possibilità di non lavorare mezz'ora al giorno, si introduceva la flessibilità e si limitava lo straordinario, non autorizzandolo prima delle 17. Poi, in verità, ha avuto un grande successo, perché la consultazione referendaria sull'accordo, fatta dalle organizzazioni sindacali, ha visto il 66% dei consensi e un buon 70% di ff CorrdaeRi irparmdiFi orlì s.p.A. 1111■ 1• ;:;;)_ o • ~ dP. O a 10 annt da 11 a 19 anni Per loroil migliorfuturopossibile - 4 UNA CITTA' personale che si è schierato sui nuovi orari. Questo risultato è stato certamente favorito anche dal fatto che l'accordo contiene un'incentivazione economica non irrilevante: ai lavoratori viene dato un buono pasto, più un tot al giorno di indennità di articolazione oraria. La grande conflittualità derivava invece dal fatto che l'uso dello straordinario significava per molti arrivare anche a 70-80 ore in più al mese, cioè 900.000-1.000.000 in più in busta paga. l'ordine del giorno che vara la "proroga" Questo succedeva in particolare fra i lavoratori impiegati nei ruoli di supporto agli organi politici, mentre nelle circoscrizioni gli impiegati che stanno in un servizio a contatto col pubblico non facevano più di 3-4 ore di straordinario al mese. Evidentemente questi ultimi sono stati favorevoli all'accordo, mentre i primi, perdendo dei privilegi, hanno reagito pesantemente. E' stato tutto molto difficile: nel nostro paese chi tocca il pubblico impiego, muore. Non ci sono stati scioperi, ma ci sono stati i fax che arrivavano dalle lavoratrici che, pur scegliendo l'orario nuovo perché conveniva, nello stesso tempo mi accusavano di devastare la loro vita, di massacrare la famiglia. Quando sono arrivata al Comune di Roma, dopo aver fatto la sindacalista per 20 anni, ho avuto l'impressione che per i di pendenti capitolini la notte cominciasse alle 14,00; evidentemente per loro era inconcepibile lavorare tre giorni alla settimana fino alle 16,30, perché di questo si tratta ... Eppure è stato necessario puntualizzare che, comunque, si può cominciare a considerare un orario disagiato quel Ioche va oltre le 18,00 pomeridiane, mentre le 16,30, come loro ben sanno andando nei negozi, va considerato un orario normale. E comunque proprio normale non è stato considerato, tant'è che I' articolazione oraria viene pagata con una discreta incentivazione. Ritengo che questo aspetto sia particolarmente forte in una città come Roma, in cui il lavoro è essenzialmente quello del pubblico impiego e del commercio e non c'è proprio la conoscenza del mondo del lavoro produttivo e dei suoi problemi, dove si sta discutendo se fare lo Quindi, al di là del problema dei dipendenti pubblici capitolini, il problema è quello di Roma in generale? Roma è una città in cui basta che il Comune dia 500 nuove licenze di taxi, cioè altri 500 posti di lavoro in una città dove in certe ore del giorno i taxi non si trovano, per provocare la ribellione dei tassisti e l'invasione del Campidoglio per4 giorni; in cui basta che si decida, finalmente, che gli impianti di riscaldamento del Campidoglio non devono essere più a carbone e li si trasforma in impianti a gas, che c'è l'invasione del Consiglio Comunale da parte dei venditori di carbone, che arrivano mascherati da "Quarto Stato", con le donne e i figli a spiegare che il sindaco Rutelli li affama. Questa è la realtà. Se si fanno delle gare di appalto normali, superando il vecchio sistema delle proroghe -cosa che, ad esempio, ho fatto con gli appalti di pulizia, arrivando ad un risparmio mensile di 550 milioni- poi si va avanti per due mesi e mezzo con un attacco sfrenato da parte delle imCOMPETERE INSIEME La divisione in parti uguali che non corrisponde più ai bisogni differenziati. L'inefficienza che colpisce sempre i più deboli. La falsa idea che il motore di una società sia nel profitto e non nella competizione. Il pluralismo assicurato, da cooperative e società no-profit, al mercato. lptervista a Stefano Zamagni. Stefano Zamagni è preside della facoltà di economia dell'università di Bologna e membro dell'Accademia pontificia delle Scienze. Come si può costruire una nuova forma di Stato Sociale che tenga presente la difficoltà di coniugare il principio di eguaglianza con la realtà della difformità dei bisogni, due cose, cioè, che sembrano andare in direzioni opposte? La ragione fondamentale per cui il modello statalista di Stato Sociale è entrato in crisi non è di natura fiscale, la crisi fiscale è un fatto rilevante, ma è l'effetto, non la causa; la causa è rappresentata dalla circostanza che il modello tradizionale di Stato Sociale andava bene per una società in cui i bisogni sono più o meno omogenei ed è questo il caso che si verifica nelle prime fasi di sviluppo economico-sociale di un paese: i bisogni sono più o meno quelli fondamentali: l'alimentazione, la casa, il vestiario, le medicine di base. Ma con l'andar del tempo in Italia, come in altri paesi, siamo usciti dalla categoria dei paesi a basso sviluppo e siamo entrati nell'area dei paesi opulenti. Quello che doveva essere chiaro ai nostri governanti, e purtroppo non lo è stato anche per carenze culturali, è che, quando un paese supera la soglia della sussistenza, i bisogni tendono a differenziarsi. Ecco allora che pretendere di soddisfare alla stessa maniera bisogni, o meglio persone portatrici di bisogni diversi, provoca quello che è sotto gli occhi di tutti: la crisi fiscale da un lato e il malcontento dall'altro. li paradosso del nostro sistema di welfare è proprio questo: non solo produce debito, ma rende la gente anche scontenta. Ecco perché oggi si devono ripensare alla radice le nuove forme dello Stato Sociale. li problema è che dobbiamo partire dal concetto che oggi l'eguaglianza non può essere declinata alla vecchia maniera, cioè dare a tutti più o meno lo stesso reddito, la stessa ricchezza; questo ha senso agli inizi del processo di sviluppo, quando i bisogni sono più o meno uguali. Se i bisogni sono diversi, invece, anche se noi uguagliassimo non arriveremmo ad una vera ed autentica eguaglianza intesa come Iibertà di realizzazione della persona. Se io sono portatore di handicap, posso anche avere le tue stesse risorse, il tuo stesso reddito, ma da quel reddito io, portatore di handicap, non sono in grado di trarre vantaggi e utilità come un altro. Quindi, non basta eguagliare. Bisogna invece tendere ad eguagliare le opportunità, non necessariamente le ricchezze. Il livellamento di tipo ragionieristico -dividiamo la somma di I00 per il numero dei soggetti- è un vecchio modo di concepire le politiche egualitarie che poteva essere giustificato in Marx e negli autori marxisti della prima generazione perché a quell'epoca le condizioni di vita erano quelle, ma oggi non è più così. Il modello che io mi sento di incoraggiare è il modello "societario" di Stato Sociale, in cui il termine societario si oppone al termine statalista, mentre non ritengo che il modello liberista possa sortire gli effetti desiderati,- perché sicuramente aggiusterebbe le cose sotto il profilo della finanza, però aumenterebbe in maniera pericolosa e spaventosa le diseguaglianze. Il problema dell'efficienza: privato uguale efficienza e pubblico uguale inefficienza. E' un paradigma sempre vero? L'obiettivo dell'efficienza è importantissimo perché essere inefficienti vuol dire sciupare risorse, ossia portare via risorse ai meno abbienti: non si è mai visto che nella scarsità di risorse siano i più abbienti a rimetterci. In passato la sinistra ha sempre sottovalutato il discorso dell'efficienza e ha sbagliato, alleandosi così senza volerlo con la destra, perché quando applico delle politiche inefficienti e spreco le risorse, sicuramente io faccio dei torti ai più poveri. Perché la gente, come dice lei, identi fica privato ed efficienza? Perché nella nostra cultura di base è diffuso i1con vinei mento per cui ciò che garantisce l'efficienza è il fine del profitto. L'impresa privata, a differenza dello Stato, ha come obbiettivo il profitto, quindi l'impresa privata è efficiente. Dov'è l'errore? L'errore è proprio nel presupposto: ciò che garantisce I' efficienza non è il profitto, ma la competizione. li profitto è una conseguenza, è l'effetto, non la causa: se un'impresa è efficiente allora fa prese che vorrebbero la proroga, dei sindacati che temono che se entra un po' di mercato qualche operaio rischi di perdere il posto, dei gruppi politici che all 'unanimità, maggioranza e opposizione, fanno un ordine del giorno in cui si dice "proroga". Comunque, guardare dentro il pubblico impiego, come ho dovuto fare io, permette di vedere gli incredibili privilegi, le convenienze, di cui esso gode, ma permette anche di vedere che tutto questo è poi pagato dai lavoratori con la mortificazione professionale, con la non valorizzazione di quello che fanno, con la scarsissima credibilità sociale che hanno. A Roma parlare di un dipendente capitolino significa scatenare l'ira dei cittadini, degli utenti delle scuole ... E' una situazione terribile per gli stessi lavoratori: hanno avuto tutti questi privilegi, ma se si gira in molti degli uffici comunali si vede che sono ammassati in locali disastrosi, dove mancano le sedie, dove non ci sono i computer ... chi è bravo ' non puo essere mandato avanti Allora, o si modernizza o per loro non c'è speranza di avere retribuzioni più sensate e una qualità del lavoro diversa, migliore. Toccare questo meccanismo in una situazione in cui il contenimento della spesa pubblica non consente di giocare su tutti e due i piatti della bilancia, da un lato togliere ma dall'altro premiare, è un'impresa assolutamente disperata, che produce una serie di contraccolpi molto pesanti. Tanto più che il sindacalismo confederale fa molta fatica ad uscire da un sistema di cogestione consociativa, di protezione delle convenienze. Io sono stata sindacalista tanti anni e so che il sindacato è tanto peggiore quanto peggiore anche profitto, ma non è necessariamente vero che se fa profitto è efficiente. Molte imprese private non sono affatto efficienti, perché agiscono in regime di monopolio come nel caso delle telecomunicazioni. Abbiamo esempi di imprese criminali di tipo mafioso che fanno fior fiore di profitti e dovremmo forse concludere che sono efficienti? Quindi, se è la competizione a garantire l'efficienza ne derivano due conseguenze importanti: possiamo avere risultati efficienti anche se le imprese sono di proprietà pubblica e soprattutto possiamo avere come risultato che anche le imprese private no-pro.fil possono avere risultati efficienti. E a far emergere il meglio è la competizione intesa come gara sotto regole certe. Lei dice che è assurdo considerare neutro il mercato, che il mercato è anche un fatto culturale. Allora lo si può regolamentare? O bisogna affidarsi alla sua capacità di equilibrarsi da solo? Il mercato è in primo luogo un'istituzione, non è un meccanismo. Ma cosa vuol dire che il mercato è un'istituzione? Che il mercato è un insieme di norme, non regole, che sono di tipo culturale, le quali forgiano la mentalità e il modo di operare di chi vi partecipa. Queste norme fondati ve sono storicamente determinate, evolvono in relazione alla fase storica: un'economiadi mercato c'era anche nel '700 e c'è oggi, ma era diversa da quella di oggi. Diversa non tanto negli aspetti del meccanismo, la diversità è molto più profonda: le norme fondative del mercato oggi sono evolute rispetto al '700, come quella che esige I' anonimità del mercato, il che vuol dire che il mercato non si interessa di sapere qual è il soggetto portatore di bisogni, perché risponde solo a una domanda solvibile e quindi il mercato non si interroga mai sulle ragioni per cui compro o vendo un casa. L'istituzione mercato, in quanto istituzione anonima, prescinde dalla soggettività dei suoi operatori. Questa norma dell'anonimità, in certe fasi storiche, assume certe connotazioni e in altre fasi altre connotazioni. Questo comporta che noi non pos-

è il datore di lavoro, è una regola generale: non esiste sindacato intelligente se il datore di lavoro è una frana. Per questo ci sono voi uti 6 mesi a far l'accordo sui nuovi orari, però poi ha accettato la sfida e gli è andata bene; ma è una transizione difficile, perché nel pubbl ico impiego l'idea è che l'orario dei servizi è determinato dalla somma degli orari individuali. Del resto è una questione conosciuta, l'Italia è l'unico paese in cui la scuola non funziona a tempo pieno, e questo non è dovuto solo al fatto che la Chiesa Cattolica ha sempre anteposto il privilegio educativo della famiglia, ma anche al fatto che gli insegnanti difficilmente abbandonano i propri privilegi. Questo,d'altra parte, ha fatto sì che lo Stato non attrezzasse le scuole per renderle vivibili tutto il giorno e quindi non spendesse per le mense scolastiche. E' stato tutto un meccanismo in cui ci sono stati vantaggi e convenienze, per cui cercare di scardinare, cominciare a ragionare su queste cose, è naturalmente difficile. Le scuole materne comunali di Roma, ad esempio, funzionano un meseemezzo in meno del le gemelle scuole materne statali romane: perché? Lo stesso Consiglio Comunale ha molti problemi nello scardinare questa situazione che interessa 3-4.000 lavoratrici, e oggi non lo si fa perché sono vicine le elezioni, domani neppure perché ci saranno altre elezioni, dopodomani il sindacato non darà l'ok ... Oltre alla riorganizzazione dell'orario, ha cercato di ottenere una riqualificazione del personale? Abbiamo avviato molti progetti di riqualificazione professionale, dal1' alfabetizzazione informatica, che praticamente non c'era, alla qualificazione del personale educativo sui problemi dell'handicap, alla riqualificazione professionale sulle questioni delle nuove normative e delle nuove forme di contabilità e bilancio degli Enti Locali. In questa operazione ho allivato le autocandidature per la formazione -cioè ho fatto delle circolari in cui si chiede, premettendo che al momento non cambierà niente, né in termini di soldi, né di inquadramento professionale, alle persone la loro disponibilità o meno ad entrare dentro percorsi di formazione- e anche questo ha scandalizzato il sindacato e molti dipendenti, sebbene queste autocandidature siano una forma di valorizzazione della disponibilità individuale acambiare. Attualmente ci sono 18 corsi di formazione che sono in partenza e altri in via di progettazione, anche per quanto riguarda la riqualificazione professionale dei dirigenti, che purtroppo non sono all'altezza di ciò che si chiede loro: la responsabilità, cioè, anche nella gestione delle risorse economiche e umane. Nelle circoscrizioni e in uffici molto particolari ho poi messo in piedi dei gruppi di lavoratori con il compito di progettare la riorganizzazione del modo di lavorare nei servizi, semplicemente promettendo loro che si farà un'anagrafe professionale in cui tutto quello che i singoli lavoratori hanno fatto verrà notificato, in modo che possaessere usato come credito nei concorsi interni. I contratti, comunque, non consentono altro, nel sensoche solo con il nuovo contratto si apre, dal '96 e solo per pochi, la possibilità di premi individuali, mentre tuttora non è consentito l'uso di una discrezionalità da parte del datore di lavbro. Il dirigente non può mandare avanti chi è bravo, gli è vietato dai contratti, dalle norme, e chi lo facesse andrebbe incontro a ricorsi al Tar, che darebbero sicuramente ragione a chi si considera escluso da questo percorso. Anche l'idea che dal '96 possano esserci dei premi individuali che riguarderanno 3-4000 persone a fronte di 30000 dipendenti, è proprio una finestra strettissima. • siamo pensare all'istituzione mer- non-capitalistico, come le coopecatocome a un che di fisso e immu- rati ve, le imprese no-profit. Se intabile nel tempo, questo è l'errore vece uno dice che l'orientamento è del liberismo. Per la cultura liberi- nell'altro sensonon si preoccupa di sta l'istituzione del mercato è o questo. Io voglio il pluralismo deltutto o niente, è qualcosa di immo- le istituzioni di mercato, il che sidificabile, perché la prospettiva gnifica che mi va bene l'impresa culturale liberista pensa il mercato capitalistica, ma deve avere diritto come un meccanismo e non come di cittadinanza anche l'impresa coun' istituzione. Invece, pensare al operati va, anche l'impresa no-promercato come istituzione vuol dire fit, perché esprimono soggettività, che quelle norme fondative am- anche politiche, diverse. mettono una loro modificazione Questo è ciò che il vero liberale endogena, hanno una loro evolu- dovrebbe volere: una pluralità di zione, che dipende dai risultati del forme economiche che competomercato stesso. li mercato ci vuole, no, poste in grado di competere, perché è la forma più efficace che senza essere discriminate a priori. oggi l'umanità ha; però il mercato Ma come vede la possibilità di far non può essere pensato come crescere dei talenti all'interno di un'istituzione imm odi fica bi le, ma un modello che schiaccia le capacome qualcosa che si modifica in cità? itinere in base ai suoi risultati. Al- La possibilità effettivamente c'è. !ora, l'implicazione politica non è Concretamente vuol dire che dobla gestione del mercato -questo è biamo affrettare il passaggio dal un vecchio vizio di una vecchia modello gerarchico al modello pomentalità-, ma dare una finalizza- liarchico della burocrazia. La buzione di senso al mercato, questo è rocrazia deve esserci, perché è fonil compito della politica, quello che <lamentale, essenziale in ogni paei politici devono fare, non sostituir- se avanzato; però, la stessa burosi al mercato e ai suoi meccanismi crazia ha dei modelli di organizza- -l'hanno fatto e hanno provocato zione diversi a seconda della prodisastri-: devono dare una finaliz- pria storia. In certe epoche, nelle zazione. Cosa vuol dire? Che noi prime fasi dello sviluppoeconomipossiamo servirci del mercato per co, è più efficace il modello geraravere più libertà o meno libertà, chico, nelle fasi più avanzate è questa è un'operazione politica. meglio il modello poliarchico. Noi Oggi la discussione non èpiù "mer- in Italia siamo indietro, perché il cato sì, mercato no", ma è "il mer- modello è ancora gerarchico. cato per avere più libertà o meno La differenza è che nel modello libertà?" e non sono questioni che poliarchico ci sono diversi centri interferiscono col meccanismo di decisionali che competono fra loro; mercato. Solo un pazzo oggi po- nel modello gerarchico l'immagitrebbe pensare di fissare i prezzi ne èquella della piramide, chi staal per via politica. Non si può. Chi verticemandaordinienonc'è/eedragiona così, come certe frange back, quindi non c'è competizione. dell'estrema sinistra italiana, pen- Bisogna portare la competizione saancora alla vecchia maniera: "noi anche fuori del mercato, dentro lo per via politica imponiamo i tetti ai Stato: non dimentichiamochecomprezzi", ed è la via più stupida, petizione deriva dal latino cumperché ancora una volta ci rimette- petere che vuol dire tendere assierebbero i poveri. Il problema èdare me a un comune obbiettivo. Non è un senso, cioè incanalare il merca- vero che la competizione sia un to in un modo anziché in un altro e fatto solo di mercato. Nello sport questa è un'operazione politica, non c'è competizione? Dobbiamo perché da essa discende tutta una introdurre lo stesso concetto nella serie di conseguenze: ad esempio pubblica amministrazione. Un moin un'economia di mercato finaliz- del lo che garantisca l'efficienza e zata all'aumento delle sfere di li- valorizzi le persone, che, così, labertà dobbiamo volere che accanto vorano di più, si sentono più dentro alle imprese di tipo capitalistico la società, meno escluse. Bdtbanoi'Oi"éièitG Ino BI anco• AGOSl'INO Curva A, curva B, e altri fatti. Registrazione di un dibattito tenuto nella classe 2° C. Carni/lo: Vorrei sapere perché l'entrata in campo dei giocatori prima era sotto la curva A, e adesso è stata messa sotto la curva B. Salvatore: Perché l'impianto è stato fatto così e così deve essere; e poi la curva B è quella dove stanno i tifosi più accesi. Camillo: Questa risposta non risponde alla domanda che ho fatto. L'impianto era stato costruito con l'entrata dei giocatori sotto la curva A. lo penso che sia stata spostata sotto la curva B perché qui il capo è "Palommella", che ha dei contatti diretti con la Società; lui ha deciso così e così è stato fatto. Gianluca: Le tue accuse contro Palommella quali sono? Carni/lo: Lui riceve soldi dalla Società: ogni volta che il Napoli gioca e il pubblico è molto, lui prende soldi dalla Società. Poi, il cassone dove vengono messi i fumogeni è stato messo solo sotto la curva B, nella A non è stato messo. Salvatore: lo dico che nella curva B c'è un gruppo unito, non succede mai la violenza, per questo la curva B è favorita. Alla curva A ogni domenica succede qualcosa, ci sono gruppi che si combattono ... Gianluca: Allora tu ammetti che c'è un favoritismo? Salvatore: Sì, però lo merita, perché veramente sono tifosi attaccati alla squadra; anche quando la squadra non va, loro non fischiano ma la incitano, poi organizzano feste, riunioni. Sì, c'è un favoritismo, però lo merita la curva B, io lo trovo giusto perché ... chi semina raccoglie. La curva B può arrivare a 20 mila persone, ed è sempre riempita. C'è un motivo, e i soldi che prende Palommella li merita, perché riempire una curva ... la curva A non si riempie mai. Gianluca: Allora tu ammetti che Palommella prende i soldi? Salvatore: Sì, prende dei soldi, però i soldi glieli danno i tifosi che vanno in curva B, e questi non sono scemi, vanno lì perché si vogliono divertire, vedono che lì c'è il vero tifo. Gianluca: Dicono che i soldi Palommella se li prende lui ... Salvatore: Non è vero: lui organizza le feste, fa delle coreografie veramente belle; poi aiuta la gente povera ... Paolo: Che ne sai tu? Fa anche la trasmissione in TV, vende i giornali, sono troppi i soldi che incassa, si prende anche lui qualcosa. , Camillo: Poi ci sono i "passi"; sono dei cartellini che servono per l'entrata nello stadio, due ore prima della partita: tutti questi soldi dove vanno a finire? Paolo: lo conosco uno di quelli che si mettono davanti allo stadio per far passare la gente: alcune volte si prendono i soldi senza i "passi" e fanno entrare, perché conoscono quelli là che stanno sotto la curva. Salvatore: Non lo so il fatto dei "passi": Palommella dice che la Società non gli dà niente, oltre alla percentuale ogni volta che riempiono la curva. Niente più. Gianluca: Vorrei sapere da voi se la polizia ha un atteggiamento differente con la curva A rispetto alla curva B. Camillo: Sì. Nella curva A la polizia ha un atteggiamento più aggressivo contro i tifosi; in curva B li controlla solo, perquisiscono leggermente i tifosi e poi li fanno passare. Invece in curva A ti fanno togliere i giubbini, ti fanno aprire i panini, i tappi delle Coca Cola, le buste. Vorrei sapere: perché c'è questa distinzione tra la curva A e la curva B? Salvatore: Nella curva A succedono sempre tafferugli, nella curva B non succede mai niente. Nella curva A, essendo a contatto con i tifosi awersari, ogni domenica succede che c'è violenza. E poi c'è un sacco di droga, i tifosi si addormentano dietro gli striscioni, e non sanno neanche i nomi dei giocatori. Nella curva B, da come vedo io, violenza non succede, droga non si traffica molto. Salvatore E.: Non è vero. Andai a vedere la partita Napoli-Lazio per la Coppa Italia, feci il biglietto per la curva B: dopo un quarto d'ora, venti minuti che era cominciata la partita si alzò una nube intera che era fatta di fumo di spinelli, non ce n'era uno che non fumava. Come si fa a dire che nella curva B non fumano spinelli? Camillo: In tutte le curve si fumano spinelli. In curva sono più di trentamila persone, su trentamila almeno diecimila, quindicimila fumano spinelli, sia in curva A che in curva B. Però secondo me la colpa è della polizia che non fa perquisizioni più accurate. Gianluca: Ma si può controllare cinquantamila persone? Salvatore: Si può fare. Gianluca: Lo spinello che effetto ha sul tifoso? Camillo: Ha un effetto negativo, perché quando uno non ha la lucidità, se si sente insultato subito reagisce in modo aggressivo. Gianluca: Come mai allora i tifosi del Napoli sono tranquilli? Salvatore E.: Perché nella B pensano più a fare il tifo che a bisticciare. Nella partita di 90 minuti, 85 minuti si fa il tifo. Gianluca: Allora ammetti che la curva B ha un effetto di controllo? Salvatore E.: Sì, ce l'ha. Salvatore: In quale curva sono successi i fatti più gravi? Camillo: In curva A. Però la nota positiva è che in curva A puoi fare quello che vuoi, non sei comandato da uno che ti dice "devi gridare". Invece in curva B o gridi o gridi. Perché se no senti a chille ca te dice: "o allucchi o te vatto". In curva A puoi fare ciò che vuoi, in curva B no. Salvatore: Non è vero. Poi c'è un altro fatto: in curva A c'è anche molta camorra. Dove abito io c'è uno dei capi della curva A. Il figlio era disoccupato; ha messo il figlio a lavorare: ha detto vicino al funzionario del posto dove adesso lavora il figlio "se non metti mio figlio a lavorare ti sparo". E questa è una forma di camorra. E tutto il suo gruppo è fatto così. Vanno girando per dove abito io con le armi addosso. Gianluca: Dunque c'è un rapporto tra tifoseria e camorra? Salvatore: Più con la Società. Infatti con gli ultimi scandali che sono emersi si è visto che il Napoli ha venduto lo scudetto, perché c'erano molte persone che facevano scommesse sul Napoli, decine di miliardi, e la camorra non voleva perdere questi soldi. Gianluca: C'è ancora questo rapporto oggi? Salvatore: Se il Napoli va bene, va bene la camorra, se il Napoli va male, va male anche la camorra, perché la maggior parte dei biglietti che si vendono allo stadio sono nelle mani della camorra: si prende i biglietti obbligatoriamente dalla Società, poi li vende lei. Ai tempi di Maradona hanno fatto anche i biglietti falsi. Due anni fa stava per retrocedere, andarono a Soccavo e fecero l'aggressione ai giocatori. Equesti erano tifosi della curva A. La camorra vince sempre. Camorra e Napoli vanno uniti. Gianluca: Perché si dice che la tifoseria napoletana è più tranquilla di altre? Salvatore E.: Secondo me è più calma perché noi napoletani andiamo allo stadio per fare il tifo, no per litigare; il napoletano si attiva sulla partita, no sulla violenza. Se reagisce è solo perché è stato sottoposto ad insulti di durata maggiore della partita. Camillo: Queste tifoserie che vanno allo stadio per fare a botte sono sviluppate molto di più al nord. Perché, come si dice, uno più ha, più vuole. Avendo soldi, sono coccolati dalle famiglie. E poi allo stadio vanno con i coltelli, bastoni e catene. Al nord non sono molto rigidi come a Napoli, e quindi può entrare di tutto negli stadi. Gianluca: Questa secondo te è la differenza tra i giovani tifosi del nord e quelli di Napoli? Camillo: Sì, perché la società offre di più a loro. Noi se vogliamo qualcosa ce la dobbiamo guadagnare. Loro hanno sempre tutto, lo Stato gli è più vicino, invece noi no; quando vanno negli ospedali non devono pagare la siringa .. Gianluca: Forse sono annoiati perché hanno tutto. Forse è per noia quando fanno i teppisti, uccidono i barboni. .. Camillo: Poi quelli là del nord a noi ci dicono terroni, loro vogliono il possesso dell'Italia. E' sempre la società del nord che li abitua a questo tenore di vita, e loro quanto più hanno più vogliono, e avendo tutto pensano di essere superiori a noi e quindi ci scartano. E' proprio un modo sbagliato di vita, di educarli fin da piccoli. Fare a botte per loro è uno spasso, è uno sfogo della rabbia che si portano dentro tutta la settimana, che subiscono sempre le stesse cose. A Napoli no: se un ragazzo va allo stadio, va per vedere la partita. La pagella (dell')omicida? Raramente il giornale dà così chiara prova del suo valore come in occasione di fatti di sangue che abbiano come protagonisti dei giovani. Allora, il giro delle telefonate che raccolgono il parere del sociologo, del neuropsichiatra, della donna, del teologo; le interviste agli amici e ai coinquilini, i pensieri del maestro di pensiero di turno compongono un quadro sinottico delle cause e degli effetti di convincente esaustività. Un acme in tal senso è stato raggiunto dal "maggiore quotidiano italiano" nel costruire il ritratto del diciottenne Simone Barbaglia, diventato recentemente assassino nei pressi dello stadio di Genova. Nel registro delle prove indiziarie, tra le cattive compagnie e il divorzio dei genitori immancabile viene rubricata la testimonianza della custode del palazzo, le cui scale sono state macchiate dalle di lui (Simone) scarpe, "sporche del fango dei prati di Milano": mentre dalla lavanderia a fianco, apprendiamo con vivo dispiacere, "non è pervenuta nessuna informazione". Ma il pezzo impagabile è il riquadro a pie' di pagina, dal titolo: "A scuola: violento, poco maturo, scorretto". L'intrepido reporter si è tuffato nel reale, e ha portato a galla una sequela di delibere e giudizi dei consigli di classe che hanno avuto Simone tra i loro alunni, in una scuola media milanese. Apprendiamo che Simone era "poco controllato, spesso infantile, discontinuo, con frequenti negligenze, incostante e volubile nei suoi doveri. Si distrae facilmente in classe, deve autocontrollarsi; pur avendo diverse capacità ha un profitto insufficiente". Bocciato al primo anno, le parole si ripetono uguali fino al terzo, quando la situazione si aggrava, tant'è che il consiglio all'unanimità decide di escludere Simone e un compagno dalla gita scolastica "per il loro comportamento violento nei riguardi di alunni della scuola". Fino ad arrivare all'ultimatum: se il comportamento di Simone non cambierà, si arriverà alla sospensione e, "in ultima ipotesi, alla non ammissione agli esami di licenza per la grave immaturità dimostrata". Quest'ultima deliberazione, alla cui natura probante il reporter attribuisce alto valore, viene riprodotta in fotocopia accanto all'articolo. Ce n'è abbastanza perché l'ineffabile titolista si senta autorizzato a completare l'opera con un vistoso occhiello che suona: "La pagella dell'omicida". Ci vuole un giornalista per elencare come indizi di vocazione omicida simili sequenze di parole identiche ad altri milioni di parole che, quadrimestre dopo quadrimestre, testimoniano solo la desolazione e l'impotenza delle nostre scuole. Insegno da anni nei bienni di istituti professionali e tecnici: il 90% dei miei utenti sono ragazzi poco controllati (anzi niente); infantili, volubili, distratti, incostanti, violenti nelle parole sempre, nei gesti spesso. Ho visto sui registri di classe centinaia di rapporti e sospensioni, che hanno la vuota ripetitività delle grida manzoniane. L'ultimatum fotocopiato e pubblicato dal nostro reporter ha il suono patetico della dichiarazione di fallimento: l'estremo tentativo per tener buono Simone è quello di prospettargli l'impossibilità di essere licenziato dalla scuola. Personalmente non uso prowedimenti disciplinari perché inutili, ma soprattutto perché sono la caricatura del mio desiderio vero, che è quello di liberarmi in modo drastico e definitivo di tutti i Simone Barbaglia che mi pesano addosso con l'enigma insolubile della loro infelicità, scolastica e extra scolastica. Ne ho avuti anche di quelli (in genere pluriripetenti) per i quali l'unico modo di non sentirsi delle nullità consiste nell'infilarsi un coltello nei calzini, da esibire ai piccoli compagni terrificati: ben poco ho potuto fare, oltre che trattarli con rispetto, e sperare che mai uno sciagurato convergere di circostanze induca a usare per dawero quei coltelli. Agostino Mi chiamo Agostino, ho 22 anni a dicembre. Ho frequentato la scuola elementare e media a Ercolano, sono stato bocciato due volte alla scuola media, per la maggior parte frequentando le cattive compagnie, amici svogliati, perciò non studiavo. E così mi hanno bocciato. Una volta in prima media, un'altra volta in seconda. Mi hanno bocciato perché nella scuola c'erano altri ragazzi come me, e tutti venivano bocciati. Sono uscito dalla media a 15 anni. Dopo la licenza media pensavo di non proseguire la scuola. Sono andato in Germania, a Berlino, perché là ci stava un commercio di panni vecchi. Là stavo in una fabbrica, dove si scartavano dei panni che venivano da Ercolano. Da dove li prendono i panni, e quanto li pagano? Vengono da tutto il mondo, anche dall'America, li pagano trecentomila lire al quintale. lo dovevo fare lo scarto delle maglierie di lana, dove le più buone le mandavamo al mercato per venderle al pezzo, circa diecimila lire. A Berlino c'è un mercato di panni usati? Stava nella zona periferica ... i maggiori clienti erano italiani, èi venivano anche per avere un dialogo con i loro paesani; a volte ci portavano il caffè oppure dei biscotti, perché là ci sta un rapporto di fratellanza; poi veniva anche gente ricca, tedeschi, gente che là si era fatta una posizione. Dove abitavi? Abitavo in un ostello dove avevo vitto e alloggio, spesso la ditta mi dava l'alloggio. Sono stato due mesi, d'estate, ho guadagnato circa tremila marchi, allora erano due milioni e mezzo. Poi mi ero stancato, forse anche la nostalgia di casa ... Come son tornato ho fatto l'iscrizione all'Istituto nautico; ho capito che avevo un'età, vedevo che persone istruite potevano guadagnare di più, così mi sono messo vicino a ragazzi che invogliavano a studiare e dal terzo anno in poi sono stato rimandato solo in Sicurezza e poi al quarto anno in Macchine. Ma nel frattempo lavoravo presso un distributore di benzina che appartiene al marito di mia zia. Che cosa facevi, e quanto guadagnavi? Lì c'è l'autolavaggio, lavoravo dalle due e mezzo fino alle otto, prendevo sulle centomila alla settimana, poi la sera studiavo. Fino all'una a volte. Adesso mi dà sulle trentamila, perché lavoro solo la domenica, dalle otto all'una. Il s~bato studio, la domenica pomeriggio ripeto, al lunedì venivo a scuola normalmente. Tuabiti in una zona dove, facendo certe scelte di vita, non è difficile guadagnare molti soldi con facilità. Facendo una vita così dura, non ti è mai venuta la tentazione di fare come loro, di trovare una scorciatoia? lo sono stato sempre del punto di vista che uno i soldi se li deve sudare. Se uno li vuole guadagnare facilmente poi però si deve sempre guardare le spalle. E poi prima di tutto devo ringraziare mia mamma, perché mi ha sempre detto che preferirebbe andare lei in galera uccidendomi anziché vedermi soffrire, fare quella fine. Vedendo quello che mi era successo a scuola, che frequentando cattive compagnie si finisce male, sono consapevole di quello che faccio fuori. Se qualçyno mi offrisse di guadagnare molti soldi facilmente resisterei, anche perché mo' che sono fidanzato da quasi un anno, sono deciso a crearmi ur.iatamiglia, quindi non posso mettermi nei guai, è escluso. Nella zona dove abito ce ne sono almeno una decina di ragazzi che da piccoli giocavamo insieme, e adesso chi è andato in galera, chi spaccia la droga. Un mio amico che si drogava abbiamo tentato, con alcuni amici. .. ma è lui che non aveva la volontà di uscire, quindi l'abbiamo lasciato al suo destino. E poi quante volte ci è capitato che standogli vicino, la polizia ci ha trovato vicino a lui e ci ha picchiato, perché erano convinti che eravamo anche noi drogati. Come si sono comportati con te gli insegnanti? Non danno una mano ai ragazzi, quando alla scuola media vedevano che ero così, i professori pensavano solo a farmene andare al più presto possibile, perché ti devono sopportare fino all'ultimo, non è che ti danno una mano a recuperare. Facevano gli amici, ma un aiuto nel senso di dire: ti do questo perché ti serve, no. Che cosa pensi di fare dopo il diploma? Penso di navigare qualche po', poi sempre faccio delle domande a terra, nella speranza di poter trovare un posto, statale diciamo. La mia ragazza anche lei lavora, in una fabbrica di tessuti, qui a Ercolano. Fanno vestiti per neonati. Lavora dalle otto e trenta alle cinque del pomeriggio. Le danno centoventimila lire la settimana. P.S. Nella storia di Agostino c'è una lacuna che non ha voluto riempire. L'intervistatore, che ne era a conoscenza, ha rispettato il suo silenzio, evitando di porre domande su/l'argomento. Agostino era stato chiamato in Germania dal cognato, che lavorava con i panni vecchi. Un giorno che Agostino doveva uscire col camion, per qualche motivo non lo ha fatto, e il cognato è uscito al posto suo. Un incidente stradale gli ha tolto la vita. Agostino non èpiù riuscito a liberarsi dal pensiero che quella morte toccava a lui, e si è prefisso di mantenere col suo lavoro la sorella e il suo bambino, senza però lasciare la scuola. Carla Melazzini UNA CITTA' 5

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==