Una città - anno V - n. 41 - maggio 1995

di Algeria B I Un paese crogiuolo fecondo di lingue e culture. Premesse alla barbarie integralista di oggi furono l'arabizzazione forzata e la lotta a tutto ciò che sapeva di francese seguite al '62. La necessità di sostenere quegli intellettuali che, a rischio della vita, credono ancora in un Mediterraneo culla di culture che si mescolano. Intervista a Claudia M. Tresso. Claudia M. Tresso, torinese, è studiosa del mondo arabo-islamico. Tu vedi i prodromi dell'attuale catastrofe algerina già ai tempi dell'indipendenza e vedi quasi una consequenzialità fra le scelte fatte dall'Fln dopo la rivoluzionee l'attuale integralismo fanatico islamico. Puoi spiegarci? Il punto chiave è capire la situazione nel 1962, anno dell'indipendenza. La colonizzazione in Algeria era stata molto capillare, con una percentuale di presenze europee fortissima: ad Algeri tre quarti della popolazione erano di origine occidentale. La popolazione locale era in parte cristiana, in parte ebrea ed in parte mussulmana, meno frequentemente atea perché il rapporto con il religioso era molto forte; comunque molto variegata. Inoltre non era solo araba, perché oltre agi i arabi c'erano, e ci sono, i berberi che sono sì una minoranza, ma che è p;iri a un quinto della popolazione algerina. Non c'era un'identità nazionale algerina. Prima del colonialismo, durante l'impero ottomano, se chiedevi ad un algerino "cosa sei?", lui rispondeva "sono mussulmano", o "sono cristiano": l'identità era data dall'appartenenza al gruppo linguistico o rei igioso o, nelle campagne, al clan o alla tribù, non certo da una identità nazionale. Dal punto di vista della lingua -e quanto sia importante la lingua per la connotazione nazionale ce lo dice il ruolo che essa ha avuto nella definizione di nazione in Europ,apossiamo dire che non esiste una lingua nazionale algerina, ma che ne esistono diverse. L'arabo ha la caratteristica di non essere una lingua unica: da una parte c'è una lingua scritta, che viene definita tra 1'8° e il 10° secolo, durante l'impero abbaside, e viene imposta in tutti i territori conquistati in quanto lingua islamica, divenendo la lingua ufficiale della culturaedell'amministrazione, ma che la gente non parla. Dall'altra parte ci sono vari dialetti arabi parlati che si diffondono al l'epoca del la éònquista e che, mischiandosi alle lingue delle popolazioni locali, danno origine a lingue estremamente aperte, dinamiche e vitali che cambiano continuamente, a maggior ragione perché non scritte. Tra I' altro le donne, che sono escluse dal sistema pubblico e non possono scrivere, parlano, e parlano questa lingua corrente, che cambia, usandola sia per trasmettere la tradizione più legata alla gente, alla vita delle persone, sia per mantenere la fortissima tradizione orale del le tribù nomadi dell'ante-islam. I berberi, poi, parlano la lingua berbera, che è una lingua vera e propria, per molto tempo anche scritta, comunque mantenutasi come lingua parlata nonostante le forti pressioni dell'arabo e la marginalizzazione subìta dalla cultura berbera una volta che i berberi si allontanarono dalle zone costiere ricche di commercio per rifugiarsi nelle zone montagnose dell 'Atlante. Come lingua dell'amministrazione, dopo la conquista ottomana, cioè dal 16° al 19° secolo, i turchi, proprio come mezzo di coercizione, imposero il turco, che verrà poi soppiantato dal francese, imposto dal colonialismo. Ma attenzione, il francese si diffonde anche come lingua di cultura perché i francesi, malgrado non facciano nulla per combattere l'analfabetismo e, anzi, cerchino di non invogliare le popo- ~ quindicina/e di cultura e attualità dal sommario n. 9 - 1 maggio 1995 Raniero La Valle I bambini gridano per tutti Maurizio Salvl Perù: un test per l'America Latina Romolo Menlghettl Giudici: Dall'hosanna al crucifige FIiippo Gentllonl Resistenza: Il passato e l'oggi Glancarlo Ferrero Procreazione assistita: Spetta ai medici regolamentare? Sergio Sacchi Elezioni: Tutti fanno centro Rolando Marini Quanti voti ha spostato la Tv? Fiorella Farlnelll Vivere la città Carlo Plgnocco Patrimonio pubblico: Vendere tutto e subito? Stefano Cazzato I libri della Resistenza Maria Patini Trapianti: Cercasi organi disperatamente Maurizio Llchtner Il secolo della psicoanalisi Maurizio DI Giacomo Che cosa leggono i giovani italiani Manuel Tejera de Meer/Martna Nenna Psicologia: Emergenza insegnanti Laura Schrader Integralismo: Duri e puri Roberto Cipriani Sociologia religiosa: Il pianto della Madonna Giancarlo Zizola Evangelium vitae: Il •Patto di Abele• tra la Chiesa e l'umanità indifesa Carlo Molarl Imparare a sperare Enrico Peyrettl Il monachesimo di tutti Bruno Magglonl Come leggere oggi la Bibbia Arturo Paoll In cerca di senso Documento Tribunale Permanente dei Popoli La violazionedei diritti fondamentalidell'infanzia e dei minori Rubriche Ci scrivono i lettori - Primi Piani Attualità - Scienza,Tecnologia e Società - Bibbia - Teologia - Cinema - Teatro - Tv - Arte - Fotografia - Letteratura - Musica - Riviste - Libri - Rocca/schede 64 pagine abbonamento annuale L. 60.000 Rocca - Cittadella - 06081 Assisi richiedere copie saggio o )azioni locali ad andare a scuola, francesizzano anche il sistema scolastico e a quel punto i missionari formano una serie di scuole che diffondono l'istruzione, soprattutto in ambito femminile. Le prime donne che vanno a scuola nei paesi arabi vanno nelle scuole di suore perché le suore danno affidamento, hanno il velo anche loro e non vengono vissute né come rivali né come rappresentanti del I' Occidente che viene a imporsi, ma come donne che hanno gli stessi valori. Quindi questo francese che si impone, anche se marginalmente, nell'istruzione, comincia a veicolare dei valori molto forti dell 'Occidente, non quelli imposti dal colonialismo soffocante, ma quelli accomunanti, primo fra tutti il valore dell'istruzione, quelli dell'illuminismo, della ragione, della scientificità, della emancipazione femminile, dei diritti delle minoranze. il francese fu anche lingua · di cultura Sono valori in parte anche trasportati da gente di buona volontà, da occidentali che vivevano con onestà quello in cui credevano, qualsiasi fosse la loro appartenenza, di sinistra o cristiana. Questi valori vengono assunti da intellettuali algerini, mussulmani, cristiani, berberi, arabi, e producono un grande fermento intellettuale, di modernizzazione delle idee; un dibattito per cercare di capire come sintetizzarli con la propria cultura. E' la rinascita del mondo arabo dopo il periodo buio dell'ottomanesimo, quella che gli arabi chiamano la nahda: una feconda sintesi di culture diverse senza alcun assolutismo ideologico e senza incancreni mento nella propria unica verità. In questo confronto con la cultura europea gli arabi iniziano anche a interrogarsi sul nazionalismo. Tra la fine del 19° e l'inizio del 20° secolo tutto il mondo arabo è fecondo di sintesi culturali molto forti sul senso del nazionalismo: ci si interroga in base a cosa l'arabo possa definirsi, se in base alla lingua o in base all'Islam, inteso però nel senso più ampio di cultura, come esperienza islamica vissuta in terra araba. C'è tutta una ricerca per definire il ruolo dell'Islam ali 'interno del nazionalismo, in termini estremamente modernizzanti, non della modernità imposta quale modello, ma come un processo che implica anche sofferenza nel costruirlo. Solo per citare alcuni di questi grandi intellettuali possiamo ricordare Qasim Amin che, alla fine dell'800, in Egitto, parla di liberazione femminile in una maniera talmente radicale da essere espulso dalla università di AI-Azhar, che rappresenta il centro del pensiero islamico; sempre dalla stessa Al-Azhar provengono i grandi rifonnisti Muhammad 'Abduh e Rashid Rida e, ancora, 'Abd AI-Ràziq, un altro grande pensatore pressoché sconosciuto in !tal ia, che sostiene che l'Islam non è mai stato un potere politico, e questo è quanto di più diverso da quello che oggi sentiamo dire. Ma tutto questo viene bloccato dalla decolonizzazione? Purtroppo sì. Tutto questo fermen10 viene bloccato dalla chiusura mentale, intellettuale, dei nuovi dirigenti. La guerra di indipendenza che ha visto la partecipazione di tutta la popolazione, comprese le donne, i bambini, i berberi, i cristiani, i mussulmani e diventa perciò un momento di coesione fortissima per questa società vari amen te composta a livello di lingua, di religione e quindi di usi e costumi sociali, è stata guidata da un Fronte di Liberazione Nazionale rappresentativo di tutte quelle realtà, ma dopo la vittoria sale al potere solo un piccolo gruppo dell'Fln, che molto presto si sbarazza di quasi tutti i membri della opposizione interna, o eliminandoli fisicamente -e sono parecchi- oppure emarginandoli e cancellandoli dalla memoria storica del paese. Da un certo punto in poi, nei manuali di storia algerina, per esempio, una figura chiave come Ferhat Abbas non compare neanche più. E cosa fa questo gruppo al potere? Dando inizio alla lotta contro tutto ciò che è francese e a un' arabizzazione forzata, impianta ex-novo un'idea di nazione algerina che non corrisponde affatto alla variegata realtà culturale e linguistica della regione. Quel crogiuolo di lingue che poteva, a parer mio, dare una fecondità culturale enorme, illimitata, viene assolutamente cancellalo dall'imposizione, quale lingua nazionale, della lingua araba scritta che pochissimi conoscono. L'Fln impone l'arabizzazione, graduale ma molto veloce, di tutto il sistema scolastico, e dal '62 al '91 è un continuo crescere del I' arabizzazione, che viene imrosta sempre più pesantemente: si arriva a vietare la diffusione dei giornali in lingua francese. Si scatena la lotta contro il cosiddetto "partito della Francia". E' del '91 l'ultima legge che prevede, entro il '97, l'arabizzazione totale di tutte le amministrazioni, di tutte le istituzioni, non solo nei rapporti tra loro, ma anche nei rapporti con l'estero. Quello che poteva essere inteso come riscoperta della propria identità da parte delle popolazioni locali, in realtà è lo smembramento di quella identità locale: si taglia via, si amputa il francese, la connotazione reale che il francese aveva nella gente. i valori ancora validi dell'illuminismo Moltissimi intellettuali algerini usciti dalle scuole francesi, che hanno preso dalla Francia, e dall'Occidente in genere, una serie di valori, rielaborandoli fecondamente nella propria cultura e proponendoli come alternativa al rigido totalitarismo dell'Fln, vengono sempre più marginalizzati, anche linguisticamente, perché non sono in grado di scrivere in arabo classico. Malika Mokeddem, il cui Gente in ca111111i110 è stato recentemente tradotto in Italia da Giunti, dirà: "il francese è la lingua della mia libertà'', proprio perché non è legata ai dogmi della religione, perché è la lingua con la quale lei è entrata in contatto con i grandi valori del1'Occidente, quelli di cui esiste una lunga tradizione in Occidente anche se in questo momento sembra un po' spenta: i valori dell'emancipazione, della libertà individuale, della persona in quanto singola portatrice di una propria tradizione e non considerata solo quale membro di un gruppo. L'Fln doveva anche elaborare una propria ideologia, doveva ricercare delle proprie radici e dove trovarle se non nella guerra di liberazione? La guerra di liberazione, e i virilissimi miti che questa tra l'altro comporta, diventano la base ideologica che legittima il governo e il potere stesso. Anche nei manuali di storia il riferimento storico al passato coincide con la guerra di liberazione e non rimane traccia del passato reale del l'Algeria, costituito fin dal 2° secolo d.C. da un miscuglio di culture. Apuleio, poi Agostino, vescovo cristiano, poi gli arabi, i berberi, la tradizione nomade, la tradizione sedentaria: era un passato veramente da rivalutare nella sua mediterraneità. Invece viene completamente dimenticato. La stessa rivoi uzione algerina perde la sua caratteristica propria, quella, cioè, di aver unito elementi diversi, donne, uomini, berberi, cristiani, arabi, mussulmani, per diventare rappresentativa solamente del piccolo gruppo che detiene il potere. C'è un fatto-peraltro molto importante, ma anche molto emblematico della vicenda algerina- che succede all'indomani della rivoluzione. Ali' epoca dell'indipendenza, nel '62, mancavano completamente gli insegnanti perché il colonialismo aveva favorito molto poco l'istruzione degli indigeni. Con un livello di analfabetismo intorno al 95% il numero di insegnanti rimasti in Algeria, dopo che i 25000 insegnanti francesi se ne erano andati, era di 2.000 e nessuno di questi sapeva seri vere e parlare l'arabo scritto. Allora cosa fa l'Fln? Chiede insegnanti ad altri paesi arabi. In Egitto, all'epoca, i Fratelli Mussulmani, nati nel '28 e divenuti forza di opposizione nel '54, due anni dopo l'ascesa di Nasser, hanno già dato vita a grosse sommosse. Così l'Egitto sarà ben contento di liberarsi di tanti islamisti, che andranno a costituire la maggioranza del corpo insegnante algerino: saranno veri e propri missionari islamisti che, attraverso l'insegnamento della lingua araba, porteranno in Algeria una lettura integralista e totalitaria dell'Islam. Hai parlato dei "virilissimi miti della rivoluzione algerina". Dal punto di vista della partecipazione femminile, l'immagine che noi abbiamo della rivoluzione algerina è molto bella... Anche qui si è un po' mitizzato: le donne nella rivoluzione algerina facevano, come spesso accade, le infermiere, le maestre, portavano anche le armi sotto i propri vestiti, ma già allora c'era la tendenza a marginalizzarle. Hanno avuto un grande ruolo nella rivoluzione, perché, comunque, di infermiere e di maestre c'era grande bisogno; purtroppo, però, quando finisce una guerra i miti che in genere restano sono quelli dello scontro armato, dell'eroe che perde la propria vita e non quello dell'infermiera che invece ha salvato la vita a tanti uomini, che, forse, l'avevano messa un po' troppo a repentaglio. Tendono ad affermarsi miti che io definisco virili, non maschili, ma virili in senso positivo, perché non si può non rispettare chi addirittura sacrifica la propria vita nel nome delle idee in cui crede. Però credo che per permettere a qualcuno di sacrificare la vita in nome delle proprie idee, ci sia bisogno anche di tante altre persone, in genere donne, che sacrificano anch'esse la propria vita in nome delle idee in cui credono, ma dietro le linee. in un modo meno virile di cui non si tiene mai conto. In questo senso la guerra è totalitaria, non vede le differenze. E tutto questo, tu dici, trova una continuità con l'integralismo islamico. I gruppi islamisti emergono un po' ovunque nel mondo arabo dopo la guerra dei sei giorni nel '67, con il crollo del progetto panarabista di Nasser, il conseguente crollo del prezzo del petrolio e infine la crisi del modello di sviluppo desunto dal socialismo reale, basato sull'industrializzazione pesante. Negli anni '80, in Algeria, si contano a decine le industrie che chiudono e i progetti che vengono interrotti; c'è un totale crollo dell'economia locale, si crea un forte disagio economico e, di conseguenza, un forte disagio sociale. E' questa serie di fattori politici-economici, non religiosi, che portano I'islamismo radicale a diventare punto di riferimento del malcontento sociale. L'islamismo, con i suoi riferimenti ai testi base del l'Islam, non ha in realtà un progetto politico ed economico da proporre in alternativa a quello, fallito, dell'Fln. Ha però un progetto sociale che ha molto impatto sulla vita della gente. E infatti quali sono le cose che propone? Il velo alle donne, il fatto, per esempio, di risolvere la crisi degli alloggi creando delle microcomunità nelle periferie urbane, che, nella condivisione dei beni, permettano un'economia autonoma di sussistenza e consentano di trovare alloggio ai membri della comunità. La presenza nelle moschee, nelle scuole, nei punti di ritrovo riesce a far breccia nella gioventù, algerina e non solo algerina, delle campagne e delle peri ferie urbane che non ha lavoro, che esce da sistemi di istruzione male organizzati, con diplomi dequalificati, che si trova davanti un apparato burocratico fagocitante, che non vede speranza nel futuro e si vede continuamente riversare addosso i miti dell'Occidente "cattivo" e consumista, un Occidente che impone la mondializzazione della propria identità. per il trionfo delle donne contro i fascisti A quel punto sono ricomparsi i valori già affermati da anni dall'Fln: l'opposizione alla Francia diventa opposizione alla cristianità-Occidente, e la differenza non è poi molto grande; si recupera di nuovo l'arabo come lingua per eccellenza dell'Islam. In un paradosso storico terribile il totalitarismo dell' Fin, estremamente discriminante nei confronti delle minoranze locali e delle donne, è andato a nutrire un totalitarismo ben peggiore. Dopo aver appoggiato, spesso acriticamente, regimi che potremmo definire fascisti in nome dell'anti-occidentalismo o di un terzomondismo malinteso, cosa dovrebbe fare oggi la sinistra europea? Secondo me la sinistra ha una forte responsabilità per non aver saputo imporre, prima dell'ideologia, i valori di cui era portatrice. Io mi sono sentita tradita quando, attraverso lo studio, ho scoperto chi era Nasser. Ma anche se Nasser e l'Fln algerino sono stati punti di riferimento molto importanti per una certa area della sinistra, questo non fa venir meno i valori della sinistra europea, i valori di una democrazia reale, della capacità degli individui di esprimere se stessi, le proprie aspettative, i propri bisogni. Io continuo a crederci, anche se Nasser ha torturato e ucciso. Francamente credo che sia ora di smettere di piangersi addosso: la critica radicale dei modelli in cui si credeva non mette in discussione il patrimonio dei valori. Credo che in questo gli intellettuali arabi, anche quelli mussulmani, possano essere un sano stimolo per l'Occidente, perché nei loro pensieri, nei loro modi di essere, nel loro modo di porsi, stanno operando una sintesi fra quello che sia l'Occidente che la loro cultura e la loro variegata società avevano e hanno di buono. E' un tentativo, che spesso pagano con la vita, dovendo opporsi sia ai regimi totalitari al potere che alla tragedia del- )' islamismo crescente; ma è da chi sostiene una cultura mista che possono venire i cambiamenti. Qualsiasi cultura, da qualsiasi parte provenga, è fallimentare se non apre i suoi confini, se resta rigidamente chiusa in se stessa: solo l'incontro e, a volte, anche lo scontro con altre culture può generare qualcosa di nuovo, che tenga conto della plura-

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