Una città - anno V - n. 41 - maggio 1995

un mese di n anno Dani significa Giorni ed è una bella rivista che esce da tre anni a Sarajevo. Ricca di foto, di interviste e di storie. E'Ozren Kebo, il vice direttore a parlare. Posso raccontarti come riuscimmo a far uscire il primo numero nell'inverno del '92. In quell'anno l'inverno fu terribile perché nessuno era abituato a niente di ciò che stava accadendo: bombardamenti massicci e continui, niente luce, niente riscaldamento, niente acqua. Quel numero tuttavia venne messo insieme e quando tutto il materiale fu pronto restò solo da portarlo alla tipografia, dall'altra parte della città. All'una di notte finalmente trovammo un po' di benzina per un'auto e sotto le granate che non smettevano di cadere riuscimmo a raggiungere la tipografia sani e salvi. A quel punto il problema era come azionare le macchine senza corrente. Con la benzina rimasta nell'auto facemmo funzionare un generatore elettrico, ma le macchine ancora non si muovevano: erano congelate. Allora con pezzi di carta incendiata le riscaldammo, finché finalmente ripartirono. Ed uscì il giornale. Era la prima volta e ci sembrò incredibile. Ma ce ne furono altre, tante altre, perché da allora sono passati mille giorni e Sarajevo è ancora sotto assedio e la luce, il gas, l'acqua, i rifornimenti di ogni tipo sono sottoposti al controllo più o meno diretto dei cetnici che ci circondano. Non abbiamo saltato un numero, grazie a persone molto pazienti che continuano a lavorare per noi anche se noi oggi possiamo pagarli ben poco. Nel 1994abbiamo accumulato un debito di più di cento milioni di lire nonostante che tutti noi lavoriamo gratuitamente, come volontari. Abbiamo ricevuto qualche aiuto -tre macchine da scrivere elettroniche e altro materiale di cancelleriada giornalisti belgi e tedeschi. Ma questo è tutto. lo ho 35 anni, sono il vice direttore e sono il più vecchio di tutti. Gli altri hanno dai 18 ai 25 anni, sono veramente giovani e con poca esperienza. Molti di quelli che avrebbero potuto aiutarci sono andati via da Sarajevo e così oggi dobbiamo contemporaneamente far uscire il giornale e insegnare ai più giovani. Ma ormai è il nostro destino e non vogliamo· arrenderci, né lamentarci, ma tirare fuori il massimo, far vedere a tutti che da Sarajevo possono ancora uscire cose di buon livello. Edevo dirti che riceviamo tanti complimenti anche dall'estero: nessuno crede che un giornale come il nostro possa davvero uscire a Sarajevo. Tanti nostri colleghi di importanti giornali europei giudicano Dani il più bel giornale oggi pubblicato in Jugoslavia. Non so se sia proprio vero, comunque siamo orgogliosi di questi giudizi perché ci costa tante energie fare sopravvivere Dani. La tiratura è di tremila copie, ma non riusciamo a venderle tutte perché troppa gente non ha i soldi per permettersi un giornale che costa due marchi tedeschi. La nostra redazione è mista, nel senso che ci sono croati, serbi, mussulmani. Ma questo è naturale, così è la nostra città. Non dobbiamo fare sforzi particolari, cercare con la lanterna rappresentanti di tutte le minoranze per dare una certa idea. Semplicemente facciamo un giornale e cerchiamo bravi collaboratori, va da sé che la redazione risulti mista. Questo dato di fatto non fa che confermare la giustezza della linea del giornale, cioè l'apertura verso tutti i punti di vista, la tolleranza verso le opinioni diverse, Il sostegno alla multiculturalità, alla multietnicità e alla multireligiosità che sono la vera ricchezza di Sarajevo. Cerchiamo di non essere a priori con il governo e nemmeno contro, inseguiamo quello che dovrebbe essere lo scopo di tutti i giornalisti: l'obbiettività. E' l'unico modo per essere davvero un giornale indipendente. Siccome non siamo degli illusi, sappiamo che l'ideale dell'obbiettività non è stato raggiunto in nessuna parte del mondo, tuttavia credo che il clima di libertà che si respira a Sarajevo sia davvero invidiabile anche da chi non si trova da tre anni in guerra come noi. Dopo tre anni di promesse, di principi sbandierati, di grandi chiacchiere e ancor più grandi fregature non voglio più perdere tempo aparlare dell'Europa e dell'Onu. Da loro non mi aspetto più niente e, sinceramente, non mi interessa più niente di loro. Per quanto riguarda l'islamizzazione della Bosnia si tratta di un processo che esiste solo nella propaganda dei cetnici e nella testa di pochi estremisti mussulmani. Nella popolazione di Sarajevo, nei suoi atteggiamenti e nei suoi pensieri non esiste niente di tutto questo. Come giornale seguiamo con attenzione queste cose, perché non vogliamo lasciare il più piccolo spazio a coloro che avessero intenzione di snaturare quella realtà per la quale è valso la pena fare tanti sacrifici. Vorrei anche mettere in guardia voi stranieri dalla tentazione di semplificare la nostra realtà spiegandola in quattro parole e ti faccio un esempio che deve fare riflettere: se vedete un soldato serbo o uno croato -o un francese e un americano ...- con un crocifisso al collo nessuno parlerà di integralismo cristiano, sembrerà a tutti una cosa molto normale. Se vedete un bosniaco con al collo il tespih, la collanina che si usa per le preghiere, ecco che qualcuno lancerà l'allarme per l'islamizzazione dell'esercito bosniaco. Non perdiamo la proporzione delle cose! Un soldato credente o molti soldati credenti non fanno un esercito integralista. Ci sono troppe esagerazioni interessate. Oggi questi gruppi integralisti sono assolutamente marginalizzati e non hanno nessuna speranza di prevalere. Piuttosto c'è da dire un'altra cosa, solo apparentemente paradossale, e cioè che proprio coloro che in Europa si mostrano così timorosi di una islamizzazione della Bosnia sembrano fare di tutto per favorirla! Esiste una Bosnia interetnica, interreligiosa, ecc. ecc. per la difesa della quale i bosniaci di tutte le fedi stanno ancora combattendo. Se Francia e Inghilterra non muovono un dito per salvare questa Bosnia, se boicottano i tentativi americani, non ci spingono forse in braccio ai paesi islamici? L'Iran ci aiuta e noi siamo grati del loro aiuto. Siamo forse in condizione di rinunciare all'aiuto di qualcuno? E come ogni altro paese anche l'Iran chiederà qualcosa in cambio dei suoi soldi. Non mi piace, ma non posso cambiare questa situazione. Esto parlando non da bosniaco, ma da europeo disilluso. Perché se parlo da bosniaco penso che l'Europa non merita la Bosnia come era prima della guerra e nei momenti peggiori mi viene da augurare che anche l'Europa provi un giorno quello che ha permesso che ci accadesse, non come morte e distruzione, ma come tentativo di annullare le nostre radici, la nostra cultura, la nostra identità. Mi dispiace, so che non è un be/l'augurio. Non conosco nessuno a Sarajevo che non abbia intenzione di uscire. Anche se tanti poi tornano. Prima hai salutato Delibasic, uno dei più grandi giocatori di basket in Europa. Viveva in Italia con la moglie e i figli, ma non ha resistito, non può vivere lontano da Sarajevo. Tutti hanno idee, fanno progetti per partire, è anche un modo per sentirsi vivi. Ma non è detto che partano davvero. Anch'io ho moglie e figli a Zagabria, ma non credo che lascerò Sarajevo. Non accuso nessuno, per carità. L'ultimo che parte ff5g ouct3 cosahe si ~jcer\ob Bi an CO SARAJEVO, MAGGIO 95 Jovan Diviak è un generale del1 'Armja, l'esercito bosniaco. Come grado è secondo solo al Com011dante in capo. Probabilmente lei conosce i comandanti che circondano e bombardano questa città. E' un fatto molto triste, che si aggiungeagli altri dolori: ma fra quelli che dalle colline tentano di distruggere questa città e i suoi abitanti ci sono tanti giovani ufficiai i che sono stati miei allievi all'accademia militare. A quei tempi non si parlava mai di serbi e di croati, di bosniaci e di mussulmani, ma solo di esseri umani, di popolo, di come essere un esercito popolare a difesa di tutta la nostra gente. Così è una sorpresa trovarli oggi da•Ia parte degli aggressori serbo-montenegrini, dalla parte dei fascisti. Purtroppo sono numerosi quelli che scelgono di seguire Karadzic, Mladic e gli altri paranoici. La maggioranza proviene da località rurali, dove non s'è mai sviluppata interamente un'idea di umanesimo, di atteggiamento cosmopolita, di apertura cu !- turale. Per cui in fondo non è nemmeno sorprendente trovarli dalla parte di un modo di ragionare e di vivere la religione così unilaterale, così incapace di immaginare un popolo come l'insieme di diversità. Due terzi degli ufficiali dell'esercito aggressore provengono da paesini e luoghi sperduti della Serbia, del Montenegro e della Bosnia Erzegovina. Lo stesso Mladic, comandante in capo, è nato in un piccolo villaggio dell'Erzegovina ed è entrato nelle scuole militari a 14anni ed evidentemente non ha polu to comprendere cos'è l'umanesimo, cos'è l'europeismo, cos'è la tolleranza. E' questa mancanza di cultura, questa visione del mondo così paranoica che consente a lui e agli altri leader dei serbi di Bosnia e di Serbia di dire che è giunto il momento di riscattare la sconfitta del Kossovo, quando i turchi sconfissero i Serbi e occuparono per 500anni la Bosnia! Quando Milosevic e Karadzic pretendono di essere i difensori dei serbi, quando dicono che "dovunque vive un serbo quella è Serbia", contemporaneamente pensano che per gli altri popoli non c'è spazio per i diritti umani, per la libertà di pensare, parlare, credere in un'altra religione. Per gli altri popoli, nella loro testa, c'è solo un grande buio. Per questo non riescono ad accettare che la Bosnia Erzegovina sia un'area con tante diversità e si comportano in un modo che posso definire solo fascista. Anche lei vede questa guerra come lo scontro fra la democrazia e il fascismo. Cosa pensa del comportamento dell'Europa? Il comportamento del!' Europa è coerente con la situazione europea. L'Europa ha i suoi problemi economici e di leadership; in Russia c'è una gravissima situazione di spaccatura e questo influenza i comportamenti europei; in tanti paesi c'è una ripresa del neofascismo, come in Italia; il Vaticano ha forse visto un vantaggio per i cattolici a lasciar passare l'idea che si tratta dello scontro fra Islarp e ortodossi. Tutto questo ci fa capire che la situazione è confusa. I governi francese, inglese e spagnolo non si convincono che è un'aggressione contro la Bosnia, preferiscono credere che si tratti di una guerra civile, addirittura di una guerra religiosa e il loro aiuto non è per bloccare l'aggressione, ristabilire il diritto internazionale e i diritti umani, ma è solo un aiuto "umanitario" per tutte le vittime della guerra. E così la guerra continua e continueranno ad esserci vittime. Anche i popoli dell'Europa non capiscono cosa succede, cioè che qui sta nascendo un nuovo fascismo che sarà una minaccia anche per l'Europa. Per questo non c'è impegno politico, e quindi nemmeno militare, per risolvere la situazione. E' evidente che ci sono grandi disegni sulla ex Jugoslavia, per cui Germania e Usa da una parte e Francia, Inghilterra e Russia dall'altra cercano di conquistare sfere di influenza più grandi. Quando Bush è andato a Mosca prima dell'inizio della guerra so che hanno parlato delle sfere d' influenza in Jugoslavia e la Russia aveva ottenuto fino al fiume Orina, cioè la Serbia e il Montenegro, mentre l'Occidente aveva la Croazia, la Slovenia e la Bosnia. Questa guerra è il tentativo di cambiare sul campo quelle sfere d'influenza. Ed è una guerra fra la democrazia e il fascismo. Al tempo della guerra di Spagna gli schieramenti erano forse più chiari perché le dittature fasciste appoggiarono apertamente la rivolta franchista, e dall'altra parte ci furono le brigate internazionali. Fu anche quella una lotta fra fascismo e democrazia e la vittoria dei fascisti non portò nulla di buono al mondo. Qual è lasituazione militare oggi? L'aggressione alla Bosnia Erzegovina, che dura da tre anni, non è ancora finita. Ora però l'esercito bosniaco è riuscito a costruire un' organizzazione di alto livello. Il sistema di comando funziona perfettamente, iImorale è altissimo, I' addestramento è molto migliorato e siamo pronti meglio a rispondere all'aggressore. Non c'è dubbio che oggi siamo in grado di difendere quello che possediamo in termini di città e territori. li problema è che il nostro esercito è nato in guerra, senza aiuti, non è attrezzato come quello serbo con le armi dell'esercito federale dell'ex Jugoslavia. Quello che abbiamo è stato costruito con l'entusiasmo e l'eroismo del popolo bosniaco che sa di poter contare solo sul proprio esercito per difendersi e per riconquistare i territori perduti. La situazione sul campo adesso non permette di cambi are l'equilibrio delle forze. L'esercito serbo può contare su 1800 pezzi di artiglieria, mentre noi ne abbiamo solo 400. Non abbiamo aerei. né sistemi antiaerei e abbiamo solo 40 carri armati. Questo è il motivo che ci impedisce di cambiare la situazione. Ci vuole un aiuto: o si finisce con la demagogia internazionale che è stata finora inconcludente o si toglie l'embargo alle armi, che danneggia solo noi perché gli altri le hanno e le ricevono. La fine di questa guerra è dunque lontana? E' molto difficile dire quanto durerà ancora, è una previsione impossibile. Però i segnali sono poco positivi e ci dicono che sarà ancora lunga. Innanzitutto Karadzic non accetta le proposte del Gruppo di contatto (Usa, Russia, Germania, Francia e Inghilterra) che stabiliscono che i confini dello stato democratico della Bosnia sono quelli storicamente riconosciuti e che le truppe serbe devono ritirarsi in modo che il 51% del territorio sia controllato dai bosniaci e dai croati. Questa proposta del 51 % non soddisfa nemmeno noi perché è un premio ali' aggressione, anzi è un riconoscimento ufficiale dell' aggressione che viene messa sullo stesso piano dei sacrifici e della resistenza del popolo bosniaco. E' un'altra prova che il mondo intende accettare i risultati dell'aggressione, e questo è un brullo precedente per tutti i popoli. Infine c'è un altro punto che per noi è importante, ma che il Gruppo di contatto non ha affrontato: il ritorno alle proprie città e alle proprie case dei profughi. Ci sono migliaia di persone che costituivano la maggioranza degli abitanti nelle loro città e sono stati cacciati con la forza, come a Prijedor, Foca, la regione del fiume Orina, Banja Luka, Sanski Most, Kozarac, dove c'è stato il più grosso genocidio. Questa situazione ci fa capire che la fine della guerra è ancora lontana. Ci sono poi le notizie di queste settimane che riguardano i preparativi serbi, le loro manovre. il loro addestramento, il movimento di artiglieria e carri armati e la probabilità di una nuova offensiva in tempi ravvicinati. Pensiamo che sarà come nel '94, con pesanti bombardamenti delle città bosniache e delle nostre sacche di resistenza come a Bihac. D'altra parte l'impulso alle operazioni militari viene anche dalla assenza di serie proposte politiche. Milosevic e Karadzic semplicemente respingono ogni soluzione internazionale e parlano demagogicamente di riunire tutti i serbi in un unico stato. Pongono condi zioAbbonamento a 1Onumeri di UNA CITTA ': 40000 lire. e.e. postale n.12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l., via Ariosto27, Forlì A richiesta: copie saggio. UNA CITTA' è alle librerie Feltrinelli. Una copia: 5000 lire. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421

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