Una città - anno V - n. 41 - maggio 1995

di proble,ni di scuola I giochi di ruolo per insegnanti per riflettere concretamente su cosa sia la multiculturalità. Il rifiuto di ridurre tutto a un galateo del "vogliamoci bene". I bimbi nomadi, sempre accompagnati da un pregiudizio fortissimo. La sofferenza di una scuola dove la giusta riforma modulare ha portato solo nozionismo e stress. Intervista a Maurizio Lazzarini. Maurizio Lazzarini, 36 anni, è direttore didattico a San Lazzaro di Savena. E' presidente del Laboratorio d'animazione Mangiafuoco di Castel S. Pietro. Nell'intervista a una professoressa nel numero scorso era citato questo corso sulla multiculturalità che avevi tenuto a Verona. Come Movimento Cooperativo Educativo vi occupate molto dei rapporti con le altre culture, e inoltre tu sei direttore didattico e quindi di questi problemi ne hai esperienza diretta, sul campo. Puoi raccontarci? Questa esperienza di giochi sulle culture "altre" è un po' vecchiotta in verità, nel senso che è nata una decina di anni fa e da allora con un gruppo di lavoro che si chiama Laboratorio di animazione Mangiafuoco, la portiamo avanti. Era il 1985, gli anni di Comiso, c'era ancora un cl ima da impero del male e si parlava molto di educazione alla pace, educazione ai rapporti, ma sempre come se fosse una forma di galateo da imparare, basato su un generico "vogliamoci bene, dobbiamo star bene ...". Le contraddizioni non venivano mai affrontate di petto. Noi siamo partiti da una domanda: la pace è annullare l'aggressività o è prenderne coscienza, convogliarla, discuterne, contrattarla? Il conflitto è sempre da evitare? E cosa si intende per conflitto? Qual è il limite del conflitto? La nostra convinzione era che il conflitto qualche volta andasse affrontato, anche perché, spesso, i giochi di potere si svolgono molto di più sulla contrattazione che precede il conflitto che non nel conflitto stesso. Ormai sono IOanni di lavoro, abbiamo approfondito alcuni temi fra cui quello delle culture "altre" che nel frattempo era esploso: nell'85 il problema degli extra-comunitari ha cominciato a suscitare forti discussioni, è dell '86- ' 87 la prima circolare di scolarizzazionedei bambini nomadi. E faccio subito un esempio per darvi un'idea del problema concreto: qui nella mia scuola ci sono 18 ragazzini nomadi, e l'anno scorso da un campo è arrivata una malattia poco simpatica, l'epatite, che ha coinvolto un'intera classe. In un caso simile, dove viene messa a rischio l'integrità fisica, metti in gioco davvero l'integrazione. il caso dei genitori che chiedono l'infibulazione E sulle culture altre ci siamo poi posti altre domande: con gli intolleranti dobbiamo discutere? Qual è il confronto che ci può essere fra noi e un islamico integralista? Noi dobbiamo sempre essere tolleranti? E se noi siamo sempre tolleranti loro cosa pensano della nostra tolleranza? Che è debolezza? Allora abbiamo cominciato a proporre delle provocazioni sotto forma di giochi, in particolare di ruolo. E senza essere né psichiatri. né psicanalisti, né psicoterapeuti: non ci interessa in quel senso; siamo in ricerca anche noi, anche il gruppo che conduce, che fa delle proposte è in ricerca e impara dalle altre B persor, tutti a~~altre prre - sioni. Il gioco è bello perché serve a tutti, sia a quello che si immedesima, e quindi cerca di portare avanti le ragioni dell'altro, sia all'altro perché estremizza le proprie ragioni e allora, attraverso la discussione, può venire fuori l'incontro. Uno dei giochi che facciamo si basa sulla. sim~lazione dell'incontro al bar tra due.gruppi, un bel gruppo di razzisti; il peggio con qualche leghista arrabbiato che era appena tornato da una commissione edilizia dove non so che case avessero assegnato, e un gruppo di quattro persone che aveva appena finito di frequentare uno stage sulle culture "altre": e anche lì baruffe, discussioni a non finire su fino a che punto si deve essere tolleranti con gli intolleranti. Comunque l'idea di base è quella di fare delle esperienze, ripeto, in forma di gioco, quindi con un inizio, uno svolgimento e una fine, che non coinvolge mai le persone direttamente, ma coinvolge dei ruoli, quindi crea una situazione, come dire, "in vitro": "adesso io gioco a fare il razzista ...", non lo sono, però gioco a farlo, e sono fetente, dò sfogo a tutte le ansie, i risentimenti, le cattiverie di un razzista, dopodiché, finito il gioco, discutiamo. In particolare in questi ultimi tempi, abbiamo fatto diversi giochi di ruolo legati a situazioni concrete, ispirate alla cronaca: è il caso francese dello chador a scuola. Abbiamo simulato, proprio a Verona, come quella professoressa ricordava, una cfasse con una supplente che stava facendo una lezione sulle crociate e mentre stava dicendo le sol ite cose improvvisamente entrano due studentesse con lo chador. Qual è il problema? Non c'è problema, tutto va bene: "come vi chiamate? Come state? ". Le persone che facevano le mussulmane hanno interpretato il loro ruolo perfettamente e a un certo punto una ha detto: "Ma voi cosa volete sapere? Come mi chiamo, sono d'accordo, ma com'è la mia famiglia sono affari miei". Dopo un po', ali' improvviso, le due mussu Imane dicono: "noi dobbiamo pregare" e a metà della discussione si sono messe nell'angolo e hanno cominciato a fare le loro preghiere. Poi è saltata fuori la discussione sul problema della foto di riconoscimento con lo chador. "Ma noi come facciamo a fare una foto se tu hai il velo?". "Sì, ma se voi mi chiedete di scoprire il viso sarebbe come se io chiedessi a voi di fare una foto a seno scoperJo". Insomma ben presto la situazione è diventata conflittuale, ma anche appassionante. Un altro gioco molto interessante l'abbiamo impostato su un fatto di cronaca fra l'altro successo poco lontano da qui. I genitori di una bambina etiope si erano presentati al medico scolastico per chiedere di praticare l'infibulazione alla propria figlia. Loro non avevano soldi per rivolgersi a una struttura privata, la mutua non la passava e allora la chiedevano al medico scolastico, che tra l'altro era una donna. Anche quel gioco è stato molto interessante perché la richiesta dei genitori arriva all'improvviso, quando il clima attorno alla bimba è molto caloroso ... Quindi partendo dai fatti di cronaca si dramma- ~lemi discutere le ragioni dell'altro, il che non vuol dire dargli sempre ragione. Credo che bisogna eliminare il galateo, essere più autentici forse, riconoscere le culture diverse ma avendo rispetto anche per la propria. Un altro gioco che abbiamo fatto, per esempio, un gioco molto evocativo, era basato sulla costruzione delle immagini delle proprie parti di anima colorate, quindi la propria anima nera, la propria anima rossa ... In Sostiene Pereira, si parla a un certo punto della confederazione delle anime che ognuno di noi ha dentro di sé. II nostro gioco si basava su questa idea: noi stessi siamo tanti e se noi stessi siamo in grado di rispettare, di capire le ragioni profonde delle nostre varie parti, allora siamo in grado anche di rispettare gli altri. Ma se noi non siamo in grado di rispettare noi stessi, di avere coscienza delle contraddizioni che ci sono dentro di noi ... Non è un discorso superficiale o retorico perché spesso il razzista riversa sugli altri, sul simile a sé, l'odio per un proprio problema. L'omofobia, per esempio, pare sia molto forte. Dicevi che avete dei bambini nomadi, come ve la siete cavata? Se parliamo di classi con bambini piccoli, prima e seconda, i problemi sono piccoli; i problemi seri vengono dopo perché se per esempio sparisce qualche cosa, necessariamente è stato il bambino nomade. Il pregiudizio è micidiale e se poi succede che viene confermato anche una sola volta, cosa che può succedere perché capita che i bambini, nomadi o no non c'entra nulla, prendano la gomma o il temperino bellino dall'astuccio del compagno, allora la condanna è definitiva. L'anno scorso poi è successo il caso di una brutta epatite che veniva, come è stato accertato, dal campo nomadi, e quindi puoi immaginare che problema è scoppiato coi genitori. Ecco, lì, nell'accogliere genitori che ti dicono: "va bene l'integrazione, ma tu non puoi chiedermi che mio figlio prenda l'epatite", mi sono sentito un attimo senza fiato. Tieni anche presente che il razzismo contro gli zingari è in testa alla classifica, lo dicono le ricerche, e tieni presente anche che i genitori sono lì come genitori, e che la figura del genitore, quando si alza, sovrasta tutte le altre: quando io sono investito di una genitorialità non parlo più solo per me, scatta un meccanismo che non sempre si concilia con la ragionevolezza. Alla fine il ragionamento che ho fatto loro è stato: "qui dobbiamo decidere tutti insieme se sia giusto dare a questi bambini un'altra opportunità di vita, se sia giusto per tutti noi e per la nostra società non dico insegnare delle cose che loro non vogliono imparare, ma fare vedere che si può vivere anche in altri modi, che ci sono altre organizzazioni di vita, che ci sono altri modelli. Forse se forniamo delle alternative i ragazzi da grandi potranno scegliere". E ha funzionato, ma non lo dico a cuor leggero, perché sento che è un argomento che non mi rispecchia come persona, che non vorrei usare, so che vorrei dire ben altro. ma in alcuni anni di militanza ho imparato che a volte bisogna combinare bene strategia a tattica, che a volte bisogna abbassare un po' la propria bandiera per arrivare al fine. Ovviamente tutti i ragazzi nomadi sono rimasti. Fra gli insegnanti, a parte che anche fra loro c'è chi è più sensibile e chi meno, il rischio è che si preoccupino esclusivamente dell'aspetto didattico, il che diventa un problema con i bambini nomadi. Se con gli extracomunitari il problema èquello della lingua, con i bambini rom o con i bambini sinti il problema è quello di una cultura che è molto lontana dalla nostra: la loro è una cultura manuale, del senso pratico, quella scritta non fa parte della loro mentalità, quindi già insegnare loro a leggere e a scrivere è impegnativo. E poi le loro esperienze di vita li fanno crescere molto più in fretta degli altri bambini e anche questo crea problemi. Per esempio per l'aspetto sessuale: i ragazzini a 5 o 6 anni sanno già tutto, ho qui dei ragazzini diquinta,chequindihanno I0anni, che sembrano dei pre-adolescenti a tutti gli effetti. Infatti hanno già delle pulsioni sessuali che gli altri avranno magari in terza media mentre loro, a 12, 13 anni, fanno già le fughe per sposarsi, si inseguono per tutta Italia. Nel nostro caso, poi, dove in ogni classe ce n'è più d'uno, anche se può sembrar strano, i problemi si moltiplicano. Una maestra mi ha detto una frase che mi ha colpito: "un bambino nomade è un bambino, due bambini nomadi sono due bambini nomadi". All'interno della classe due bambini nomadi fanno clan e l'integrazione è finita, la

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