

CRONACA
Da Praga a noi
L
'EMOZIONE
è passata. Ci si prepara all'ac–
cettazione del fatto compiuto, con gli
opportuni accomodamenti.
Già il 21 agosto, ma da allora con sempre
maggiore e più fredda evidenza, il colpo di
forza sovietico contro la Cecoslovacchia ha
sollevato interrogativi paurosi per l'avveni–
re dei Paesi d'Europa e dei singoli loro abi–
tanti. I romeni, gli jugoslavi, i finlandesi pos–
sono da un giorno all'altro trovarsi di fronte
ai carri armati e ai missili della patria del
proletariato. La Germania federale ha la
scelta tra una politica di cauteloso timore e
quella di un accordo con il Cremlino, che
potrebbe esserle molto più utile. Il resto del–
l'Europa è più incapace che mai di agire con
coerenza, diviso com'è dallo scisma gollista
e
più
ancora dalla confusione politica interna
di ciascun Paese, che è
al
colmo. Rimane
l'Inghilterra, che è una piccola isola, e ri–
mangono
i
Paesi scandinavi.
Quello che era logicamente evidente dopo
Yalta e dopo Potsdam è diventato un fatto
visibile: la potenza sovietica domina l'Europa
continentale sotto forma di eserciti accampati.
«
Dobbiamo fare una politica che sia acces–
sibile a ogni massaia
»
aveva detto Lenin.
Eccola qui, tale politica, molto più accessibile
del materialismo dialettico.
Inutile discutere i motivi addotti da Mosca
per giustificare la sua azione. I dirigenti ce–
coslovacchi sono andati
di
concessione in
concessione, fino alla capitolazione , e a ogni
concessione diventava più chiaro che gli sco–
pi dei sovietici erano due e solo due, ugual–
mente brutali: l'insediamento militare ai con–
fini della Germania e la soppressione della
libertà di pensiero e di parola in quella pro–
vincia avanzata dell'impero moscovita che
è
per loro la Cecoslovacchia.
Dovrebbe anche esser chiaro (ma non lo
è)
che gli interventi e le proteste dei vari
partiti comurust1, e
in
particolare di quello
italiano e di quello francese, non hanno
avuto
il
minimo effetto a Mosca. D'altra
parte, dovrebbe anche esser chiaro che detti
partiti hanno criticato più il modo dell'in–
tervento sovietico che
il
fatto esso stesso.
Nessun dirigente comunista occidentale, in•
fatti, ha osato dire quello che, secondo lo
stesso loro atteggiamento apparente, sarebbe
stato dove.roso e decoroso dire, e cioè che se
i
rapporti tra
«
partiti fratelli
»
hanno da es•
sere quelli esemplificati a Praga, allora non
c'è che da romperli.
MA
È
STATO
sempre cosl. La famosa lettera
di Gramsci sulle responsabilità del partito–
guida, intercettata a suo tempo da Togliatti,
rimase e rimane tuttora senza effetto alcuno.
Non c'è nulla di nuovo, nei rapporti tra i
partiti comunisti europei e Mosca: la conti•
nuità è organica. Essa non si spiega né con
l'ideologia né con i supposti interessi della
classe operaia (alla quale
Rinascita
ha cre–
duto bene di rammentare
«
il
potenziale mi.
lirare dell'Unione Sovietica
»).
giacché in tal
caso Mao Tse-tung dovrebbe in fin dei conti
apparire più vicino di Breznev.
La soggezione dei partiti comunisti a Mo·
sca non è neppure il fatto esclusivo dei capi:
la base, ormai condizionata dalla fede cieca,
li
segue nella soggezione, ma si stacca da
loro quando essi accennano moti d'indipen–
denza, come nel caso della Cecoslovacchia.
Giacché, evidentemente, tali moti non hanno
sulla massa altro effetto che di confondere
le idee semplicistiche che le sono state incul–
cate, costringendole a distinzioni diventate
ormai troppo sottili: è più facile dire che a
Praga stavano per prendere il potere i con–
trorivoluzionari che spiegare quale politica
discenda dalle
«
deplorazioni
»
di Longo e di
Waldeck-Rochet.