Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 11 - 15 dicembre 1898

1. RIVISTPAOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZ:ESOCIALI Direttore: Dr. NAPOLEONE COLAJANNI Esce in Roma il 15 e il 30 d'ogni mese Il ALIA: anno lire 5 ; semestre lire 3 - ESTERO : anno lire 7; semestre lire 4. Un nu:rnero separato : Oent. ~O AnnoIV. - N. Il. Abbonamentopost.aie Roma 15 Decembre1898. SOMMARIO: Dr. NAPOLEONECOLAJANN:1Ombre vane o realtà? LA R1v1sTA: Ancora dell'accordo franco-italiano. Lo ZOTICO: Candiclati monarchici al domicilio coatto. PIETRO FONTANA: Per l'emancipazione del proletariato intelleuuale. . TOPO DI BIBLIOTECA: Attorno a Spedalieri. (I vituperi d'un secolo) Al Prof. Giova,mi Bovio. Prof. FRANCESCOPERRONE: Sul saggio scandaloso dell' interesse nelle città. La Nuova scuola. SERGIODE PILATO: L'arte moderna e il Conte Tolstoi. P. GUARINO: Eclissi. Il proletariato intellettuale in Italia ('R._evuedes Re,vues). Sperimmtalismo politico-sociale. 'R_ivistadelle Riviste. 'l{_ece11sio11i. OMBRE VANE O REALTÀ? L'amico Ettore S.icchi prima, e la direzione del Secolo dopo, hanno creduto opportuno rilevare un vago accenno fatto da me a certeinfluenze, che incombono sulla vita pubblica italiana e parakzano anche la Camera quando mostra qualche disposizione di battere la buona via; e l' hanno rilevato per smentirmi. La smentita da parte di Sacchi era stata recisa; ma l'ottimo Ernesto Teodoro Moneta, cui sono legato da tanto affettuosa amicizia, ha rincarato la dose scrivendo : « Inguanto alle influenze delle alte e sfere noi le crediamo ombre vane, che prendono e corpo soltanto quando i mandatari della sovrae nita nazionale, la quale è esercitata per mezzo < del potere legislativo, dimenticano i doveri ine- « renti al loro mandato». (Secolo, N. 11720). I miei contradittori si trovano in una posizione privilegiata per combattere contro di me. Essi hanno tutta la libertà di dire ciò che vogliono, ed a me non ne è concessa nemmeno la decima parte: devo ricorrere ad eufemismi, devo dimezzare le frasi, devo strozzare il pensiero, devo, sopratutto, mettere a dormire la storia nel rispondere; altrimenti e' è chi mi fa riacquistare il giudizio. In queste condizioni, la nostra polemica, che non può non essere cortese, rassomiglia parecchio a quei combattimenti medioevali nei quali il contadino a piedi, munito di bastone e col corpo ricoperto da pochi cenci, doveva misurarsi col signore a cavallo, armato di tutto punto e per soprappiù difeso da maglie, corazze, elmo ecc., ecc. Son sicuro che i due egregi amici finirebbero col darmi ragione se potessero ottenermi dalla Regia Procura una specie di salvacondotw, mercè il quale mi si consentisse di scrivere liberamente, magari sottoponendomi allo strappo della lingua o al taglio della mano destra se si dimostrasse che io abbia affermato cosa non conforme rigorosamente alla verità storica. Comunque, mi proverò a rispondere servendomi di tutto ciò che è già stato pubblicato senza dar luogo a sequestri; e ad evitare le male tentazioni al Fisco mi limiterò a pochi elementi di fatto di data assai recente. E comincio col chiedere ad Ernesto Moneta se i depntati nominati da elettori che non arrivano in media al ; 0 / 0 degli abitanti possano considerarsi come i mandatari della sovranità nazionale, mentre i plebisciti, che furono un atto politico ;;.ssai più importante delle elezioni legislative, furono fatti col criterio del suffragio universale esteso anche ai minorenni, come tutti potranno ricordare. Si può rispondere che un ulteriore allargamento del diritto elettorale nelle condizioni attuai i delle nostre masse non segnerebbe un progresso. Posso concederlo, ma sarà sempre bene essersi intesi sul valore, molto relativo, che si deve assegnare alle presenti manifestazioni della sovranitànazionale, che darebbe ba~e morale oltre che giuridica e politica, a mio av11iso, anche ad istituzioni, che credo disadatte all'indole ed alle tradizioni del popolo italiano. Ma queita non è che un' osservazione incidentale. Veniamo· al busillis. Senza essere soverchiamente tenero della Camera dei Deputar: qual'essa è, ho parecchie volte sostenuto ch'essa rappresenta il paese assai meglio di quello che si vuole far credere, o si crede con tutta sincerità. Infatti, dove il paese è sano o meno bacato, sana o meno bacata è la rappresentanza di de,tra o di sinistra. Radicali, repubblicani e socialisti, da qualunque parte essi vengano, non possono servire in Italia per la mi~ura della salute politica delle rispettive regioni. Ma il giudizio sulla Camera diverrà migliore ponendo mente a questa circostanza capitale sulla quale richiamo l'attrnzione degli amici Sacchi e Moneta: essa, quando ha manifestato delle velleità di

202 '1{.IVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI indipendenza e di onestà ha sub\to delle violenze. Non dimentichiamo la storia, per l'amor di Dio, E passi per la i toria remota, e percbè non la si vuole toccare metterò da parte l'osservazione di Crispi sulla ordmaria soluzione delle crisi ministeriali: a sentir lui - e nessuno l'ha irai smentit,, - sopra ventotto crisi soltanto cinque o sei ebbero la corretta soluzione parlamen•are. Non mi sono consentite le indagini sulle ventidue crisi malamente terminate, e del resco spetterebbe ai miei cootradittori indicare quali furono le influenze, cbe conJusse!o al risultaco deplorato dall'on. Crispi. I casi recenti sono più eloquenti. l\'li saprebbero dire gli on. Sacchi e Moneta, quali influenze costrinsero !'on Coloro bo :i dilT'etrersi nell'Aprile 1892? Mi saprebbero dire quali aliri influenze fecero affidare il maod1to all'onorevole Gwlitti rei-o stesso an110 1892, dopo cbe l'on. Di Ru.linl andò a farsi battere alla Camera per non scoprire la Corona? Mi saprebbEro dire per,hè nel Dicembre 1893 fu affidato l'mcarico di formare il ministero all'on. Crispi ? percbè non fu presentata alla Carnera la domanda di autorizzazione a procedere contro i'on. Nicotera, com' è detto nel mio libro Banchee Parlamento, che nessuno mai smenti? Mi saprebbero dirè perchè nd Luglio r 896 fu trandato via !'on. Ricotti e ccn lui, per lodevolissima coerenza po litica, furono costretti a dimettersi gli on. Co1ombo, 5( rmoneta, Carmine e Perazzi? Percbè nel Giugno 189 8 nessun ra ppresentaote della Carnera bassa ve:me chiamato per la soluzione della crisi, e venr ero scartati i due soli uomini indicati dalla situ2zione parlamentare : Zanardelli o Sonnino ? I miei egregi amici non potranno negare che in questi casi si sentirono le influenze innominabili, ma sorridendo risponderanno eh' è stata colpa dei manda1ari della sovranitànazionale se que~te influenzt indebitamente si esercitarono. Se i deputati non fossero stati vili o disonesti, essi avrebbero resistito legalmente, ed avrebbero fatto rientrare le influenze sunnominate nell'orbita dalla quale non avrebbero dovuto mai uscire. Adagio, adagic, miei buoni amici. Anz·tutto, i deputati sono uomini, e degli uomini l anno tutte le debolezze; si lasciano sedurre. C<lrrompere, int.midire - intimidire sopratutto collo spauracchio delle elezioni. Ciò facendo essi, certamente, danno un triste spettacolo e si rendono spregevoli. Ma senza rimontare ai tempi - che ora sembrano preistorici - del proclamadi Monca- /ieri, ieri, prC1prio ieri, da questa Camera dei deputati, ch'è il bersaglio quotidiano di tutti coloro che le loro simpatie riserbano per l' ancien régime ed ostentano un s0vrano disprezzo, anzi nausea, per la corruzione, pd senilismo e per la decadenza parlamentare contemporanea, abbiamo avuto e5empi abbastanza buoni di fierezza e di rettitudine. Nel 1892, io Giugn0, la Camera fa a,cogliem.a ostile al ministero Giolitti. Patatrac! Il Presidente del Consiglio trJtta come tanti valletti i deputati ed annunzia loro e be la discussione èei bilanci si sarebbe fatta in via amministrativa, perchè essi come tanti ragazzacci d;scoli doYevano essere mandati a casa su bit<'. E lo forono; e con quelle buor:e arti, che Sacc bi e Men eta ncn avranno dimrnticate, dalle elezioni di Novembre venne fuori quella Camera dalla quale rimasere esclusi Cavallotti e Imbri:ini; quella Camera che ingo: ò serpenti v:v1, secondo l'espressivo linguaggio dd valoroso rappresentante di" Corato! I serpenti vivi alla frne, anche a tale Camera procuraroro una indige~tione, o per dirla alla buona: quella Camera stanca di sc:n ire e di subire lavolontà di un dittatore, ebbe il suo momento di resipiscenza e di ribellione, e al presentarsi della seconda fase della questionemorale - la prima comprende la questione bancaria - in Dicembre 1894, votò contro l'on. Crispi. Ma con quale risultato? Quella Camera fu mandata a casa in un modo co~l violento e villano - per la semplice difesa del!' onore di un ministro, senza che uemmeno per sai vare le apparenze si potesse accampare a pretesto la ragione di Stato - che un caso analogo non si riscontra in nessuno degli annali parlamentari di Europa! Licenziata la Camera ribelle, che dimostrò l'intenzione rivoluzionaria di dare la soluzione omsta alla questionemorale eh' era stata posta innanzi ad essa, l'o:i. Crispi rimase vero dittacore caro e diletto alle influenze non nominabili; e Crispi fece prima comodamente le liste elettorali, e dopo fece le elezioni; e venne quell'altra Camera che si disinteressò nobilmente dalla questione morale col voto sull'ordine dd giorno Torrìgiani del 25 giugno 1895 a favore di un ministro che sarebbe ancora al potere se Re Menelik - p.-oprio lui - non si fosse incaricaco di mandarlo via. Bastano questi due ultimi esempi per ispostare la responsabilità : coglierla alla Camera, ai mandatari, per darla tutta intera al mandante, al corpo elettorale cbe custodisce la sovranitanuzionale. Infatti, in caso di scioglimento è chiaro che il dovere della resistenza contro le influenze, il dovere di correggerle o di metterle a posto, passa al paese. Ora il paese, l'ho detto e ripetuto qui, alla Camera, nel Serolo, è quello che è; ed è seriamente ammalatC'. Ma nessuno può pretendere che esso guarisca colla cura ddla corruzione, delle minacce, delle violenze di ogni genere e coi salas~i alla BavaBeccaris. Tali rimedi non possono affatto liberarlo dalla lue intellettuale, morale e politica, più perversa e più tenace della lue sifilitica, aggravata dalla anemia, cioè dalla grande miseria economica. Da tali ammalati, con siffatti farmaci, e con medici tanto esperti quanto quelli che conosciamo - coadiuvati sapientemente dalla magistratura servi• zievole più di un famulo di ospedale - si hanno come prodotto ultimo quelle elezioni, che non riescono al controllo parlamentare sano ed dncace, ma che danno complici ai ministri, fal5andosi tutto il regime parlamrntare, rrndendolo mostro deforme ed orrido - talora più ributtante dallo stesso re· gime assoluto, perchè di questo ha tutti i difetti cumulati con quelli della plutocrazia corrotta e prepotente. Alla conclusione. Immaginiamo che la resistenza onest:i e vigorosa contro le influenze indebite venga ~perimentata prima nella Camera e poscia nel paese. Che ne verrebbe? Lasciamo stare le ipotesi campate in aria; ed affidiamoci a que Ila specie di sperimentazione eh' è possibile nella politica e che viene rappresentata dalla storia. Questa insegnò a Ferdinando Lassalle - l'ho detto altra volta e continuerò a ripeterlo - che dovunque e' è un eser-

'R._ITTISTAPOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 203 cito stanziale numeroso e disciplinato le costituzioni scritte valgono quanto le tavolette che per capriccio di un giardiniere vogliono dare ad intendere cbe un albtro di fico sia una pianta di fragola! In questi casi cli paese e cli parlamento sani e vigorosi, che contro a tutte la mali arti dei ministri, che fanno le elezioni, resistono alle influen:::c, si arriva alle catastrofi. E qui faccio punto, perchè per continuare avrei bisogno di quel salvacondotto di cui plrlai in principio. Dagli amici Sacchi e Moneta mi aspetto due parole di risposta nella speranza che essi riescano a convincermi che ho torto. Non chiedo di meglio. Dr. NAPOLEONE COLAJANNI. ILSOCIALISMO diNaDoleone Col~anni (GIUDIZI) Il Prof. Puglia, uno dei più distinti, ma non fanatici. seguaci del Lombroso, consacra un lungo articolo al Socialismo nella Rivista modernadi wl!ttra (Ottobre 1898). Non potendo riprodurlo per intero ne diamo il principio e la fine : " Questa seconda edizione del Socialismo fatta dal nostro illustre sociologo merita uno studio speciale, perchè egli stabilisce in modo chiaro i principi rigorosamente scientifici di un s'stema di organizzlZione sociale che possa rendere meno penosa la vita del maggior numero pcs,ibile di uomini, e che favorisca la evoluzione umana; e combatte tutte quelle esageratioui, e talora aberrazioni dottrinali, che sono spesso un ost2colo potente al trionfo delle idee veramente scientifiche..... Questa seconda ediz:one. inoltre deve essere attentamente studiata, perchè differisce in molti punti dalla prima, non per mutamento di ider, ma, o per essere venuta meno la ragione di insistere su certi argomenti, o per il bisogno di sostenere con maggiore energia certe dottrine, cbe dalla maggior parte dei socialisti non sono state ben pond,rate, o sono state combattute con grande leggertzza. Dovremmo occuparci di altre dottrine importanti dell'A. ma, come abbiamo detto, ci è impossibile. Quel che si è esposto è suffidente per mostrare la importanza del lavoro Finiamo col notare, che il Colajanni è critico imparr.iale e sereno. Ancora dell'accordo franco-italiano Ai primi entusiasmi sollevati dall'accordo commerciale franco-italiano sono succedute le critiche e le disillusioni amare con una rapidità che in parte è dovuta alla migliore conoscenza delle condizioni ed in una maggiore si deve attribuire alle antipatie che suscita in alcuni i' on. Luzzatti ed alla ·francofobia inguaribile in altri. Certamente la più esatta conoscenza della natura degli accordi può ~ttrnuare la buona impressione del primo momento; ma i i <leye essere addirittura dominati dallo spirito partigiano più deplorcrnle quando si sentenzia, come ha fatto la Camera di Commercio di Lecce, che il nuovn accordocommercialefranco-italia110 111:m giova per 1111l/ai vini puglie:;i,sicilianie sardi. A qutsta conclusione si viene perchè si ritiene che i vini delle suddette re-- gioni per l'esportazione abbiano una gradazione alcoolica superiore ai quattordici gradi. c;ò che non è del tutto esatto; come non è serio il contegno di alcuni giornali che da un giorno all'altro fanno scomparir«:: l'importazione di vini strauieri in Francia: importazione che attualmente, cvme afferm.'> nel numero precedente l' on. Colajanni, oscilla intorno agli otto milioni di ettolitri. Che dire, poi, di coloro che deplorano che la Francia faccia un diverso trattament0 ai vini italiani ed ai vini del1' Algeria? Essi dimenticano questa semplicissima panicolarità: che l'Algeria fa parte integrale della Rtpubblica francese. Ciò che noi potevamo pretendere era l' uguaglianza di trattamento colla Spagna; e l' abbiamo ottenuto. Se poi l'aggio maggiore sull'oro, da cui è deliziata la penisola iberica, agisca come un premio di esportazione e perciò costituisca un van - raggio per la nostra concorrente, nè l'ftalia nè h Francia possono fare in guisa che tale triste supr.:mazia venga eliminata; e se si potesse eliminare, i primi a mostrarsene grati sarebbero gli Spagnoli. E bene notare, altresì, c.hc il Mezzogiorno e k isole non esportavano in Francia del vino soltantc,. Dal nuovo accordo quello che ricaverà un pro· fitto più notevole, sotto tutti i punti di vista, sarà il Setrentrione della penisola per ragioni geografiche e di ordine economico ed intellettuale. Noi cc ne rallegriamo vivamente, e siamo sicuri che questo indurrà i settentrionali a sp'egare un 1mggiore interessamento in favore del Mezzogiorno e llelle isole travJgliati da una crisi lunga, grave e complessJ. Ed a proposito di quc,to profitto più sensibile che ne ricaverà il Settentrione, non è male avvertire che una maggiore esportazione di vini al disotto di 14 gradi che avvenisse dal Piemonte e dalle altre regioni si ripercuoterebbe beneficamente sulla Puglia e sul 'a Sicilia, i cui eccellenti vini alcoolici servono già da alcuni Jnni a fabbricare dell'ottimo Chiami ed altri vini accreditati dell'alt.l Iv.lia. In quanto aìle concessioni che il nostro governo ha fatto alla Repubblica francese e che mettano di ..:attivo umore i sostenitori della Triplice, si dovrebbe ri,orJare anzitutto che essi ledono ben poco le nostre irdustrie, e nuocciono soltanto, o princi• palmente, alle industrie della Germania e cicli' Inghilterr~. che dopo il 1887 presero il posto delh1 importazione francese. Gli italiani mentre nulla vi perderanno come produttori, vi guadagneranno molto come consumatori. L'insieme di queste ragioni e quelle d'indole finanziaria e politica che si traducono sempre in fattori economici di maggiore prosperità pel nostro paese - indussero l'on. Pantano a dichiararsi ~oddisfatto dell' accordo franco-italiano nella intervisti col redattore dd Secolo. (Numero del 6 decembre). E citiamo l'opinione dell' on. rappresentante pe1 Terni, non gia perchè egli sia un nostro correligionar:o politiw, ma perchè nell:i Camera e fuori gli viene riconosciuta una eccezionale competenz.: nelle quistioai doganali. Fu lui, in una all'on. Diligenti, che in Parlamento per parecchi anni lev<'> la YOce eloquente per stigmatizzare la cecità, pe1 non dire la malignità, degli autori c!elle tariffe do-

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI ganali del r887 e della rottura delle relazioni commerciali colla Francia; e fu lui che, svolgendo la mozione dell'Estrema sinistra - la cui opera si dimentica con tanta leggerezza e con vera ingratitudine - in dicembre r 890 determinò la denunzia dd trattato coli' Austria- Ungheria, che condusse alla conclusione del nuovo, riuscito tanto proficuo ai vini della Puglia e della Sicilia. Nel nuovo accordo d'altronde oltre gl'innegabili reciproci val'taggi, che sin da ora si scorgono, si deve tener conto dell'tffetto morale che avra sui due paesi, e eh' è stato lumeggiato saviamente nella relazione che il governo francese ha unito all'accordo presentando!o al Parlamento. Ivi è detto, ed assai bene : . « li carattere del cambiamen~o economico che possiamo aspettarci consisterà unicamente nella sostituzione più o meno larga delle merci italiane ai prodotti che fino ad ora la Francia domanda a terzi paesi. Al postutto, la. concessione doganale che abbiamo fatto all'Italia costituisce da parte della Francia un atto puramente unilaterale: per conseguenza rinunciando noi stfssi ai vantaggi e he ci ha procurato a titolo di reciprocità, potremo ad ogni momento ritornare su questa misura, se, contrariamente a ciò che ci piace credere, considerazioni qualsiansi ce lo comandassero..... Lo stato di rottura economica più o meno completa che fino a questo ultimo tempo ha esistito tra i due paesi, aveva a poco a poco condotto il commerciante francese e il commerciante italiano a considerare come inutili, e quasi necessariamente sterili, gli sforzi che avessero fatto per lo sviluppo delle loro trans:izioni sui loro mercati rispettivi. Si abbandonava sempre più nei due paesi, anche quando le condiidoni di tariffe e altre avrebbero dato probabilità di successo a un impresa commerciale, il pensiero di andare a tentarla dall'Italia in Francia o dalla Francia in Ital:a. E per questo che i fabbricanti francesi hanno lasciato il posto libero, sui mercati della penisola, ai concorrenti di varie altre nazionalità per la vendita di numerosi articoli che essi pure avrebbero potuto tuttavia importare in Italia. L'effetto morale prodotto dall'accordo non può che dissipare questo malinteso commerciale, stimolare il reciproco desiderio di annodare relazioni d'affari, e contribuire così alla rinascenza di tridizioni per sì lungo tempo in vigore tra i due paesi ». E nel conchiudere ci piace constatare che le considerazioni di ordine finanziario fatte dall'on. CoLij,mni trovarono conferma piena ed intera nell'articolo che l' on. Maggiorino Ferraris pubblicò sull'accordo nell'ultimo numero della W.,uovaAntologia, e che vengono ribadite da corrispondenze da Parigi alla stessa rivista, alla Stampa di Torino ed a parecchi altri giornali italiani. Per noi, infine, che siamo stati sempre avYersari della Triplice alleanza, l'accordo ha un significato politico, eh' è stato sottolineato - con grande nostra soddisfazione - dal malumore e dalla scortt:5ia verso il Re d'Italia cbe traspare da tutto il discorso dell'Imperatore di Germania in occasione dell'apertura del Reichstag. li fatto venne rilevato dal 'Berlinertageblatl. dalla NerddeutscherAllgemdne Zeitung, delta Neue FreiePresse. La stampa monarchica italiana non se ne dà per intesa : essa ha la consegna dì russare. LA RIVISTA. n,-. NAPOLEONE COLAJANNJ IIouveinents sociaux en Italie Paris, 1898. Lire UNA Ca~àiàmaoti~arc~ici alàomicioliaotto Non ne parliamo per de1;unziarli alle nostre sapienti autorità politiche; ma per constatare un fatto ed una tendenza, che danno la misura delle condizioni attuali del nostro paese. A Milano, dove si svolge più intensa e più sana la vita pubblica, accanto ai numerosissimi socialisti, repubblicani e cleri cali vivono, agiscono o meglio imperano i monarchici ; e sono monarchici moderati. Giustizia vuole che si dica che non lo sono tutti ad un modo. C' è un gruppo di giovani che fa capo ali' Idea liberale, diretta con molta intelligenza e con molto coraggio Jal Borelli, che coltiva la fisima di conciliare la monarchia colla libertà e colla legge. Ammirano Cavour ; ma non lo invocano per farlo servire di bugiarda insegna, che deve coprire una merce putrefatta, se non di contrabbando. Non è di contrabbando perchè è smerciata quotidianamente alla luce del giorno; anzi con s ngolare sfacciataggine dalla stampa forcaiola viene lodata, e consumata, per cosi dire, dagli uomini che stanno al governo. Questi giovani dell'Idea liberale, per bocca del Barelli nella lettera all'on. Colajanni - che i nostri lettori conoscono - pronunziarono bestemmie inaudite e tali che, se fossero venute da uomini di altro partito, avrebbero dato occasione ad un processo con relativa. condanna. Ora il Borelli è tornato alla carica con una lettera aperta - è un po' la sua specialità - ai suoi Giovani amici di Mantova. In essa campeggia una avversione insuperabile per tutto ciò che sa dì socialismo ; ma ne traspira del pari un intenso amore per la libertà e per la realtà. In nome dì quest'ultima, pur deplorando che i socialisti l'abbiano mala111~nte adoperata, riconosce che esiste la lotta di classe, e la chiama cc unica conquista succ perbamente geniale, intuizione veramente gran- « diosa ed originale della mente di Carlo Marx » • In questa lotta di classe egli vorrebbe che il suo panico assumesse l'ufficio di salvare, fra le macerie e i bagliori d'incendio sotterraneo, la direttrice fu. tura alla evoluzione sperimentale del diritto e degli istituti che lo rappresenteranno. Insomma que~ti giovani monarchici senza ubbidire ad alcun apriorismo, senza riconoscere sacre colonne di Ercole, dovrebbero, in politica, seguire un indirizzo verament.: sperimentale ed essere liberisti in economia e liberali in politica, ad uso Pareto, ad uso Pantaleoni. Questi giovani monarchici sono degli utopisti perchè non si accorgono delle condizioni reali della nostra vita pubblica, non fiutano nell'aria, e non si accorgono che quei due valentuomini, per potersi mantenere sinceramente liberisti liberali, hanno dovuto esulare in Isvizzera ... Sono utopisti non pericolosi agli altri, ma che creano pericoli a loro stessi, perchè già hanno suscitato il risentimento dei forcaioli, cioè della grande massa dei monarchici italiani tanto, e che è a nostra conoscenza che si discute seriamente di proporli pel domicilio coatto. Essi, scrisse il nostro Ciccotti, attualmente sono considerati repubblicani tra i monarchici mentre rimangono abbastanza monarchici

'l{.IVIST A POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI pei primi. Il domicilio coatto, le meditazioni forzate di Tremiti, di Lipari o di Assab, riuscirebbero ad una selezione: gli uni, secondo le proprie tendenze, tornerebbero in grembo al partito monarchico forcaiolo ; gli altri diverrebbero schiettamente repubblicani. Non è un augurio che facciamo: tutt'altro; è una malinconica previsione. Noi prevediamo che essi ci ricorderanno la esistenza e lo svolgimento rigoglio;o di un liberismo liberale in Ioghilterra; ma la evoluzione della cosidetta monarchia popolare in Italia non rassomigli~ a quella i_ng_lese: Con ragione Vilfredo Pareto scriveva pochi gtorm or sono che a Riccardo Cobden in Italia anzichè l'apoteosi sarebbe toccata in sorte la galera. Lo ZoT1co. ~/'-..~~ Nell'articolo, Per l'amnistia, pubblicato nel N. 10 della Rivista avevamo attribuito alle premure dell'on. Palumbo, ministro ddb marina, la nomina a senatore del Comm. D'Errico. Persona amica degnissima di fiducia, ed in grado di poterlo sap~re con precisione, ci assicura invece che tale nomma fu tutta fatica speciale di un militare che occupa un alto grado nell'eserci10, di cui non ci volle dire il nome, ma che facilmente riconoscono coloro che freq ueo tan o M,Jnteci tori(,. Abbiamo creduto nos·ro dovere fare questa rettifica senza esserci invitati da chicchessia. LA RIVISTA. Perl'emancipazione ùelproletariato intellettuale Da sei mesi quella parte della classe colta d'Italia, che dipende in qualche modo da la classe dirigente, offre il più triste spettacolo che si possa vedere: senza interruzione coutinuano le proscrizioni a danno di essa: professori d'università e di scuole secondarie, maestri e mae~tre, impiegati governativi e comunali, giudici e medici condom vengono illegalmente ammoniti, puniti, sospesi, cacciati per opinioni politiche eterodosse; e intanto non una protesta collettiva delle migliaia e migliaia di colleghi dei colpiti, non un grido di sdegno; salvo qualche eccezione, essi si contentono di mormorare ed imprecare tra di loro in un segreto prudente o ancor più prudentemente professano di non occuparsi di politica o magari danno anche ragione al governo: non mai, credo, si vide una simile prostituzione della parte intelligente di un popolo ai padroni che col denaro del popolo le gettano un tozzo di pane. Ma lo spettacolo da triste diventa disperante quando si pensi insieme al gran problema della salvezza e dell'avvenire d'Italia: d'onde può essa venire? Sperarla e attenderla, come molti fanno, da le classi dirigenti e contentarsi perciò di incitar queste a mutare radicalmente via è o da ingenui privi di senso storico o da gente prudente ché vuole conciliare !a propria tranquillità col dovere di coscienza d'opporsi in qualche modo a l'attuale sgoverno. Le classi dirigenti non possono agire diversamente, date le attuali condizioni, da quel che fanno ed esse agiscono come hanno fatto, fanno e fara :mo tutte le classi dirigenti di tutti i luoghi e di tutti i tempi, quando il popolo dorme, sotto il doppio anestetico della miseria cronica e dell'incoscienza politica, il sonno pr1cfondo che dorme il popolo d'Italia. Nè si dica che l'Italia s' è desta e che si tratta appunto di renderne persuase le classi dirigenti, perchè anche nel loro interesse si convincano che è ora di mutar rotta ; no: se la plebe dormente, di tratto in tratto, quando la fame che la rode si fa insostenibile, sorge e, chiedendo l'elemosina di un tozzo di pane. incendia, saccheggia, distrugge, questo non è segno di risveglio, ma proprio del suo contrario: il governo che lo sente si contenta di affrettarsi a far insieme l'elemosina e la repressione e non pensa a far di più ben sapendo che la belva, passato il momento di furore, si riaddormenterà più profondamente di prima, e pensando che, finchè il popolo resta com' é oggi, c' è sempre tempo a far getto dei propri privilegi. Pensa bene? pensa male? Poco i~- porta: la classe dirigente non può pensare ed agire diversamente. Il risveglio adunque del popolo italiano : ecco ciò solo che può richiamare al dovere le classi dirigenti (chi altri ha richiamato al loro le tanto lodate classi inglesi simili a le nostre d'oggidi prima del 1830 e del Cartismo ?), ecco ciò solo che può salvare l'Italia. Ma chi può esser il dormitantium ani~orum _excubi!or ? E certo che lo sviluppo tecmco e mdusmale è stzto il fattore principale di risveglio popolare presso le nazioni più proo-redite : ora si può anche per l'Italia sperare in questg risvegliatore automatico? In recenti articoli e discorsi il Colombo facea rosei sogni su l'avvenire industriale del nostro paese : ma date le condizioni politiche, morali e finanziare in cui ci troviamo e la formidabile concorrenza del mercato mondiale, uno spontanrn sviluppo industriale in larga scala appare quasi impossibile : e lo stesso è a dirsi per le stesse ragioni di quel risorgimento agricolo, in cui altri pia che nell'industriale crede poter sperare. L'uno e l'altro non po3sono essere cause, ma piuttosto effetti d'un risv1:glio della piccola borghesia e della classe lavoratrice, che costringano classi dirigenti e governo, cause prime dell'odierna depressione, a un indirizzo economico non paras~itario e sfruttatore com' è il presente. Ma, ancora una volta, donde adunque può venire il canto del gallo silvestre a destare la nazione? Questa sembra chiusa in un cerchio magico senza uscita, e veramente, se l'assoluto materialismo storico che qualcuno sostiene fosse vero, essa sarebbe condannata per sempre a l'attuale ignominia. Per nostra fortuna c'è ragione di sperare che, come già una volta essa si è sottratta a le ferree leggi del determinismo economico, così possa lare un'altra volta. La rivoluzione che ha condotto a l'unità d'Italia è stata, si sa, una rivoluzione a base non prevalentemente economica, ma sopratutto politica e morale, imposta più che da necessità economica dal mirabile apostolato d'una aristocrazia intellettuale: perchè non si potn bbe ripetere il miracolo? ora che è tanto cresciuta di numero perchè non potrebbe la classe intelligente essere per la seconda volta la dormitantium animorum txcubitrix, e quindi la salvatrice d'Italia? - Se non che la speranza è apptoa apparsa sul cielo del pensiero che che già sembra dileguare. Dov' è questa intelligenza italiana che resta unica àncora d: salvezza a l'Itali:t? In tanta miqeria di vita intellettuale, industriale ~ commerciale, essa è quasi tutta costretta ad accorrere a la greppia che, sotto forma d'impieghi civili, magistratura, insegnamento, condotte mediche, consulenze di istituti pubblici e altre infinite, k offre il governo e la classe dirigente. ed è per aver un posticino, una corsa, una lotta feroce. Se non che essi trovano la dinanzi il padrone, che, novello Giacobbe. con un piatto di lenticchie in mano offre ai poveri Esaù di scambiarlo con la cessione del loro diritto di avere opinioni diverse da quelle del padrone, e manifestarle e difenderle e propagarle. - Come rispondano i poveri Esaù si e già visto : vendono la loro primogenitu!a per un piatto di lenticchie e qualcuno pro bono pacis giunge perfino a persuadersi che il padrone che paga non ha poi torto a pretendere la gran rinunzia : cosi l'infinita maggioranza di quella classe colta che dovrebbe risvegliare il popolo d'Italia si trova per un complesso di circostanze in una

206 '1{.lVIST A POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI condizione peggiore di quella del popolo : poiche la massa di questo e tenuta ancora dal!' incoscienza, la maggior parte di quella, diciamo pure la parola, da l:i vilta. Ed ecco come lo spettacolo ch'essa ci dà di triste diventa disperante : la salvezza d'Italia non può venire cht! dal risveglio del popolo, e questo non può essere iniziato che da un lar 5 o ed efficace apostolato della classe colta emulante la gloria dei padri ; e invece ... Restano, è vero, i pochi indipendenti, i quali anche sono destinati ad accrescersi di tutti quelli che la spugna burocratica o non può piu assorbire o respinge: ma, in un paese come il nostro in cui direttamente o indirettamente la classe dirigente accentra in se o lega ai proprii tutti gli interessi, chi può credere che il numero di intelligenti indipendenti possa diventar sufficiente a tale impresa, per la quale non sarebbe troppa tutta intera la classe? Così il problema primo da cui dipende l'avvenire di Italia e questo : e possibile, e come?, la redenzione della sua classe colta e intelligente da la prostituzione, a cui s'è abbandonata verso le classi dirigenti ? A crederlo impossibile si rifiuta la mente e sopratutto il cuore: per quanto sia terribile la pressione del bisogno economico, non può darsi che la parte eletta, il cervello di un popolo rt!sista a luogo a la tirannia imposta al suo pensiero e a la sua coscienza: l'acquiescenza attuale deriva forse in gran parte anche di l'incertezza d'idee e d'ideali naturale in questo momento di transizione tra due periodi storici : quanto più le nuove idee e i nuovi ideali di og:1i tinta clericali, conservatori, radlcali o socialisti andranno penetrando le menti e le anime, tanto più andrà crescendo l'intima ripugnanza e ribellione a metodi di governo che sono la negazione di essi tutti e di ogni principio civile. - È certo però che, finchè non si troverà mezzo, se non di togliere la spada di Damocle che il governo tiene sospesa sul capo dei dissidenti, almeno di renderne meno fragile il filo e meno facile la caduta, fioche non si troverà mezzo di rendere il far valere i proprii diritti d'uomo e di cittadino un atto affatto naturale invece che eroico qual' e oaai che costa la perdita del pane senza speranza di a~;rlo altronde, e certo, dico, che non potremo avere quel risveglio che è nei voti: il perno della questione è dunque se esista questo mezzo. Esso esiste. La causa prima della schiavitù morale cl;e arava su i lavoratori intellettuali è l'isolamento, in cui ~gn uno di essi si trova e che li offre facile preda ai dominanti : anche quì come moralmente essi si trovano in una evidente condizione d' inferiorità rispetto a la massa lavoratrice, si trovano nelle condizioni in cui qnesta era molti anni fa. Non c' e bisogno di dimostrare tutte le conseguenze di questo isolamento che sono le stesse per gli uni e per gli altri e non c' è bisogno neppure di mostrare come l'unione, l'associazione possa ovviare ad esse: l'esempio delle classi lavoratrici di tutta Europa liberantisi progressivamente da la servitu verso i padroni per virtu dell'associazione è troppo parlante. I lavoratori intellettuali non hanno che ad imitarlo : grandi associazioni professionali volte, non come le poche ora esistenti, solo a cura e incremento degli interessi materiali, ma sopratutto a difendere gli interessi morali, a protestare e promuovere agitazioni ledei loro megali contro i soprusi e le ingiustizie a danno mbri, a sostenere finanziariamente i colpiti in giudizio contro l'autorità violatrice delle leggi, ad aiutare con sovvenzioni e nella ricerca di nuovo impiego quelli che in odio a le loro opinioni sono stati cacciati; questa soltanto può esser la prim_a _radice d,i que_lla redenzione della classe colta, da cm dipende 1 avvemre d'Italia ; il governo e le classi dirigenti che tutto osano contro l'individuo isolato che cosa potranno contro grandi e forti associazioni? - Naturalmente queste nulla avrebbero di partigiano e tutti gli onesti di tutti i partiti potrebbero e dovrebbero entrarvi, anche perché in halia ornai non basta essere conservatori per essere al sicuro da ogni persecuzione al proprio pensiero e a la propria coscienza, infermi il caso Pantaleoni, ma soprallltto rerchc a tmti gli onesti, a qualunque partito appartengano, deve stare a cuore che cessi questa ignominia della persecuzione d1 chi non la pensa come il governo , uole da una parte e dell'acquiescenza della classe colta e colpita da l'altra che disonorano l'Italia al cospetto del mondo civile. Sorgeranno spontaneamente queste associazioni sotto la pressione delle circostanze e dell'ambiente? Sorgerà qualcuno dotato di autorità e d'energia che se ne faccia iniziatore e apostolo ripetendo al proletariato intellettuale d'Italia il motto del Marx? Noi affrettiamo col desiderio le prime e invochiamo questo in nome dell'onore, della salvezza, dell'avvenire d'ltalia. PIETRO FONTANA. ~ ATTORNO A SPEDALIERI I VITUPERI D'UN SECOLO Al Prof. Giovanni 'Bovio Qu~sto libro parla molto bene; ma, disgraziatamente per gli uomini tutti, o non s' intende affatto o s'intende molto male. G. LEOPARDI, Postille wedite a' " 'Diritti dell'uomo,, di Spe:lalieri. Com' è noto, il Comitato pel monumento nazionale a Nicola Spedalieri in Roma - monumento, che sarà presto inaugurato - ha bandito, fra gli studenti universitari italiani, un concorso sul segurnte argomento: Valutare i progressi fatti con Nicola Speda/ieri dal diritto naturale; determinare la SIia specifica ir,fluenz..anel trionfo della dollriua. della sovrar.ita popolare e dire in qual senso egli ne sarebbe stato il 111arlire. Augurandoci che siano molti e valorosi quelli, che piglieranno parte alla nobile gara, noi, lungi dallo entrare nell'alto argomento, ci limitiamo ad ammanire alcuni materiali grtzzi, che sono, più che utili, indispensabili alla formazione del giudizio sulla profondo cd originale azione storica esercitata da questo santo padre della moderna democrazia nel gran secolo della rivoluzione. Dagli accenni rapidissimi, che faremo, si vedrà che, pur dopo un secolo, non cessa la persecuzione reazionaria contro colui che diede qui, in Roma, il colpo di grazia al diritto divino e che giustificò, come volute insieme dalla Ragione e dal Vangelo le innovatrici dot· trine rivoluzionane. I. Non riuscì facile al filosofo pubblicare la sua Opera De' Diritti dell'Uomo benche Pio VI, forse più per spirito di opportunismo che per amore verso la libertà, fosse deferente verso le nuove idee. li dietroscena di tale pubblicazione risulta da una lettera in data 14 lVIarzo 1792, con la quale l'ambasciatore sardo in Roma, Cav. Damiano Priocca, scriveva alla sua Corte : « L'autore sottopose il suo manoscritto alla solita revi,ione del padre maestro del sacro palazzo, Mamachi; ma, non avendo questi voluto approvarlo, egli ebbe mezzo di ottenere da Sua Santità che gli fosse destinato altro revisore in persona di certo abate Bolgeni ex gesuita, persona di cui sua santita ha gran concetto, e questi approvò il libro, il quale peròfu stampato a Romrz colta fa/sa data di Assisi e senza le approvazioni solite ad inserirsi ne' primi fogli dei libri, ma apposte solamente nel frontespizio le parole: Con licenza dei rnperiori ». Nella citata lettera, così vengono rias,unte le prime disastrose impressioni suscitate dalla grande Opera: << Questo libro1 intitolato IJe' Diritti dell'Uomo, ha fatto

'RJVISTA POPOLARE 'Dl POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCJALJ 207 un gran romore e non può a meno di non produrre, qui e fors'anco altrove, non indifferenti conseguenze. Pubblicatosi il libro fu generalmente disapprovato, e disapprovato da chi per pubblici, da chi per privati motivi. Comunque sia di questi ultimi e specialmente de' religiosi dell'ordine domenicano, i quali dicono essersi stranamente sfiuurata in quest'opera la sa'1a dottrina di San Tommaso s~lla potestà de' prin.:ipi, il Ministro di Spagna ha mandato il libro alla sua Corte, dandone un'idea alla a provocare qualcbeforte risoluzione di quel Ga1:erno; cosi pure il Ministro di Portogallo ne ha avvertita la sua Corte e mrnda ora il libro perchè si faccia colà esaminare. lo, dunque, crederei di mancare al mio dovere se non ne trasmettessi una copia "· La risposta che fèce in proposito il Conte Perret d'Hauteville, Ministro degli Esteri della Corte sabauda, all'ambasciatore in Roma forma il quadro più vivo delle diffidenze e delle ostilità che provocò, in tutti gli Stati italiani, l'Opera di Spedalieri. Eccola: . « Questo libro comparso al rubbhco nelle presenti circostanze e coll'~pprovnione di Roma, anzi con le sue stampe e col manto della religione, n~>n ~a potuto che riescire di somma sorpresa ed amm1raz10nt, u.on tanto per il i!ran ma1e cbe tale produzione p1,o f a1·e per sè stessa all'l talia, quanto per l'uso malig110_wi ben saprà Jarla valere, come a suo trio11fo, la Francia mede~m,a. Pensandosi, però, su questo o_ggttto, ad un_ convement~ provvedimento, inteso anche rn proposno 11 parere d1 questo nostro qardinale .Arcivesco~o, il quale fu dei pri~i. a_ vedere 1_!dcno libro e a nlcv~rue le molle fer11iuos1ss111m1aesll111e, s1 è creduto che, mvece dt darsi a tal libro pubblici segni di riprovazione, atti ben sovente piuttosto ad invitare l'altrui curiosità e ad eccitar~ dispute che ad impedirne la perzcol,,sa lettura,_ il n11gltor partilo fosse di 1101f1arne rnmo1·e,vegliaudosi solo !'. non lasciarne introdurre nello Sia/o alettna copia e a nitrare nella miglior maniera quelle che già polessero essersi introdolle » (I). . . . . . , Abb'amo altre t?st1mo01anze della pro1b1z1one dell opera di Spedalieri. Un Biagio Albino, che ne portò nascostamente un gran numero di copie in Sicilia donde ne spedi a Genova per diffonderle ndl'ltalia superiore, scrh-e da Palermo, in data del 3 maggio 1792, a Spedalieri: « In quanto alle opere sue I~ _dic? che i _Dirittj de~- /' 1101110 sono ri"orosamente pro1b1tt m Napoli ed 10 Sicilia ed io ho "'passato per ig11emet aquam per avere il padrone ddla Felluca (grossa barca) manifestate due balle di libri. Volevano obbligarmi alla revi;ione. Ma io, essendomi maneggiato collo stesso revisore a cui bisognai regalarne una, ott~nni c~e si fossero quei libri t'amazzati a Genova su d1 un pmco trapanese )). Negli ..Avvisi di Genova del 17 Marzo 1792, poi, leggesi: . . . . . « Scrivono da Roma esser gmnta cola not1z1a che sia stato proibito in vari Regni il libro De' Dirilti del'Uomo, lib. VI dello Spedalieri, dove, fra le altre cose, si va portando in trionfo il Contralto Sociale. S. M. 11 re di Napoli ha fatto ingiungere a tutti i vescovi di non permetterne l'introduzione in quel Regno. Se ne arreca per ragione che è questo un libro incendiario .... ». Quanto a Roma, abbiamo notizie minute de' primi momenti dell'apparizione de' Dirilti del 'Uomo in un libro pubbli:ato nel 1792 e intitolato Rairuaglio del uiudizio for111a/odell'opera "_De' Dirilli dell'Uo'.no_,,e delleprime quatiro impu~na;:._10111 delta medesima. Iv1 s1 legge: « Appena "furono affissi alle cantonate di questa metropoli del mondo cattolico i fromespizi dell'opera De' 'Diritti del 'Uomo, vidi affollars;, alla stamptria, in cui se ne spacciavano le copie, un grandissimo numero di per;o □e, bramose di pro:acciarsec:ne un esemplare, con- (1) Questi irnponanti documenti furono pubblicati, s·u dal 1882, dall'illustre storico piemontese Domenico Pern ro nella Gazzetta letteraria di Torino. corrèndo e la fama dell'autore e l'argomento dell'opera e le circostanz ! del tempo ad eccitare in tutti l'avidità di le<1gerla. Nè meno frequenti furono le commissioni di prov~edcrla venute da divtrse parti come ad altri negozianti di libri, così a me ». I I. Racconta Terenzio Mamiani che Pio VI, accogliendo dalle mani d<l filosofo il grande Opera sostenitrke del contratto sociale e della sovranità popolare ed alluJendo al recente attacco del Febbronio contro l'Autorità pontificia, gli dicesse : - « Mentre si sbracciano e sottilizzano tanto per sapere con ,rigore quid est Papa, giova ora che sappiano nettamente quid est populus I » (I). Se non che quello che, ne' Dirilli dell'Uomo, parve al Papa degno di lode, parve a' papisti degno di anatema; e da qui una tempesta mai vista e mai udita s;atenatasi addosso al povero e grande filosofo dell'umanità. Non c' è, nt Ila nostra storia letteraria, che Machiavelli il quale sia stato tanto combattuto; ma v' ha. però, questa diffc r<!nza:che, cioe, l'autore del Principe . f ~ ed è giu,tamente combattuto, per le sue dottrine 1111que e l'autore dell' Arie di '!0Veruare e de' Dirilli del/'Uvmo fu ed è combattuto ing~ustamente rer le sue dottrine di altissima giustizia umanJ. Apre il fuoco contro Spedalieri ua Antonio Bianchi. che si compilce di darsi del tenente, con una Lei/era dall'Adi-ialico sopra l'Opera « 'De' Diritti dell'Uomo (Rom 1, 1792 ). Il nostro tenente, serven<losi d'un linguaggio tecnicc-militare, cosi rfassume il suo giudizio: « Q•1esto, ben inteso, dico, che il sistema adottato da Spedalieri su i diritti originari dell'uomo contiene molte cose false ed insussistenti; che anzi si appoggia interamente su falsi wpposti; che è un castello di vetro co' la vorioi di filagrana, vistoso ed a bei colori, ma privo di solidità, che, con poche cannonate va in rovina. Cominciamo a disporre le nostre macchine, ed i nostri approcci "· Alla larga ! Scende secondo in campo il P. M. Giuseppe Tamagna con Due Lei/ere sopra l'Opera " 'De' Diritti dell'Uomo ,,. Nell'avvenenza del grosso volume dice A cbi legge: « L'opera del signor Abate Spedalieri, riconosciuta da tutti i savi critici spassionati per bella ragionata e profonda nel suo intero; J'Ure, rapp0rto all'origine della sovranità ed alla di lei consistenza, non ha avuto la stessa sorte. Si è da' più riconosciuta non vera ». Viene terzo un ardito quanto anonimo Sacerdote 1·0mano; 11 quale, intorno alla mal digerita dottrina sulla wvranità popolare, si permette il lusso di confutare Spe• dalieii con lo stesso Spedalieri. Intitola, infatti, la sua diatriba: La do/Irina del signor Abate Speda/ieri sulla sovranità co11f11taldaa per se stessa (Roma, 1792 ). Si aggiunse subito a costorc, nell'aggre,siom: contro l'autort: de' Dirilli dell'Uomo, l'Abate Luigi Cuccagni; il quale, senza nominarlo, combatte la dottrina di Spedalit:ri nel Supplemento al giornale ecclesiastico. (MarzoAprile e Maggio-Giugno 1792) in una dissertazione intitolata: Della libertà delle cbiese parlicolari ecc i11rispos/a aoli apo!ooisti dell'asse111ble1a1a:Jo11adlei Francia. A un° certo piato vien fuori una Difesa de' " Diritti dell'Uomo,, (1193) specialmente in risposta alla L•llera dall'Adriaticu dd Bi:10chi. Difesa ben singolare e ben strana, però, che, nella questione più d,cisiva - quella htorno alla sovranità - si tramuta in offcs'.l più crudele perché sembra più disinteressata e più sincera! Infatti, 1',gnoto au1ore, interno alla fatale dottrina, no? solo abbandona il filosofo al vilipendio de' suoi nemici, ma si muta anche lui in nemico più terribile perché lo assalisce dopo averlo blandito. Ed ecco perché il tenrnte ( 1) MAMIAN1, Lo Spedalirri, Dialogo ripubblicato a curn di Giuseppe Cirnb.ili, Roma, F.lli 13.JccaEditori, 18çq. - Vedi anche li papato negli ultimi tre secoli, Mil.no, F.lli Treves Uitori, 1885.

208 RIVISTA POPOLARE 'DI POLI11CA LETIBRE E SCIENZE SOCIALI Bianchi. in un Supplementoalla letteradall'Adriatico (1793) dice all'autore della 'Difesa, gongolante di gioja : « Io mi conforto che la mia opericciuola abbia avuto l'onore e la sorte di somministrarvi l'opportunità di dichiarare solennemente, ed in faccia a tutta l'Jtalia, che la sovranita è irrevocabile, che il principe dal porolo e dalla nazione in niun caso può esser deposto ; che è piu chiaro che la luce che la sentenza opposta non si può combinare con la felicità pubblica e produce, nella società, l'interna perturbazione, il continuo stato di guerra e di violenza, le occisioni, le ruberie ed un'altra infinità di mali ... Io sono tanto soddisfatto della bella e solenne vostra dichiarazione - la quale sarà saluberrima al genere umano - che sono prnntissimo a soffrir volentieri di essere considerato come vinto in tutti gli altri punti in questione ». Sfido io! Dopo questa difesa viene l'opera di uno che si chiama Abate ldropolita intitolata Il sistema del patto socialeso slenuto dal eh. Ab. Speda/ieri confutato co' rnoi principi ( 1793). Secondo l'ldropolita, l'Opera di Spedalieri « è un volume due volte piu grosso di quello che apparisce. li volervi pescare solo i tonni che v'abbondano non è un picciol pensiero. Ecco perchè aggiunge : « Rimane ad altri moltissimo da dire sull'opera spedalierana, che sarà un vivo capitale per gli stampatori ad mullos annos ». Da Pavia, l'Abate Pietro Tamburini, famoso giansenista, lanciò contro Spedalieri due anonimi volumi intitolati Lettere /eoloiico-politicbemila presente situazione delle cose ecclesiastiche (1794). •· L'opera De' Diritti del 'Uomo è, pel Tamburini, « opera sciagurata, sediziosissima, degna di tutti gli anatemi, piena di paralogismi e di errori, e rea inoltre di mille calunnie e bugie di uno spirito satirico e detrattore ». Ed è del Tamburini stesso questa protesta: « Ella è vergogna del secol nostro che tra noi si levi un cristiano scrittore e che, in mezzo alla capitale del cattolicesimo, abbia l'ardimento di ·ergere sopra sogni e chimere vestite d'un'aria metafisica un micidiale sistema che insidia alla sicurezza de' principi e colle massime piu licenziose raccolte qua e la dai pretesi riformati e dai li_bertini filosofi dell'eta nostra tenda ad inspirare ne' popoli i semi della discordia e della ribellione ai loro legittimi sovrani. Si sa che in Roma ha eccitato un tal libro orrore e sdegno e che alcuni autori hanno innalzata la voce contro siffatto scandalo. Ma gli amatori della pace, della tranquillità e del decoro della religione amerebbero vedere riparato un simile scandalo con una maggiore solennità, che potrebbe assicurare i sovrani ed i popoli». li Filosofo era già morto sin dal 179 5 - dicesi di veleno, come vedremo - ma la sua venerata memoria è dilaniata dalle lance spezzate del vecchio e spirante regime. .Nello stes5o anno 1799 si pubblicano due altri volumi contro Spedalieri e le odiate sue dottrine : uno in Roma, l'altro in Torino. L'uno, d'un abate Reginaldo Angeli, è intitolato Il contratto sociale riguardo all'origine della sovranità assurdo,falso, irreligioso; l'altro, di un P. Guglielmo Della Valle, minor conventuale, intitolato Esame ragionato dei " 'Diritti del 'Uomo ,, ossia conf11tazionedello Speda/ieri. L'uno dedica la sua elucubrazione Agli amici della buona causa, l'altro - nientemeno - A tutte le Nazioni. L'uno, il Reginaldo, conchiude così la diatriba contro la dottrina di Spedalieri: « E una solenne impostura che gli uomini siansi raccolti in società di loro solo consenso, che l'autorità derivi dalla cessione o tacita e presunta o manifesta dd loro diritti, che la sovranità propriamente risiede nel Popolo stesso; ed è poi ingiusta, temeraria, falsa e pestifera la conseguenza che si deduce da questi principi : voglio dire che lo stesso popolo possa a ragione richiamarla e spogliarne la persona rive&tita se manchi alle condizioni ed ai patti, da cui si fece dipendere la stabi. lità della pretesa cessione ». L'al,ro, il Della Valle, fratescamente, incalza, s,mpre rivolto a tutte le na1jo11i : " Spedalieri tentò formare di voi attrettanti ribelli e parricidi ; Rousseau con il chimerico coutratto sociale, volle degradarvi sino all'tssere di animali irragionevoli. A Spedalieri che, per ingannarvi più facilmente, abusò dtlle divine scritture e dell'autorità di San Tommaso D'Aquino, rispondo colle sue sttsse armi teologiche. A Rousseau. lasciata in disparte ogni autorità divina ed umana, farò che rispondano i bruti stessi e l'insultata natura umana ». III. li secolo XIX produce subito un arrabbiato critico di Spedalieri nella persona di Vincenzo Palmieri, professore di teologia dogmatica e di storia ecclesiastica nell'Università di Pisa. Egli gli scagliò contro una delle otto dissertazioni contenute in otto volumi della sua Analisi ragionata de' sistemi e de' fondamenti dell'ateismo e dell'incredulità ( Genova, 18 r 2 ). Egli presenta Spedalieri così: « Spedalieri in quel suo centone d'errori, a cui pose per titolo : Diritti dell'Uomo, parlò della legge naturale con una confusione che fa spavento e dispetto. Siccome egli raccolse i paralogismi di tutti i filosofi che lo precedettero, così l'analizzare i ragionamenti di questo sarà un rispondere a tutti. » .E viene la volta dell'Abate Rosmini, gran magazzino di sapienza ma mente meschinissima e rimasta imbevuta di idee medievali. Egli, gentilmente, dà dell' « onesto » al filosofo uostro; ma, senza capir nulla dtlle di lui grandi ed innovatrici dottrine, fa la mirabile scoperta che Spedalieri spende i cinque ultimi libri dell'Opera sua per confutare il primo. Egli non comprende che, nel sistema di Spedalieri, la rdigione è utile e non necessaria e che il cristianesimo sarebbe non base, ma solo custode de' diritti dell'uomo al solo patto che fosse liberale, e che quindi la pretesa contraddizione non esiste. Anche il Gesuita Taparelli ammira l'animo del Filosofo; ma, seguendo la scuola oltremontana, non può a meno di dichiararne falsa e funesta la dottrina. « All'opposto - egli scrive - quanto apparisce non dico sol fu11esta ma falsa la dottrina ddlo Spedalieri quando ci propone il popolo ed il sovrano quasi due potenze nemiche accanite a rapirsi scambievolmente i beni e il potere! » C:esare Cantù, in tutte le sue opere, non sa che ricucmare contro Spedalieri le critiche acerbe, che abbiamo enumerate, ed aggiunge di suo che fu « savio provvedimento l'avere i principi proibita la divulgazione» dd gran libro rivendicatore. li Canonico Audisio - che, pare incredibile, passò per liberale! - si dà il lusso di confutare Spedalieri in !arino ... da ridere, nel sao trattato Juris naturne et uentium privati et publici fundamenta, a proposito della dottrina Spedalierìana sul contratto sociale, per esempio, scrive: « Quomodo Spedalieri individuus contraxerìt vel conbere potuerit cum Spedalieri confuso in massa communi, ipse solus edocebit: nos non intelligimus, nec sanae meJ?,tis intelligi quisquam. » Non lo capirà lu•, ma lo capisce tutta la scuola liberale moderna e sia pure che questa non goda il privilegio della sanità della mente! Un eminente critico francese, F. De Champagny, in uno splendido saggio pubblicato nell'oltremontano Corr~spondant del 1848, da una parte, rende giustizia al radrcahsmo del filosofo nostro scrivendo : « Noi abbiamo voluto sviluppare nel suo complesso il sistema di Spedalieri sulla sovranità perchè è curioso vedere sino a qual grado di audacia.rivoluzionaria possa giungere, sulla fine del secolo XVIII, sotto il regime reale, un bentficato della Basilica Vaticana! » Dall'altra parte, però, lo Champa"□Y cerca scalzare dalle fondam~nta il sistema di Spedalieri çhiedendosi;

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