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R I N A S C I T A

Questa esperienza italiana ha visto gl i intellettuali

borghesi venire meno ad un dovere dì intervento e cer–

care la salvezza, l a propria salvezza, in un agnosti–

cismo o, per lo meno, in una moral i tà negativa, che

si fonda su mot ivi ed i l lusioni che ancora oggi lo

Jemolo teorizza. Questa esperienza italiana, che sembra

già sulla via dì ripetersi (quante non sono le conces–

sioni che i l iberal i vanno .facendo^ all'oscurantismo

clericale, pur di non cedere alT« oscurantismo comu–

nista » I) vale a dar la misura dell'ampiezza e dei valore

che l a l ibertà assume per i l vecchio mondo culturale.

Ed è questa sua incapaci tà a superare i confluì indi–

vidual i della l ibertà i l vero motivo, non solo del nostro

dissidio, ma della sua crisi.

Le « conversioni della disperazione » che impressio–

nano lo Jemolo non servono a nulla. Ancora meno utile

è lo splendido isolamento cui lo Jemolo richiama gl i

«uomini della ragione» . Meglio, secondo noi, che gh

« uomini della ragione » continuino a ragionare, se ne

sono ancora capaci: l'evidenza delie cose è tale da non

farci disperare che, quelli d'essi che sono in buona fede,

riescano un giorno a intravvedere la via giusta. E senza

disperazione,

RUGGERO ZANGRANDI

No t e r e l l e di letteratura

P r emi o V i a r e g g i o

II « Premio

Viareggio » è la più importante

manifesta–

zione letteraria italiana e di più lunga tradizione.

Conta

venVannì dì vita-, la storia di due decenni

letterari.

La

sua giuria è composta

non solo di uomini

illustri,

ma

per i quali la

-

cultura è strumento di progresso,

un atto

completamente

umano, dì consapevolezza

e di

giudizio.

Nè credo che sia reato di lesa cultura indicare,

oltre allo

sviluppo

della nostra

letteratura

di anno in anno, un

problema

fondamentale

all'intelligenza

della

nazione,

Le irritate

grida allo scandalo

sollevate da una parte

degli intellettuali

italiani

e della stampa,

dimostrano

invece

quanto sia necessaria

questa azione. Il

Premio

Viareggio

1949

è poi una delle affermazioni

più

positive

{cioè meno

legate a ragioni

polemiche)

degli

ultimi

anni della nostra cultura.

Suscitare

scandalo

è

sempre

un merito in questa Italia,

dove tutto tende a

scorrere

nei consueti

binari. Ma il

riconoscimento di opere

come

quelle di J&molo e della Viganò fa soprattutto

pensare.

Questo forse è lo scandalo più

grosso.

E il peccato sta nel premiare

come « letteraria » un'o–

pera « storica*,

mettere in discussione

una « categoria »,

entità o tabù ben più sacro che la medesima

possibilità

dì vivere e di comprendere.

Fino a un certo limite

tutti

sono d'accordo

che la nostra letteratura

vive un clima

irrespirabile,

non ha credito, non è letta, non tocca la

nazione,

non penetra in essa. Ma quando si tratta di

smuovere

quell'afa

intellettuale

che la rende

antica

come un palinsesto,

o minore

come una voce a metà

uscita dal corpo, allora cominciano

le

smanie.

Il libro dello Jemolo ha un'origine

insospettata

: è opera

di uno studioso

ìntimamente

legato alla più

approvata

tradizione

italiana:

alla cultura

borghese

e alla

fede

cattolica.

Ed è lui che per primo dichiara il fallimento

di tale

tradizione

sul piano nazionale,

il tradimento

dì quel-

Videale di vita, ad opera proprio del clero e della

classe

dirigente

borghese.

Il suo sconforto,

con Valto di fede

che Vaccompagna,

è pienamente

giustificato:

veramente,

anche per chi illuminatamente

rimane

legato a quegli

ideali, la das-sc dirigente

e l'azione

della chiesa

d'oggi

conducono

verso [*« antirisorgimento

». Per Jemolo

poi*

incerta,

pessimistica

è anche la visione del futuro,

del–

l'affermarsi

di una nuova

classe dirigente,

-diversa

so–

stanzialmente

da quella

borghese.

Parlare in questV termini mette preoccupazione

ad al–

cuni intellettuali.

La letteratura

non dovrebbe

impe–

gnarsi non solo in problemi e posizioni

storico-politiche,,

ma neppure in posizioni

morali.

Preoccuparsi

dì man–

tenere la verginità alla nostra letteratura,

non

portarla

dinanzi

od alcuna

scelta, non metterla nel pericolo

di

peccare,

questo è l'obbligo del letterato. Al massimo

può

peccare « fm-malmente », nell'uso

di certe tecniche,

nel-

Vassimilazione

[sempre

ritardata)-

di espedienti

« lette–

rari », appunto. Cioè mutare l'abito e mantenerle

la • na–

turale » castità. Se poi non è letta, unico mezzo dì sal–

vezza sarà farle rumore

attorno:

«pubblicità*,

come

si dice. Ogni giudìzio critico che entri nella sua carne*

è un attentato.

Abituata

a una critica che non

tocca

mai il fondo, che resta sospesa,

spesso con un

linguag–

gio pieno di « sospetti », alla annotazione

raffinata,

al–

l'indicazione

di quello che è o non è « poesia », gli scrit–

tori temono il contributo

della ragione,

magari la scossa,

vigorosa,

il richiamo

a questo

fatto assai

elementare:

cjie la cultura è contributo

e consapevolezza,

prima di

tutto.

Non è poi vero che la giuria del Premio non abbia ri–

conosciuto

che l'annata

letteraria in corso ha dato

buoni

risultati.

Limitati di certo, non forse superiori

a quelli

degli anni trascorsi.

Ha dato infatti

riconoscimento

a

un romanzo, che può avere dei lìmiti, ma non certo mag–

giori delle altre opere dì narrativa.

Nè come valore di

contributo

all'intelligenza

della nostra società

borghese

supera

Chiesa e Stato,

Lo supera però nella sostanza:

sta oltre, al di là di

quello

sconforto

di Jemolo.

L'Agnese va a morire

co–

mincia

esattamente

dove

Chiesa e Stato

finisce. Per Je–

molo, neppure

le speranze

di rinnovamento

contenute

nella

Resistenza

sono durate

all'azione

disgregatrice

e

immorale

della classe dirigente

al potere e degli

istituti

ecclesiastici.

Il mondo

della Resistenza

com'è

rievocalo

dalla Viganò forse rimane, nella sua modestia e inespe–

rienza

letteraria,

dentro al tono descrittivo,

forse non

s'affonda

fino alle radici di quella materia, non ne sono

tratti alla luce tutti i valori. Ma certo la generosità, la

serietà nativa con cui è raccontato^ lo rendono non solo

un aito d'amore, ma di sicurezza,

di rivendicazione

di

quei valori. Vi può essere difetto dì stile, e

perdonabile

(quasi un pregio) come in un primitivo.

Ma non vi sono

dubbi, incertezze

(neppure

nel ritmo del\a

narrazione)

per un mondo dì uomini che allora (come e con mag–

giore consapevolezza

che nel

'48

a Milano, a Roma, a

Venezia)

« fecero da sè

Questa

vera «

autonomia*

dell'azione

morale, il coraggio

delle proprie

decisioni*

la tranquilla,

nobile certezza dì poter rinfacciare

la de–

bolezza, la viltà e anche il tradimento

di chi si è posto

contro la Resistènza:

questa è la sostanza del libro di

R.

Viganò.

Se anche il valore del libro della Viganò restasse af–

fidato solo alla medesima

« sincerità»,

la sua è since–

rità positiva,

che afferma, che nasce da un mondo mo–

rale completamente

nuovo : conferma

che le

premesse

contenute

nella Resistenza

non sono state affatto

soffo–

cate dalla classe dirigente

e daV clero.

Giungono

anzi

sempre più a maggiore

consapevolezza,

sì esprimono

di–

rettamente,

si " raccontano »,

Proprio

su queste premesse

ha terreno di riuscita

la

« battaglia » laica in Italia. Poiché la fondamentale

pos–

sibilità per Vintelligenza,

per la cultura — nei

lìmiti

della borghesia e oltre — di rimanere

cultura, è questa:

maturare

un pensiero,

una morale,

una letteratura

e

arte diverse

dalla morale gesuitica,

a cui ancora

una

volta la classe dirigente

italiana sì è affidata.

Quello che le altre nazioni

civili hanno realizzato

da

più che cento anni. E per maturare

una tale

cultura,

occorre

ripensare la vita del nostro popolo, i suoi

stessi

insegnamenti,

proprio

durante

questi ultimi

cento

anni

di storia

nazionale.

R I NO D A L SASSO