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R I N A S C I T A

dei comunisti », preferiscono rinunciare a impegnarsi

nella difesa del laicismo, mascherando questo dispet–

toso sacrificio d i Origene con una petizione di neutra–

lità fra oscurantismo clericale e oscurantismo comuni–

sta che non è l 'ul t ima delle.»

-

• origenal i tà * dei libe–

ral i d'oggi. Ed è così pervicace, in essi, questo orrore

del comunismo e di qualsiasi collaborazione, pur circo–

scritta, con i l comunismo, da indur l i a dare l'ostraci–

smo a

.

qualsiasi iniziativa comunista, a rifiutare sìste-

matramente persino una parola di condizionata soli–

dar i e t à e, più ancora, a colpire — e non solo con le l i –

berali armi della polemica — quanti trasgrediscano

alla consegna, si che hanno già instaurato in Italia

{Jemolo lo ricorda e se ne potrebbero citare esempì fa–

mosi) un'atmosfera di ricatto inorale, se non addirit–

tura di terrorismo, che mi ra a tenere a bada gi i

« ingenui » e, escludendo possibilità d i intesa e d i

alleanza pur contingenti, a dividere sempre più pro–

fondamente i l -campo della lotta, con runico risultato,

però, di abbandonare i l campo ai comunisti, anche

quando si battono contro avversari che dovrebbero

essere comuni.

Nè questo è uno dei mot ivi minor i del disagio e del

discredito in cui versa i l vecchio mondo culturale; chè

a nessuno sfugge ormai più come i comunisti si siano,

essi, assunti Ja difesa, e siano rimasti soli in questo, di

principi e valori che furono un tempo appannaggio

tipico del liberalismo. • Gli scrittori del liberalismo non

hanno Gaputo fare i loro conti con i l movimento operaio

che stava diventando l'erede naturale della funzione

libertaria esercitata prima dalla borghes ia» — rampo–

gnava, già 25 anni or sono, Piero Gobetti. Oggi i l giu–

dìzio sereno dell'* ultimo liberale » italiano non potrebbe

non prender atto di come, davanti non più alla disavve¬

dutezza ma alla diserzione dei liberali, i l movimento

operaio abbia assimilato completamente quella ere–

dità, ne abbia fatto partecipe i l popolo e si sia posto

all'avanguardia di tutte le lotte che nel Paese si svol–

gono in sua difesa. Ciò che i liberali non capiscono è

che * oggi non basta più avere i n cuore la religione

della libertà per essere l iberal i , ma occorre discernere

quali sono le forze sociali e polìtiche che la libertà

sostengono e promuovono, e dare ad esse i l proprio

appoggio '(1) ». Essi si consolano dicendo $ forse pen–

sando davvero che questa politica del comunisti — che

nasce dalla real tà della situazione e che Togliatti ha

chiamato « l a vìa italiana del social ismo» — non. sia

che una tattica ingannevole ed insincera; epperò re–

stano a guardare, quasi stimassero questa » ins incera»

battaglia dei comunisti sufficiente a preservarli dai

mali che riconoscono minacciare i l Paese.

Tanto più sospetta si rivela questa assurda riserva dei

liberali verso la « funzione libertaria » assunta oggi dal

comunismo, quando la si colleghi con I mot ivi — che

lo stesso Jemolo, certo in buona fede, fa propri — con

cui gl i intellettuali di parte liberale (liberali-cattolici

e liberali-crociani) giustificano i l loro ri t iro dalia lotta

e Ja loro impossibilità d i una intesa con noi.

Cos'è, infatti, che l i sospìnge fino alla abdicazione?

Cos'è, d i cosi profondo, che ci divide?

I più progressisti fra g l i intellettuali della vaccina

(1) Lucio

LOMBARDO RADICE.

Intellettuali

antifascisti fra l'ideo*

logia e la politica.

» Rinasc i ta », maggio 1947.

cultura sono disposti a concedere tutto alle nostre r i –

vendicazioni di giustizia sociale ed economica, pronti

anche — essi dicono — a rinunciare ai loro stessi pri–

vilegi. Fuor che ad uno: la libertà. E non si avvedono,

naturalmente, che questa loro estrema istanza è, (fi

fatto, la difesa di un privi legio: che la l ibertà in nome

della quale essi si battono è anch'essa un privilegio di

classe, nè più nè meno della propr ietà per i l capitalista.

Questo è i l punto. l i punto del dissenso insanabile, fra

loro e noi, che non deriva dal fatto che essi vogliono

e noi non vogliamo la l ibertà, ma dalla radicale diver–

si tà d i interpretazione che noi e loro diamo alla esten–

sione pratica di questo concetto. La libertà, per loro

come per noi, non è un principio astratto, impennacchio

da inalberare nei giorni di cerimonia: è la possibilità

di pensare, d i adire, quindi, alla cultura, in virtù della

quale soltanto si può dire che l'uomo sia libero e abbia

integrale coscienza della sua libertà. Libertà è dunque,

per noi-e per loro, cultura, possibilità di cultura: solo

che, per loro, è sufficiente che tale possibilità sia indi–

viduale: anzi, non hanno altro modo di concepirla; per

noi, essa ha da essere estensibile a tut t i , accessibile a

tut t i , in concreto e non solo sulla carta, anche se al

tratta di quella costituzionale.

Ora, la libertà che i nostri avversari difendono, sul

cui altare sembrano disposti a bruciare ogni cosa, non

è in real tà un ideale obiettivo o, sia pure, un mito

astratto che si imponga al nostro rispetto; è l'espres–

sione ultima di un ristretto egoismo, che difende, nella

libertà, un privilegio di classe: quello che consente

da secoli all'intellettuale d'essere, a suo modo, un

capitalista: di monopolizzare d i fatto la cultura (e

quindi la libertà), come al t r i monopolizza la ricchezza

e i mezzi di produzione. E la cultura — si badi — è un

mezzo di produzione: senz'altro i l più formidabile.

Può sembrare un paradosso —c.e ne rendiamo conto —

un modo di vedere le cose che scandalizza certo ì nostri

l iberal i : 1 quali respingono e irridono una simile inter–

pretazione; negano che la loro libertà Già di natura così

egoista e crudele. Ma anche gl i al t r i hanno sempre

negato, anche i capitalisti affermano che, i n un regime

di democrazia, chiunque ha la possibilità di arricchire,

di ascendere nella scala sociale. Analogamente — di –

cono gl i intellettuali liberali — chiunque è oggi libero

di pensare, di raggiungere una cultura e, quindi, libero

di essere libero. E' diffìcile credere che gl i uni e g l i

al tri non avvertano i l sapore d i beffa di queste propo–

sizioni; non s'avvedano «che, in real tà, mi l ioni di esseri

umani non sono oggi in gpado di essere liberi , tome non

lo sono di arricchire, poiché questi beni — l ibertà e

ricchezza — sono concentrati In poche mani. L'uno e

l 'altro — cultura e ricchezza — sono beni che si accu–

mulano, si capitalizzano, si trasmettono ereditaria–

mente. Per entrambi

si

pongono e un problema di

produzione e uno, urgente, di distribuzione. Quando

gl i intellettuali borghesi dicono di esser pronti a tutto

rinunciare fuor che alla libertà, non si rendono conto

— o se ne rendono conto benissimo? — che, con questa

limitazione, esisl riescono i n real tà a non concedere

nulla, a salvare i l loro fondamentale privilegio, indi–

viduale e d i classe: l'unico, in effetti, di cui dispongano;

lo strumento chiave della loro posizione di predominio

sociale, cosi come la propr ietà privata è lo strumenta

chiave della dominazione dei ceti capitalistici.