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R I N A S C I T A

373

À

sostegno

di questa sconfortante conclusione, lo

Jemolo reca però due argomenti che non possiamo non

trovare deboli, se non sospetti: l ' Impossibilità morale

di

andare

verso i l comunismo, a causa del suo intolle–

rabile

dogmatismo.

Per

noi quel che si può

offrire i n

olocausto a una causa è l'operare, sono le azioni: i

pensieri mai; e neppure le

parole, se dovessero

tradire

i l pens i ero». «Accet tare un

dogmatismo

in cui tutto

è

imposto, ogni problema

risolto, privarci del

diritto d i

ricercare l a verità

, di poter

errare anche, ma nella

ricerca del vero, sarebbe sconsacrare la nostra uma–

ni tà »);

e la fiducia, davvero cieca (egli stesso ha rile–

vato poco prima*

*

Noti

diverremo

dunque

comunisti,

anche se questa

risoluzione

paia

chiuderci

l'ultima

speranza di poter fare qualcosa di utile, di trovare un

campo

ove agire»)

in una «sopresa

»

della storia, in

una

improvvisa palingenesi cristiana, fondata, niente–

meno,

nel

« prodigio * di un papa, « che volgesse

deci–

samente

le spalle alle vecchie classi privilegiate, a tutto

i l

passato (cominciando col licenziare anticamera no–

bile e

corpi

armati, col bandire decorazioni e tìtoli),

che

sì facesse

assertore di un .socialismo cristiano ».

•Placata la

sua ansia in questa visione, davvero

sin–

golare

per uno

storico

del suo valore,

la

cui ingenui tà

vale più

d

'ogni altra cosa a mostrarci quale

sia i l

gra–

do di sfiducia venso una soluzione razionale

che

non

sfa"

comunista, Jemolo

conclude —

come

s'è

detto

con

un invi to agli « uomini della ragione

»

a non per–

dersi d'animo, a

continuare

anzi a « sperare nella

loro

ora

»,

e a

consolarsi, intanto, insegnando ai giovani

a

ragionare,

come già

fecero

sotto i l fascismo. E i l quasi

involontario paragone fra quel tempo

e l

'attuale sgorga,

ancor

più spontaneo,

nel

suo candido

interrogati

vo

finale: «Perchè mai

egli si chiede stupito

dovreb–

bero abdicare oggi che possono fare molto di più? ».

L'alferndfiva de l l a cul tura i t a l i ana

Abbiamo voluto riferire con ampiezza e speriamo con

fedeltà

la

parte

esse

nziale dello

scritto di Temolo, sia

per

TimpoTtanza

documentari

a che c i sembra rivestire

e che

non deve essere ignorata dai comunisti (ai quali,

anzi,

consigliamo

l a lettura dell

'originale),

sìa

per

render

più comprensibile e giustificabile quanto ci ac–

cingiamo a dire

sui

problemi i n questione. E

un

poco

anche

per dimostrare a Vladimiro Arangio-Ruiz quanto

sìa gratuito e

poco

serio,

frutto del

suo

anticomunismo

preconcetto e

idiota, quello che egli afferma sul

Gior-

m

naie

d'Italia

del 26 agosto:

che,

del

saggio di

Jemolo,

« naturalmente

i

comunisti

(per

quella paura della

ve–

r i tà

di cui sopra)

si

guarderanno bene dal parlare e

gl i

faranno

intorno

i l più impenetrabile

si lenzio».

Vi

sono, nello schieramento dell'anticomunismo,

due

forze

chiaramente individuabili ,

distinte:

v

i l blocco

dell'alta borghesia, finanziaria, industriale, fondiaria,

la

vecchia classe economicamente dirigente, che difen–

de

con tenacia

i l suo secolare

privilegio

e muove, per

questo, le schiere dei suoi ausiliari e tributari ; e v

i l

mondo della vecchia cultura, la classe dirigente in–

tellettuale, che è un prodotto della pr ima e che, pur

nella

difesa comune,

s i batte

sostanzialmente per con–

servare

i

propri peculiari interessi, divenuti ormai —

come poi vedremo — un

privilegio anche

essi. Ciò spie–

ga come a volte possono esistere e siano esis

titi di

fatto dissensi o addirittura contrasti fra i due gruppi,

come quando i ceti intellettuali sono messi in difficoltà

dalla predilezione che ì ceti capitalistici hanno per for–

me di reggimento politico totalitario e oscurantista.

Cosi, nella lotta attuale, che vede rinsaldarsi l'unione

di questi due blocchi, si può oggi chiaramente indivi –

duare quale dei due faccia le spese dell'alleanza; per

quale, cioè, i l cieco anticomunismo si sia mostrato più

dannoso, sospingendo più rapidamente sulla vìa del di–

sfacimento.

Che i l blocco degli intellettuali sia alla disperazione,

ce ne reca drammatica testimonianza questo saggio

dello Jemolo, i l quale

tranquillizzi TArangio-Ruiz

non ci interessa tanto per la «t ent az ione», cui ac–

cenna, di una resa senza condizioni al comunismo,

quanto per le confessioni che contiene e per la since–

rità — rara, invero, fra gl i intellettuali sia cattolici che

crociani — con cui è messa

a

nudo e in luce l ' int ima

crisi che travaglia la vecchia culture.

E ,

davvero, noi

comunisti, non potevamo aspettarci di più da un uomo,

come lo Jemolo, che è un

-

intellettuale onesto, ma un

rappresentante integrale e incorreggìbile d i quella

cultura.

L'importanza -de] suo scritto, quindi, non si fonda,

per noi, nella denuncia e quasi nell'annuncio di con–

tinue conversioni dì intellettuali borghesi al comuni–

smo, ma nel rumore e nelle adesioni che ha suscitato

nel superstite mondo culturale; non nelle numerose am–

missioni e concessioni alla nostra ideologia

insolite

da quella parte,

ma neila fredda

e

spregiudicata

analisi con cui si ammette l'esistenza moderna d i una

sola alternativa per gl i

«

uomini della ragione » e —

ciò che è davvero impressionante

d i una alternativa

i n

cui l'altro dei termini non

riesce

più ad essere in–

dividuato: o comunismo o... nessuno sa dire che cosa.

I n effetti, d i fronte al comunismo che avanza e pone

sempre più avanti le

sue

rivendicazioni e

le

sue istanze

non solo economiche, ma -d i modificazione strutturale

della cultura non meno che della società, i due citati

biacchi dell'anticomunismo non riescono- a contrap–

porre niente altro che la resistenza bruta. Ed

è

evidente

in quest'unica residua possibilità di resistere su un

piano di pura e semplice conservazione, abbiano migl ior

giuoco

i

padroni del mondo economico, che a sostegno

del proprio sistema possono almeno invocare l'apparato

burocratico e militare del loro Stato, che non g l i arbi tri

del mondo culturale, i quali, contro l'assalto della

crìtica e della real tà, non hanno rinforzi da mettere

i n linea; a meno che non vogliano ricorrere, con al–

leanza leonina, all'ausilio di quello che pur

essi

con–

vengono nel chiamare «oscurant ismo clericale». Quan–

do non si riducano a questo, se vogliono evitare di dar

vinta, la partita senza tuttavia esporsi al confronto,

non resta loro che rinchiudersi nell'atto d i fede cieco,

i n un rifiuto pregiudiziale di prender parte alla lotta,

che ha qualcosa di teologico, come ammette per esplì–

cito lo Jemolo che si fa propugnatore dì questa estrema

via di salvezza.

L'eredità l i bera l e del c omu n i smo

Questa via che lo Jemolo indica è del resto la stessa

che, in pratica e da tempo, battono i liberali atei, tipo

Panfilo Gentile, i quali, pur di non prestarsi a] « giuoco