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R I N A S C I T A

375

ci

si può sorprendere di questo, poiché è la logica

conseguenza della natura

di classe

degli intellettuali

borghesi, che soggiacciono alle leggi della lotta di

classe. Ci

si

avvede meno d i questo fatto (e della sua

analogia con i l corrispondente

per d ceti

capitalistici)

sol perchè la

difesa dei privilegi

intellettuali

è

più

facile

a camuffarsi di

quanto

non sia

quella

dei

pr ivi –

legi sociali

ed economici.

Ma,

per

quanto abile e addi–

r i t tura spontanea ed

inconsapevole

sia la mimetizza–

zione, essa non muta la

sostanza

dei fat t i : per cui

sempre più, mano a mano

che la crisi si

accentua,

g l i

intellettuali borghesi,

la cui azione fu

un. tempo

utile

a tutta la

società — poiché era legata alla

funzione sto–

ricamente

progressiva

della

borghesìa

si

vedono

oggi

costretti a ridurre

la

propria

difesa,

dalla difesa di

un

principio,

a

quella di un

privilegio: non

hanno più

nulla da dire o da dare

alla società,

come la borghesìa

capitalista della quale

condividono 11 travaglio.

Nella

polemica spicciola con cui tentano

di

giustifi–

care

la propria incapaci tà a sopravvivere passando

alia

classe

progressista ^Gramsci osserva

che, anche quando

s ì

è

verificato,

specie

fra i giovani, un movimento

in

tal senso, spesso, neila

criisi

svolta, essi

tornano

alla

classe

d'origine), nella

polemica spicciola

gl i intellet–

tua l i si afferrano dunque

al pretesto

che

nel comu–

nismo non c'è l iber tà: disciplina di

partito

e

ragion

•di stato

limiterebbero per gl i

iscrìtti

e per

i cittadini

la l ibertà di pensiero.

Questo argomento,

che si nutre

d i tutte te

calunnie

e le mistificazioni correnti, te più

volgari

— e

s'è visto che

lo

stesso

Jemolo

non

ne

è

immune — è i l

fulcro fondamentale

delTanticomunism

-

intellettuale. Alle sue radici v

'è una ignoranza grossa

— incredìbile in

uomini di

cultura

— del

comunismo

e

della

sua dottrina.

I l imi l i de l l a l ibertà l i be r a l e

Tant

' è : questo è i l loro costume,

e malgrado la

real tà comunista sia assai diversa da come

gl i intellet–

tual i

borghesi,

m

buona o in mala

fede, la dipingono,

poiché

sarebbe

qui lungo

e fuori luogo sptegere (e

spiegarlo a un

intellettuale anticomunista!) come stanno

i n effetti

queste cose,

poniamo

pure che sia vero

i l

loro

asserto,

che, in regime dì edificazione

socialista, sì

fissino alla l iber tà

individuale certi l imi t i , anateghi

a

quelli

che si fissano,

ad esempio,

per

la proprietà

privata.

V'è

realmente

motivo di scandalo per questo? Possono

quel liberali

che si dicono

in buona

fede e che preten–

dono

d

'essere assertori

della libertà,

come

principio

universale

aperto a tut t i , negare che ciò sia legittimo in

una società che lotta per la difesa

dei di r i t t i collettivi?

Non ha forse la teorìa

liberale introdotto, per prima,

la distinzione fra l ibertà e licenza7 Non ha essa teoriz–

zato che

la

l ibertà di

ciascuno incontra un limite natu–

rale nei d i r i t t i

altrui? Se

l

'esercizio

di certe l ibertà, in

un'epoca di trapasso

i n cui si tende

a

trasformare tutta

una società e a

porre te premesse per

una società comu–

nista,

veramente ed integralmente libera nuoce, o mi –

naccia addirittura questo lavoro —

ohe è

costato inauditi

sacrifìci

per

mi l i on i di

individui durante centinaia

di

anni —

non

è forse legittimo

accentuare queste l imi

tazìoni, stabilire per lo meno un criterio fondamentale:

che, ad esempio, così come la propr ietà

privata non

deve più consentire lo sfruttamento

dell'uomo da parte

dell'uomo, la l ibertà e la cultura individual i più non

debbono essere armi intese, consapevolmente o meno,

alia corruzione, all'avvilimento, all'inganno ideologico

dì uomini che combattono per realizzare, nei l i n r t i

dell'umano, i l più antico e nobile proposito che ha mosso

g l i spìriti liberi d i tut t i i tempi: una società d i eguali?

Nei paesi ove questo processo è in corso, ai quali i

nostri intellettuali guardano con tanto orrore, non

accade mai che «scelgano la l iber tà» uomini del po–

polo, lavoratori, contadini, gente che, in effetti, per le

condizioni sociali d'origine, non abbia alcun privilegio

da difendere sotto la specie della libertà. Si son chiesti

i nostri intellettuali U perchè di questo fenomeno?

Perchè solo gl i esponenti dei vecchi ceti possidenti

varchino le frontiere per «raggiungere la l iber tà», là

dove molto ispesso una consapevole preveggenza aveva

acceso provvidenziali conti correnti? O solo qualche

intellettuale, che cerca di raggiungere, se non anch'egli

un patrimonio

m

banca, un altro patrimonio, fatto di

frequentazioni, l i abitudini, d i gusti, di vìzi che non

è più possibile coltivare in patria, onde è facile dimo–

strare che egli ha avuto intenzione di scegliere non la

l ibertà in. assoluto, ma la

sua

l ibertà, quando non si è

trattato addirittura della «l iber tà americana

che è

ancora meno rispettabile? Forse perchè gl i operai, i

contadini, l 'umile gente di quei paesi non è in grado

di apprezzare l a libertà, che non ha mai conosciuta? E,

allora, ciò significa che nel precedente regime sociale

— quello che oggi vìge i n Italia, per intenderci — co–

storo, che sono ed erano stragrande maggioranza, non

ebbero neppure nozione della libertà; oppure — altra

spiegazione

è

impossibile — che la l ibertà di queste

masse, quella a cui per secoli hanno aspirato, è la

stessa che oggi laggiù si realizza, pur in parte, pur

.

nei l imi t i di cui quella gente, adusata a non aver nulla

regalato dalla vita e a conquistarsi tutto faticosamente

e lentamente, non si scandalizza.

Se ne scandalizzano, invece, i nostri intellettuali,

che, passando sopra ogni altro positivo giudizio del

comunismo, trovano i n esso — come dice Jemolo — un

dogmatismo la cui accettazione significherebbe « scon–

sacrare la nostra uman i t à ». Urta, dunque, questo pre–

teso dogmatismo i l concetto che essi hanno della l i –

bertà, che, se si spinge alle vette della difesa del diritto

individuale di ricercare la verità e perfino dì errare

m

questa ricerca, non abbraccia però, con altrettanto

amore, la difesa delle libertà collettive, anche le più

umi l i .

E' un vecchio discorso, doloroso a ripetere, ma è

storia: cosa fecero — hanno diritto, allora, di chiedere

i comunisti, che alla difesa attiva della libertà per

tut t i hanno sacrificato a centinaia, cumulando migliaia

di anni d i carcere, la propria l ibertà individuale e,

assai spesso, la vita —, cosa fecero gl i intellettuali

liberali per difendere la l ibertà concussa dal fascismo?

Si rinchiusero nelle loro tor r i eburnee, paghi dì poter

continuare a coltivare la propria libertà individuale,

alla difesa della quale soprattutto sacrificarono ogni

cosa, i v i compresa, non di rado, la digni tà. Non Insor–

sero, non si batterono, non morirono per la libertà i n

assoluto, la libertà d i t u t t i : durante 20 anni, non ebbero

rimorsi per la privazione della l ibertà dì migliaia di

esiliati, di incarcerati e dì mi l i on i di giovani, che cre–

scevano ignorando la libertà.