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nellaclasse operaia è una possibilità

storica

del tutto

nuova

nella storia italiana

mentre l'esistenza di minoranze radicali non è affatto una novità) e dall'altro per

mette ai «riformisti» di chiamare (tanto per essere à la page) gli altri «massimali

sti». Io pensoche la sola ragione per cui è bene non definirsi «rivoluzionari» sia

il pudore, cioè propriamente la consapevolezza della propria insufficienza teorica

epratica nell'affrontare il problema della fase storica; tuttavia questaconsapevc>

lezza può anche diventare un alibi paralizzante, ed il masochistico fascino clu

puòdare la propria inadeguatezza può avere da un lato sbocchi «francofortesix

con il rinvio sistematico della prassi in nome dellamagica invincibilità dell'Orridc

edall'altro sbocchi di «piccolo cabotaggio» dall'impegno pedagogico nei «consi-

gli dei genitori» all'inevitabile convergenza con i revisionisti nei «comitati d

quartiere» quando le speculazioni democristiane oltrepassano il livello tollerabilc

di decenza. Un'altra profonda ragione che impedirebbe nel prossimo futuro d:

potersi definire «rivoluzionari» sta nel non riuscire a definirsi nei confronti del

PCI che

in negativo;

alcuni nell'area di DP pensano di poter esorcizzare questc

pericolo elaborando a tavolino (magari senza dirlo ed affermando invece di «rac-

cogliere e sistematizzare le spinte del movimento») programmi di politica econo-

mica alternativa ed inseguendopenosamente il PCI in tutte le «pieghe» della sua

«complessività». Su questa strada a mio parere non si va lontano e si sarà solo

battuti. Una definizione

in positivo

non puòassolutamente farsi senza un'adegua-

ta teoria delle classi e dei nuovi bisogni sociali emersi negli ultimi anni e tanto

menopuò farsi

saltando

una fase di radicale resistenza e di totale rifiuto al «ter-

reno»che il «revisionismo» invece propone; quello della necessità del «farsi cari-

co» dei problemi della crisi, dell'austerità e della riconversione come quello dello

scivoloso terreno dei «sacrifici per chi e per cosa». Donolo parla della necessità

di smetterla con atteggiamenti avanguardistici e della necessità di praticare una

«politica dell'esperienza»; qui ha perfettamente ragione, ma questa rimarrà una

nobile petizione di principio secoesisterà con

l'illusione

di poter trovare un terre-

no

strategico

comunecon tutto quello che la linea del PCI rappresenta. È un pec-

cato dover usare questa terminologia militarista segnata dal dominio (tattica,

strategia, ecc.) ma non riesco per il momento a trovarne un'altra. Anche il PCI

pratica certo una

sua

politica dell'«esperienza», così come l'hanno sempre prati-

cata tutte le forze politiche che hanno ambito a un'egemonia sociale, ma questa

«esperienza» è quella vecchia dell'adattamento al principio capitalistico di realtà,

checoniuga la. tradizionale desublimazione repressiva già seriamente studiata da

Marcuse con la nuova «introiezione» psicologica e morale della necessità

dell'au-

sterità,

che è solo la necessità della nuova fase storica del capitalismo di fare

enormi investimenti in capitale fisso con la correlativa esigenza di svalorizzare il

vecchiocapitale costante. Dell'austerità non si parla nel saggio di Donolo; anche

perché, certo, il PCI non l'aveva ancoramessasugli scudi. Varrà la pena di farci

qualcheconsiderazionesopra prima di chiudere.

6. Appena Berlinguer ha proposto la «austerità» come nuovoasseculturale

c'è stata subito una levata di scudi; Colletti, Bobbio, Napoleoni hanno fatto subi-

to notare che il materialismo è strettamente legato al piacere e al godimento, che

l'austerità è solo un valore negativo e non positivo, che un conto è il fare di ne-

cessità virtù e un conto è fare l'apologia della necessità, ecc. ecc. Bobbio ha fatto

notareche la tematica dell'austerità (anzi, propriamente, della «frugalità») è assai

più di Rousseauche di Marx, è legata all'ideale giacobino della comunità di pic-

coli proprietari frugali e virtuosi, che nel Settecento è strettamente connessa a

unaconcezioneeconomicache preferiva la «crescita zero» dell'economia alla cor-

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