

la prefigurazione utopistica di momenti di «comunismo sùbito» nella totalità alie-
nata del capitalismo maturo e di una concezione
quantitativa incentrata invece
su
di una robusta base di '«politica economica alternativa» neo-ricardiana e sraffia-
na, a metà fra le innocue fughe in avanti di Riccardo Lombardi e le interpreta-
zioni di sinistra dei vari Piani del Lavoro. Nelle lotte fra qualitativi e quantitativi,
questi ultimi finiscono sempre per vincere, anche se lasciano ai primi il monopo-
lio dell'eccitante fascino delle prefigurazioni comuniste. Penso che questo sia do-
vuto al doppio carattere della cultura «organica» di riferimento del Manifesto-
Pdup, che è in sostanza il corpo teorico del cosiddetto «marxismo occidentale».
Infatti il marxismo occidentale è
da un lato
la «proiezione» teorica di una «vitto-
ria» che non c'è stata ma che avrebbe dovuto e potuto esserci, data l'esistenza di
tutte (o quasi) le famose premesseoggettive previste dal marxismo classico (in-
terpretato come teoria dello «sboccosocialista» delle contraddizioni nei punti alti
dello sviluppo capitalistico e anche della «maturità del comunismo» nel consumo
assai più che nella produzione) e
dall'altro lato
la razionalizzazione teorica della
sconfitta di queste illusioni che invece c'è stata (e come!) con conseguentepessi-
mistica ritirata in buon ordine nelle vecchie trincee del pensieroclassico liberai-
democratico, visto comemaleminore nei confronti dello stalinismo, dell'arcipela-
goGulag e del dispotismo orientale. I l carattere
proiettivo
di questomarxismo ne
permette infinite variazioni prefigurativo-utopistiche, che ne costituiscono la colo-
ritura di «sinistra» e l'aspetto di eccitantemodernità, mentre il suo carattere
ra-
zionalizzativo
(non «razionalizzatore», aggettivo che rimanda al pragmatismo ri-
formista e all'ingegneria sociale socialdemocratica, il cui titolare è come è noto
assai più il PCI del Pdup stesso) ne fornisce la robusta base opportunista, mate-
nata di storicismo, giustificazionismo storico e robusto «principio di realtà». Lot-
ta Continua invece, meno colta e sofisticata, ha semplicemente appiccicato insie-
meuna concezione della crescitaesponenziale di un'autonomia operaia feticizzata
(che operava nella coscienza del militante di base come risvolto soggettivo del
«crollo» del capitalismo) con una concezione soggettivo-volontaristica dell'impe-
gnopolitico (si veda quel bel saggio di idealismo soggettivo che è
l'Elogio della
milizia politica);
essendosi costruita intorno un'impalcaturameno elaborata e più
fragile ha —
per fortuna
— resistito di meno alla sia pure ambigua «irruzione del
nuovo», irruzione che è solo specificazione ulteriore del processoapertosi nel Ses-
santotto, processo a cui il revisionismo è frontalmente contrapposto.
3.
Su l Revisionismo.
Nel proporre una definizione del PCI in termini di
«partito del mutamento sociale» Donolo fa notare che «nella nuova sinistra si
parla per il PCI di riformismo, socialdemocratizzazione e peggio. O ancora c'è
chi lo vede come il partito dello stallo, immobilista, bloccato dal rapporto com-
promissoriocon la DC. Si parla anchenoiosamente di revisionismo».
Suquesto delizioso «noiosamente» vorrei soffermarmi un attimo. Oggi l'in-
dustria epistemologica internazionale inflaziona velocissimamente i «vecchi»sche-
mi categoriali e ne sforna continuamente di nuovi per cui l'accusa di essere
«noioso» è molto peggiore di quella di essere «in errore»; errare è umano, è nella
natura delle cose (e chi crede poi ancora nella Verità, dopo la recente Caduta
degli Dei?) mentreesserenoioso vuol dire essere irrimediabilmente
out.
Penso che
fra poco avrà un carattere progressivodifendere il diritto naturale innato ad «es-
serenoiosi» così come Locke difendeva i diritti naturali innati alla libertà, pro-
prietà, ecc. ecc. Penso anche che sia perfettamente legittimo il proporre la defini-
tiva«emessa in pensione» di un concetto, se si è però in grado di sostituirlo con
un altro migliore, ove la parola «migliore» significhi qualcosa di assai prossimo a
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