

autosuperamento? Chi non vorrebbedolcemente innestare un socialismo «indolo-
re» in un capitalismo preliminarmente «purificato» dalle sueperturbazioni? Solo
un«piccolo borghese impaziente», per l'appunto. Ma così non è. I l «revisioni-
smo» non è infatti soltanto «riformismo» ma — e questa specificazione è di
estrema importanza —
riformismo imperialistico.
Questo è per esempio chiarito
molto bene da un outsider del compromessostorico, Claudio Napoleoni, che ha
spesso il merito di dire con chiarezza coseche gli economisti «organici»,del PCI
fanno capire con allusive contorsioni verbali. Prima di farsi eleggere deputato
dellaRepubblica (in una lista in cui c'erano anche Emilio Pugno e Lucio Liberti-
ni, espressioni fisiche della sintesi degli opposti) Napoleoni chiarì con precisione
le sue idee politico-programmatiche. Vediamo «la Repubblica» del 18 maggio
1976: «...Se il legame profitto-rendita non dà più luogo ad un processo di svilup-
po, i casi sonodue: o si ritiene che la borghesia italiana nonpossavivere ed ope-
raresenzaquel legame, o si ritiene cheessapossa, anche indipendentemente dalle
sueintenzioni, essere sottratta a quel legame senza con ciò finire di esistere e di
operare ...sarà il movimento operaio, attraverso le sue espressioni politiche, ad
assumersi la responsabilità globale dello sviluppo economico, offrendo, con la
propria programmazione, i l termine di riferimento essenziale all'impresa ed al
mercato». Qui c'è una teoria interessante della «dolce violenza» che il Salario fa
al Profitto, per «obbligarlo» a staccarsi dall'amplesso contro natura con la Ren-
dita; teoria, notiamolo en passant, opposta a quella dello psicoanalista Franco
Fornari, che vede il CompromessoStoricocome una sorta di amplesso«genitale»
(econsensualecioèmaturo) fra unaBorghesia e un Proletariato che ha rinunciato
ai «pregenitali» sogni di violenza e di strozzamento. Ma questi sono dettagli. Sul-
l'Unità del 23 maggio 1976 Napoleoni chiarì ulteriormente che ci vuole «una ri-
presa di formazione di capitale... da indirizzarsi prioritariamente sia all'acquisi-
zione di livelli tecnologici che consentano al nostro apparato produttivo di stare
alla pari con quelli degli altri Paesi industriali, sia alla soddisfazione di bisogni
essenziali (sanità, istruzione, casa, trasporti)...in definitiva ci vogliono il migliora-
mentodella posizione nostra sul mercatomondiale ed i grandi obiettivi dei consu-
mi sociali». In linguaggiomarxista il primo obiettivo si chiama «imperialismo» e
il secondosi chiama «riformismo»; le riforme non si fanno se la nostra posizione
imperialistica sul mercatomondiale è debole. I l tutto trascurando il piccolo parti-
colareche nella gaglioffesca propaganda per far lavorare di più gli operai italiani
sembrache il mercatomondiale sia solo un mercato di «merci» e non anche di
capitali.
Equesto carattere apertamente «imperialistico» del PCI 1977 che deve a mio
pareremettere in guardia da analogie troppo strette con il «revisionismo» del
1944-47. So chequesta analogia è molto diffusa nel «sensocomune» della nostra
«nuova sinistra», e che si basa sul minimo comune denominatore del «produtti-
vismo»come elemento strategico per deviare la logica di sviluppo «eversiva» del-
l'autonomia operaia. I consigli di gestione del '47 come le conferenze di produ-
zione del '77; la «ricostruzione nazionale» di trent'anni fa come lo «sforzo comu-
neper uscire dalla crisi» di adesso. C'è però una differenza specifica
decisiva:
il
cattivomarxismo togliattiano del '45 si fondava sullapremessache il capitalismo
fosseormai del tutto incapace di sviluppare le forze produttive e che perciò il so-
lo fatto di impegnare in prima persona il movimento operaio per gestirne lo svi-
luppo fosse già quasi automaticamente «socialista» nella sua essenza storica; i l
«produttivismo» del '45 era bensì fortemente marchiato dalla deviazione econo-
micistica della «teoria delle forze produttive», nata a sua voltarin quella forma
particolare come ideologia della legittimazione della costruzione del capitalismo
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