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CostanzoPreve

IL SESSANTOTTO È APPENA COMINCIATO

1. L'articolo di Donolo su QP n . 60-61 mi trova in netto disaccordo.

Questo non perché — come è stato osservato — questo intervento sia sostanzial-

mente di «destra» e da essoemerga una sorta di complesso reverenziale verso la

«complessività» del PCI e la sua capacità di tradurre e filtrare spinte cariche ori-

ginariamente di valenze verso una «transizione eversiva» in un lento mamassiccio

eprogressivo «mutamento»; non tocca ai QP «dare la linea», di destra o di si-

nistra che sia, e inoltre la proposta di categorie e di apparati concettuali che ren-

dono «pensabili» complessi fenomeni sociali in corso di svolgimento è un fatto

per sua natura molto «democratico», purché i concetti nuovi siano introdotti in

modo chiaro e non ambiguo e purché il superamento dei concetti «vecchi» che si

ritiene non possano più essere utilizzati sia reale e non «illusorio». Non mi pare

siastato questo il caso, e cercherò di chiarirlo.

2.

Su l Sessantotto.

Diciamo subito che non deve scandalizzare affatto il di-

reche il '68 è finito, e che è intollerabile il tacerlo — se lo si pensa — per il fatto

che lo dicono anche i borghesi e tutti i filistei; bisogna vedere invece

quale

Ses-

santotto è finito,

chi sia

il suo erede legittimo e se lo sia il «partito del mutamen-

to sociale» e

se

infine quella che viene chiamata «l'area della nuova sinistra» è in

grado di superare la propria «falsa coscienza, che si è cristallizzata negli errori e.

nelle ambizioni malposte dei gruppi dirigenti, nello spontaneismo o ideologismo

dei militanti, nella definizione di obiettivi illusori». A me pare che il Sessantotto,

ovequesto termine connoti l'emergenza permanente di nuovi soggetti storico-

sociali di massa, sia di fatto appena cominciato. Questo però non significa che gli

specifici comportamenti collettivi e le «pratiche sociali» che noi associamo in mo-

do un po' superficiale alla parola «Sessantotto» siano destinati a ripetersi tali e

quali o a crescere in modo ininterrotto e lineare contagiando a macchia d'olio

l'intera società; il pensarequesto è stato invece tipico dell'autocoscienza illusoria

concui i «sessantottini» hanno in genere «pensato» la loro propria prassi, finen-

docon il passare dallo slogan «Padroni, borghesi, ancora pochi mesi!» alla trau-

matica scoperta della «durezza» della realtà storico-sociale con conseguente «ri-

conciliazione» con la vita quotidiana nel capitalismo.

Dire che il Sessantotto è appena cominciato significa solo sottolineare che il

cristallizzarsi delle avanguardie politiche di allora è solo il pallido riflesso sovra-

strutturale dell'emergenza storica di due figure sociali di massa

strategiche,

la

nuovaclasse operaia massificata dalla «degradazione del lavoro nel XX secolo»,

per usare l'espressione di Harry Braverman, e la nuova piccola borghesia urbana

sorta sul terreno dello stato sociale capitalisticomoderno, il cui rapporto con il

«lavoro» e soprattutto con il «rèddito» è radicalmente diverso da quello dei vec-

chi «ceti medi». Sono cose note, che molti compagni hanno già analizzato, ma è

bene ripeterle, anche per vedere se si possano

tenere ferme,

per così dire, e quali

conseguenzese ne possono trarre. A me pare che il cosiddetto «partito del muta-

mento» non si ponga affatto in modo «progressivo» di fronte a questa«emergen-

za», ma che cerchi invece di manipolarne alcuni aspetti in modo «reazionario»

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