

aziendemaggiori e quello risultante dalla rilevazione trimestrale delle forze di la-
voro (o da una stima, secondo la nuova serie della nuova contabilità nazionale) e
attribuendo a questi occupati una produttività
pro capite
ottenuta facendo variare
la produttività rilevata per queste aziende nel 1963 con lo stesso tasso rilevato per
la produttività delle aziende maggiori. Con lo stesso procedimento (applicazione
del tasso di variazione delle aziende maggio •. alla base del 1963) sono ottenute le
spese di personale delle piccole aziende. È evidente che con un procedimento di
questogenere gli andamenti della produttività e del reddito da lavoro
pro capite
nei due gruppi di aziende rispettivamente sopra e sotto il limite della rilevazione
dovrebberoessere paralleli; se gli andamenti divergono, questo può dipendere so-
lo da variazioni nella composizione dell'occupazione e della distribuzione delle
aziende per dimensioni.
Si può calcolare la differenza tra il v.a. al costo dei fattori della contabilità
nazionale e il valore aggiunto rilevato nelle aziende al di sopra dei 20 addetti (fat-
ti gli opportuni spostamenti dei contributi alla produzione e del costo dei servizi
del credito e delle assicurazioni per avere due grandezze omogenee); si ottiene co-
sì la fetta del v.a. dei conti nazionali stimato e lo si può attribuire al correlativo
numero di occupati (dipendenti e indipendenti) ottenuto sempre per differenza tra
gli addetti registrati nella rilevazione del valore aggiunto e gli occupati della rile-
vazione trimestrale. Si evidenzia così quale è la produttività media della piccola
azienda implicita nei conti nazionali. Ho fatto questo calcolo per il 1972, usando
la vecchia serie della contabilità nazionale. I l v.a. per addetto della piccola azien-
dasecondo la stima Istat risulta il 45% di quello delle aziende maggiori. Nel 1963
il rapporto di produttività tra piccola e medio-grande azienda,
con il limite di 10
anziché di 20 addetti, era il 51%.
È quindi implicito nei conti nazionali che il divario tra i due gruppi di azien-
de sia cresciuto, evidentemente a causa del fatto che nel gruppo delle aziende
maggiori siano cresciute di più quelle di più grandi dimensioni — fatto del resto
coerente con quello che si sa del processo di concentrazione tra gli anni '60 e gli
anni '70. Nell'usare i conti nazionali in -modo aggregato e sommario Fuà quindi
ritrova, nella misura in cui il suo ragionamento dimostri qualcosa, semplicemente
la stima implicita in questi conti, fondata sulla rilevazione del 1963, e sulla cui
coerenza attuale con la realtà i dati della contabilità nazionale non ci possono di-
re nulla.
Questa stima della produttività relativa è naturalmente legata nei conti nazio-
nali a una stima analoga del reddito da lavoro dipendente per dipendente. Per il
1972questo risultava nelle aziende al di sotto dei 20 addetti il 41% di quello al di
sopra dei 20; lo stesso rapporto, con le differenze indicate prima, era il 44% nei
risultati dell'indagine del 1963. Anche per il costo del lavoro quindi lo sposta-
mento è nella stessa direzione e della stessa entità. Quindi la stima del reddito da
lavoro dipendente nei conti nazionali è fondata su un'ipotesi del tutto opposta a
quella di Fuà, e presumibilmente anch'essa a questo punto poco realistica. Si po-
trebbe tuttavia dire che in questo modo sono sottostimati sia il valore aggiunto
sia il reddito da lavoro dipendente, e che quindi sul loro rapporto si può ragiona-
rebenissimo (salvo il fatto che ci può essere una sopravvalutazione dei redditi da
lav. dipendente per altre ragioni). Però Fuà per calcolare il rapporto
w/y,
su cui
si impernia il suo ragionamento, non usa per w una misura derivata dai conti na-
zionali, bensì il valore rilevato per il costo del lavoro dall'indagine I.S.C.E.: valo-
re pet l'appunto
rilevato
e non stimato secondo la realtà di dieci anni prima. Si
noti, tra l'altro, che dall'indagine sul valore aggiunto risulta che a partire dal
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