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insisteè la durata dell'orario di lavoro. «Intorno al 1960 l'Italia, insieme alla Fran-

cia, aveva l'orario più lungo tra i paesi confrontati. Poi la riduzione dell'orario è

proceduta in Italia più rapidamente che altrove, cosicché dal 1969 siamo il paeseche

ha l'orario più corto,

con un distacco via via crescente»

(p. 76, sottolineatura mia).

Forse Fuà ha attinto le sue affermazioni da un'estrapolazione del fatidico anno

1972. Chi abbia la pazienza di guardare la tav. 17 della serie I.S.C.E.

Retribuzioni

orarie

-

Durata de/lavoro,

2, 1976, avrà la lieta sorpresa di scoprire che, mentre nel

1972 l'Italia aveva in effetti il piùbasso orario di lavoro della Comunità (ad eccezio-

nedel Belgio), oggi ha di nuovo, insieme con la Francia, il più alto:

Durata settimanalemedia del lavoro operaio (ore e decimi di ore) nelle industrie manifatturiere

1972

1975 (ottobre)

Germania

43

40,6

Francia

44,1

41,5

Italia

42

41,5

PaesiBassi

43,3

40,7

Belgio

41,4

36,3

Regno Unito

42,3

41,1

La stessa tendenza si riscontra del resto nelle retribuzioni sesi guarda l'aggior-

namento al 1975 dell'indagine I.S.C.E. sul 1972, pubblicata nellostessovolume. Nel

1973e nel 1974 (mancano per l'Italia i dati al 1975) la tendenza si è invertita, il costo

del lavoro per operai e impiegati nelle manifatturiere è in Italia il più bassodella Co-

munità; il rapporto con la Francia, che prima era indietro a noi, è di 100 a 110.

Non si vede del resto perché Fuà, che ragiona in termini di costi per le aziende,

debba prendere in considerazione solo il costo del lavoro operaio (per chiarezza: la

tendenza si è rovesciata anche per questo), e non il costocomplessivo: in questo l'e-

gualitarismo ha avvantaggiato l'industria italiana.

3.3. Sul la distribuzione del reddito Fuà ci spiega che nel 1974 e 1975 i lavora-

tori hanno preso più di quanto hanno prodotto: costo del lavoro per dipendente nel-

l'industria manifatturiera 3.904.000, prodotto netto al costodei fattori per occupato

3.842.000, con un rapporto della prima grandezza sullasecondadi 1,02; e ancor peg-

giosaremmo andati nel 1975, con un rapporto 1,18. Roberto Convenevolesu «Lotta

continua» del 16.X.1976 ha già spiegato come Fuà abbia ottenuto questo risultato

stimando con un'estrapolazione sbagliata gli ammortamenti e le imposte indirette.

Nella seconda edizione Fuà, senza prendersi la briga di spiegare nulla al lettore circa

il perché, ha corretto i calcoli della tabella (non senza lasciarci un piccolo errore: il

rapporto tra costo del lavoro per dipendente e prodotto netto nelle manifatturiere

nonè nel 1974 di 0,92, ma di 0,90). Di conseguenza ha dovuto anche aggiustare l'in-

terpretazione, concludendo che il confronto istituito nel suo calcolo «porta a questa

conclusionesconcertante: se il reddito medio dei lavoratori indipendenti non è stato

sensibilmente inferiore a quello dei dipendenti, i redditi da lavoro hanno assorbito

nel 1975 l'intero prodotto netto...». E questo vale nella sostanza anche per i quattro

anni precedenti. Troviamo a nostra volta sconcertanti queste conclusioni; esse ci la-

sciano il dubbio che Carli barasse quando nella

Relazione

del maggio 1975 scriveva:

«La cpnsueta indagine sui bilanci delle società manifatturiere riconferma, per il

1974, il carattere positivo che le gestioni aziendali presentarono nell'esercizio prece-

dente; infatti, nonostante l'inversione ciclica manifestatasi nella secondametà del-