

operai, capitalisti e occupati indipendenti) è stata tale in Italia negli anni 1974 e
1975 che «i redditi da lavoro hanno assorbito più dell'intero prodotto netto la-
sciando le imprese (considerate come complesso) con un margine insufficiente per
l'ammortamento e senza nessun margine per l'interesse del capitale» (p. 82).
Quanto alla connessione tra le due tesi Fuà scrive: «...la presenza di un rapporto
w/y
[costo del lavoro degli operai industriali su prodotto per abitante] relativa-
mente alto denota la esistenza di uno o più dei seguenti fenomeni:
una posizione di maggiore vantaggio, in termini di retribuzione, degli operai
regolari dell'industria manifatturiera rispetto alla media generale dei lavoratori;
un più breve orario di lavoro dell'operaio manifatturiero;
— un più basso tasso di occupazione della popolazione;
una più alta quota dei redditi da lavoro nel prodotto netto del paese.
L'analisi esposta in appendice aiuta ad individuare quali di questi fenome-
ni.., si siano verificati in concreto... Nel quinquennio 1970- 1974 l'alto
w/y
risul-
ta collegato ad un basso livello sia del tasso di occupazione, sia dell'orario di la-
voro degli operai manifatturieri. Ma... l'Italia ha presentato anche, rispetto agli
altri paesi, una più alta quota dei redditi da lavoro e/o un più alto rapporto tra
la retribuzione dell'operaio manifatturiero e la retribuzione della media dei lavo-
ratori» (p. 72).
Nella tav. 13, p. 68, Fuà dà il costo orario medio del lavoro degli operai ma-
nifatturieri, tratto dall'indagine I.S.C.E., espresso in lire. Riproduco di seguito
nell'ordine la prima parte della tabella di Fuà, l'indice da me calcolato sui suoi
dati, l'indice da me calcolato sui dati espressi nella tabella 1, p. 156, dell'indagine
I.S.C.E. in moneta convenzionale Eur, l'indice da me calcolato convertendo i va-
lori in monete nazionali dell'I.S.C.E. in dollari (linea
r f
del IMF,
International
Financial Statistics).
Italia
1 6 0 0
100
100
100
Francia
1 4 0 1
87,5
89,6
91,1
Germania
1 9 8 3
123,9
130,4
131,9
Belgio
1 8 2 4
114
120,4
122,6
Nella sua tabella Fuà ha potuto attribuire ai Paesi Bassi un costo del lavoro de-
gli
operai
di 1785 lire, mentre per questopaese l'indagine I.S.C.E., che egli cita co-
me fonte, dà solo il costocomplessivo,
operai più impiegati,
del lavoro solo fidando-
si di chissà quale stima o estrapolazione della «Rass. statistiche del lavoro». Ma per
il resto i dati riportati da Fuà indicano rapporti alquanto diversi di quelli che emer-
gonocon gli altri indici. Da checosadipende la differenza? Da qualche slittamento
dovuto ai cambi, ma soprattutto dal fatto che Fuà, per ragioni non chiare, anziché
mettere per l'Italia il valore di 1518 lire dell' I.S.C.E. mette il valore di 1600. In una
parola, l'indice che Fuà ottiene così accentua il nostro negativo distacco dalla Fran-
cia e accorcia molto notevolmente la nostra distanza dagli altri paesi. Uno sposta-
mento della stessadimensione si ottiene rifacendo il calcolo sul rapporto tra costo
del lavoro e prodotto netto interno per abitante. Ad esempio, la differenza della
nostra posizione rispetto alla Germania per questo rapporto non è di un 50, bensì di
un 30%. Sono significativi questi rilievi rispetto alla tesi di Fuà? Direi di sì: servono
a tarare le frasi ad effetto di Fuà sulla «differenza enorme traP Italia e gli altri paesi»
(p. 73) per quanto riguarda la distribuzione del reddito — frasi sulle quali e in forza
delle quali si costruiscono lecampagne politiche di questo periodo.
Il secondo punto della tesi su retribuzione e distribuzione del reddito sucui Fuà
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