

agli scioperi, dell'appoggio nelle sedi deputate caso per caso ecc. È stato del tutto
rifiutato, ad esempio, lo strumento del tutto legittimo e di per sé non antiunitario
del presentarsi ai congressi con tesi contrapposte, anche quando le contrapposi-
zioni erano estremamente nette e incolmabili. Fa invece parte delle regole che
vengasempre conservata la finzione dell'unità, affidando le differenze a sfumatu-
re verbali, la cui presenza e il cui peso relativo nei documenti conclusivi testimo-
nia agli esperti il lavorio e la presenza delle varie correnti. Naturalmente, la giu-
stificazione di fondo è che la linea approvata vale per tutti e che qualunque linea
deve poter passare attraverso qualunque personale politico; che la scelta non sta
mai nel trionfo di un gruppo dirigente contro un altro gruppo dirigente, ma nel
trionfo della tesi giusta. Tutto questo naturalmente fa parte dell'armamentario di
giustificazioni canoniche del partito unico ed è il contrario della democrazia rap-
presentativa.
Aggiungerò, per non essere frainteso, e per chiamare tutti col loro nome, che
ovviamente nella dirigenza del sindacato i comunisti
non
sono sovrarappresentati;
anzi, nel loro complesso, e soprattutto dopo la recente polarizzazione, dopo il
crollo dell'adesione operaia alle organizzazioni cattoliche nelle aree bianche, i co-
munisti sono enormemente sotto-rappresentati. Se si facesse una verifica dal bas-
sonelle organizzazioni sindacali di tutte le cariche, ceteris paribus, cioè ammet-
tendo che un modo diverso di funzionare del sindacato non influisca col tempo
sullescelte politiche, ci sarebbe una schiacciante e travolgente avanzata comunista
ene risulterebbero ridimensionati ovviamente non solo il PSDI o il PRI, che non
esistono tra gli operai, salvo, forse, qualche concentrazione regionale in Roma-
gna, ma anche i democristiani e la stessa «sinistra». È stata appunto questa la de-
bolezza almeno di una parte della sinistra sindacale; che sapeva o pensava di esse-
re sovrarappresentata e perciò non poteva mai schierarsi nettamente, doveva
sempre proporre e poi mediare, rinunciando perciò stesso a costruire alternative
di massa condivise. Ancora per chiamare tutti per nome: è probabile che la sini-
stra socialista, cioè il PSIUP prima e il PdUP poi, sia stata fortemente sovra-
rappresentata nel sindacato. Ha infatti «ereditato» le cariche che aveva nel sinda-
cato al momento della scissione o buona parte di essementre la scissione è avve-
nuta in modo da essere minoritaria (nel rapporto di uno a tre o uno a quattro)
alla base e maggioritaria nei vertici sindacali. Perciò, ed escludendo sempre i due
o tre nomi il cui peso personale «per altezza d'ingegno» e statura morale e capa-
cità politica non è mai stato in discussione, non ha mai contato nulla. E le posi-
zioni più nette a sinistra sono state prese sempre da comunisti e non da loro, che
erano di fatto
tollerati.
S'intende che il mio non è un invito alla guerra fratricida o al licenziamento
in blocco dei felloni (anche ex) e degli incapaci: nessuno rischia a cuor leggero
unascissione sindacale che sarebbe l'anticamera di una nuova gravissima sconfit-
ta operaia. Intendo solo dire che i problemi istituzionali vanno affrontati; che
non si tratta di escludere o ridimensionare componenti, ma di proporre regole
nuove di verifica per tutti.
Il punto più alto di questa proposta di regole nuove è stato il tentativo di fa-
re realmente dei delegati la base per la rifondazione unitaria del sindacato. Su
questo problema tutte le forze del movimento sindacale si sono misurate con du-
rezza e sottigliezza per anni. Le osservazioni e le proposte che faccio sono reali
proprio perché non le ho sognate in una notte di mezzo inverno ma sono un mo-
do più diretto ed esplicito, più inaccettabile senz'altro, ma almeno più chiaro, di
formulare un problema su cui l'intero sindacato italiano si è scontrato per anni.
Purtroppo lo scontro è avvenuto in maniera del tutto implicita, e la sinistra ha
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