

bastano le elezioni politiche a garantire che non si tratta di camera delle corpora-
zioni? E che male c'è negli incontri triangolari? Certo il fatto che ci sia un parla-
mento fa una bella differenza; ma negli incontri triangolari fatti in questo modo
c'è la radice di alcuni dei mali istituzionali della società italiana, dei particolari-
smi, della giungla retributiva, delle sperequazioni. Una cosa è se il sindacato, co-
merappresentante degli interessi, di parte certo, ma generali, della classe operaia,
formula richieste, articolate per categorie, ma dopo aver controllato con la sua
base le priorità, i l segno politico, i fini ultimi, le irrinunciabilità immediate; un
altro conto è se in sedi separate, in incontri di settore, si decidono caso per caso i
provvedimenti: è tutto il contrario della contrattazione aziendale, che avviene alla
luce del sole, sotto gli occhi degli operai. Se anche la contrattazione aziendale è
particolare, lo è in modo da adeguare il costo del lavoro alle possibilità di singole
aziende; mentre invece negli incontri settoriali di vertice vale il peso clientelare di
ogni singolo settore, e ne viene fuori la scala mobile dei bancari. Bisogna invece
sottoporre ogni provvedimento alla conoscenza di tutti i lavoratori.
Segli operai devono affrontare il reale mutamento istituzionale della «gestio-
neconcertata», devono farlo controllando pienamente e direttamente coloro che
li dirigono. È un problema non piccolo, che certo non può essere affrontato e ri-
solto
contro
i partiti; ci vorrebbe un nuovo '68, e non basterebbe. E un problema
chebisogna porre anche ai partiti perché è nell'interesse di tutto il movimento
operaio il risolverlo esemplarmente e con chiarezza.
8. S e il sindacato è una istituzione del movimento operaio e non dello stato
ebisogna discuterne in questa sede solo perché può correre il rischio di diventare
una istituzione dello stato e non del movimento operaio, la gestione dell'econo-
mia è invece il nodo principale istituzionale, il massimo allargamento della sfera
di attività dello stato, accanto alla gestione dell'assistenza. Nondimeno la discus-
sione teorica tende a lasciarla da parte. Tradizionalmente tutte le riflessioni sulla
democrazia, talora anche quelle sul socialismo, si sono fermate ai cancelli della
fabbrica, nella cui organizzazione Lenin ad esempio pensava che non si potesse
cambiare molto. Almeno in questo campo gli ultimi dieci anni dovrebbero aver
segnato un salto qualitativo, perché mai si è discusso tanto di fabbrica, di modifi-
cazione della divisione del lavoro, di nuovo modo di fare questo e quello come in
questi anni. I l successoperò non è stato grande; nè dal punto di vista pratico nè
da quello culturale, tanto che Bobbio senza andare troppo lontano dal vero può
affermare che in tema di tentativi di gestione democratica dell'economia siamo
ancora a zero.
Non ho certo la pretesa di dare la soluzione in qualche cartella a questo
problema. Vorrei solo fare un tentativo di porre il problema in maniera globale,
tenendopresenti tutti i vari aspetti di esso, i vari organi che potrebbero contribui-
re a risolverlo. Non credo infatti che ci sia nessuna soluzione miracolistica, nessu-
na forza politica divinamente armata e nessuna divisione dei poteri che possa di
per sè trasformare l'attuale arbitrio, la «colossale operazione di trasferimento»
(come l'ha chiamata De Cecco); gli stanziamenti fatti per la tangente o per lucra-
re sull'appalto; o per prendere gli interessi sui fondi non spesi, in una gestione
sociale e democratica. Si tratta piuttosto di intervenire su vari piani, che si condi-
zionano a vicenda, almeno su alcuni dei quali si hanno le idee chiare e ci sono so-
lide esperienze. Mentre infatti non riesce di immaginare come si possa arrivare a
unauniversale mobilitazione di cittadini, colti e volonterosi e disinteressati che in
miriadi di riunioni decidano il che cosa, il come e il dove produrre dell'industria
di stato, nè si riesce a immaginare una forza che trasformi un coacervo di cliente-
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