

controllo di essa. Se non se ne vuole parlare nel vuoto è però necessario ricordare
qualche evento del passato decennio che è all'origine dell'attuale sfacelo. Negli
anni sessanta, e proprio in coincidenza con l'avvio del centrosinistra, si sono veri-
ficate alcune delle maggiori «ristrutturazioni negative» della nostra storia recente:
la lotta interna e la mancata fusione dei vari gruppi dirigenti dell'ENEL, diffe-
renziati per provenienza, concorrenti per i l potere, solidali nel difendere ogni
proprio privilegio; la fine dell'industria nucleare italiana con la chiusura a tutti i
fini reali dell'AGIP nucleare, l'isolamento di altre aziende minori appartenenti al-
la Montedison, l'incarcerazione per giusti ma futili motivi a paragone di quel che
poi si è visto di Felice Ippolito, la scelta FIAT di puntare sull'acquisto dei brevet-
ti e dei programmi di calcolo Westinghouse; la fine di una politica indipendente
dell'energia, con la morte non si sa quanto accidentale di Enrico Mattei e la sus-
seguente resa a discrezione alle compagnie del cartello; la fine della grande elet-
tronica con la decisione Olivetti, sostenuta in particolare da Visentini, di chiudere
tutte le attività di ricerca e di produzione che riguardavano la produzione di cal-
colatori; la fine della ricerca di chimica secondaria, non così drammaticamente
concentrata nel tempo ma scaglionata nell'arco di un decennio, dal ridimensiona-
mento del 1966 dei Laboratori Riuniti Studi e Ricerche dell'ENI a San Donato al-
la chiusura dei laboratori Montedison di qualche anno fa.
Non tutti questi eventi riguardano l'industria di stato; nessuno di essi può es-
serespecificamente ricondotto a difetti istituzionali della gestione statale dell'eco-
nomia o ai rapporti tra governo e dirigenti delle aziende di stato. Anzi, tutti essi
hannocayse politiche ed economiche maggiori, internazionali; sono il risultato di
pressioni Molto forti nella lotta per l'egemonia mondiale. Tutti essi però segnano
il fallimento dell'industria italiana, soprattutto dell'industria di stato, di entrare
in nuovi e importanti settori produttivi (in tutti i casi era possibile una sostituzio-
nedei privati da parte dell'iniziativa pubblica, in molti casi l'iniziativa pubblica
era l'unica presente), e il passaggio da una fase in cui la mancanza di regole, la
commistione tra pubblico e privato, tra partiti e industria, sotto il nome dello sta-
to ha almeno una funzione produttiva e innovativa, a una fase in cui invece la
commistione avviene unicamente a fini speculativi, talora assurdamente ristretti e
minori rispetto ai danni provocati. Anche i dirigenti statali dell'epoca del boom
vendevano al governo e all'opinione pubblica prospettive e valutazioni non vere,
ma lo facevano Per ottenere soldi con cui costruire delle fabbriche, forse non le
migliori per il paese ma comunque fabbriche. La nuova «razza padrona» fa le
stessecose o peggio solo per intascare lire. Al fallimento e al passaggio alla para-
bola discendente gli organi ufficiali della pianificazione sono rimasti del tutto
esterni; non sono riusciti neppure un momento a scalfire la dura corazza delle ar-
ciconfraternite.
Non c'è alcuna possibilità nella più assurdamente favorevole delle prospettive
politiche che il mantenimento dell'attuale mancanza di distinzione tra politica, fi-
nanza e industria porti a un travolgente ingresso alla direzione economica e fi-
nanziaria del paese di nuove, competenti, giovani forze intellettuali, espressione
diretta del movimento operaio. Queste forze non ci sono perché a dirigere le
aziende e le banche si impara solo dirigendole; e, se ci fossero, non avrebbero
nessunaprobabilità di accesso. Se si vuole che qualcosa migliori, bisogna stabilire
attribuzioni e divisioni dei poteri realmente controllabili e rigorose. Da un lato,
studiare e modificare la struttura del credito: non credo sia patrimonio del movi-
mento operaio uno studio attento del sistema bancario italiano. Io ne ho un'idea
menche vaga: ma certo si direbbe che, dai tempi dello scandalo della Banca Ro-
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