

essi. A un certo punto (p. 68) l'autore esclama a proposito della citazione delle
sue tesi da parte di Nenni al Congresso socialista: «Da trent'anni scrivo saggi di
teoria politica, ma non mi risulta che anche soltanto una parola di essi fosse stata
citata da un uomo politico di tanta autorità in un congresso di partito! O tempo-
ra o mores!». Appunto. Qualcosa è cambiato nel frattempo. Da un lato il mito
sovietico, ora anche quello cinese, si sgretolano sempre più e invitano a ripensare
i problemi della democrazia e del socialismo in modo originale; dall'altro (ed è
forse questo l'elemento dominante), è per la prima volta realistico in Italia pensa-
re ad un ingresso del PCI nell'area del governo e del potere. E il dibattito assume
allora il tono e la funzione di una richiesta e di una concessione di credenziali.
Perciò, forse, la sua ampiezza inusitata. Perciò i l mio disagio di lettore. Come
richiesta di credenziali, infatti, il dibattito non ha senso; o ha un senso ipocrita e
regressivo.
Ipocrita perché le risposte si trasformano in messe cantate in cui si passa con
bravura da concetto a concetto per dimostrare che «dittatura» è termine lato e,
come la dittatura della borghesia può esprimersi in forme dispotiche o nelle for-
medella democrazia borghese, così la dittatura del proletariato può esprimersi in
maniera repressiva e limitativa delle libertà come in Russia o in forme di nuova
democrazia. E poi Gramsci ha già sostituito al termine «dittatura» quello di «ege-
monia». Cose tutte vere, naturalmente; ma che servono a poco perché appunto
concetti come «dittatura» ed «egemonia», usati in questo senso, sono così lati
che non aiutano molto nell'analisi ed hanno comunque scarsa o nulla efficacia
prescrittiva. I l sapere che il proletariato italiano (o il PCI) aspira all'egemonia e
non alla dittatura non rassicura molto chi tema di finire in galera per dissenso (e
ame sembra improbabile che ce ne siano davvero molti: ci sono piuttosto molti
che temono per i soldi o per la nuova concorrenza che deriva dalla fine della
messa al bando dei comunisti, per ora ancora parziale ma che non potrà restare
tale a lungo). Mentre il fatto di sapere, come ci annuncia (o ci annunciava, per-
ché ora sembra conquistato al realismo) Claudio Napoleoni dalle colonne di «La
Repubblica», che ci si avvia a un sistema capitalistico con egemonia proletaria,
non rassicura affatto me, e milioni di altri italiani spero, che temiamo si tratti di
una cosa ancora meno reale e travolgente di un cambio di governo; che tutto va-
da avanti più o meno come prima. In pratica, tra le ammissioni e le parziali au-
tocritiche e i parziali autoelogi, sembra che il PCI abbia sempre proceduto «aliu-
sque et idem» sulla via retta, quando era nel giusto ma in fondo un po' anche
quando sbagliava.
Regressivoperché, in questi termini, questa richiesta di credenziali non è (o
non dovrebbe essere) accettabile, non solo dal PCI ma dall'intero movimento
operaio italiano. Tutta la lotta del movimeno operaio è stata lotta per la libertà o
anche
per la libertà. Se c'è un suffragio universale, se c'è stata una resistenza, se
c'è una costituzione, se non c'è la legge truffa, se ci sono i consigli di fabbrica, se
il SID non ci governa ancora, lo dobbiamo alle lotte degli operai, dei braccianti,
degli studenti,
guidati da questi dirigenti.
Alcuni di essi, la maggioranza di essi,
tutti quelli che hanno l'età per averlo fatto, salvo alcuni, noti, dissenzienti, hanno
sostenuto, in passato tesi incredibili in fatto di analisi politica e di libertà. Bene,
diciamolo noi, chiaramente, con nomi e cognomi, se non lo dicono loro, e dicia-
mo che tra quelle posizioni e il futuro di questo paese non c'è, non deve esserci,
continuità. Ma non parliamo di credenziali. In Russia la proprietà privata è stata-
lizzata ma mancano le libertà istituzionali. I l problema reale è quello della liber-
tà, ribn quello dell'uguaglianza che in termini di proprietà anche se non di divi-
sione del lavoro è garantita. In Italia, malgrado le molte nazionalizzazioni e il di-
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